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Vite di carta. Alfonsina Strada, la regina della pedivella.

Sabato 4 Maggio ha preso il via l’edizione numero 107 del Giro d’Italia: 3.400 km di percorso in bicicletta distribuito in 21 tappe e con due giorni soli di riposo per i 176 partecipanti.

Esattamente cento anni fa anche una donna, Alfonsina Strada, si presentò alla partenza in una grigia alba milanese, numero 72 su 90 corridori presenti, pronti ad affrontare la fatica di dodici lunghe tappe su strade dissestate e salite impervie. Una tappa e un giorno di riposo, fino all’arrivo a Milano il 1° Giugno.

Alfonsina Strada partecipò al Giro d’Italia 1924 con una divisa nera e il numero 72

Il 26 maggio, data in cui il Giro della edizione 2024 si concluderà, Alfonsina ebbe un incidente grave, cadde e riportò diverse contusioni e tagli. Di più: ruppe la bicicletta e per ripararla alla meno peggio riportò un enorme ritardo all’arrivo e fu squalificata.

Ma. Ci sono due ma: il primo è che arrivò al traguardo a Perugia con un pezzo di legno montato al posto del manubrio, aiutata da una contadina che si era privata della propria scopa per ripararle la bici e le aveva fatto coraggio in un dialetto sconosciuto.

Il secondo è che spese fino all’ultima goccia di sudore e di fatica pur di tenere fede all’impegno che aveva preso con se stessa: arrivare fino in fondo. Arrivò fuori classifica ma finì tutte le tappe come si era ripromessa.

Cosa voleva dimostrare. Voleva seguire quella passione che le si era rivelata da bambina, quando aveva sottratto la bici al padre e di notte aveva provato l’ebbrezza più bella, pedalare per andare oltre i confini della sua infanzia nella miseria della campagna bolognese.

Voleva dimostrare a sé prima che agli altri di non essere “carne di scarto” in quanto donna, di avere diritto a seguire il proprio talento. Superare i limiti per un di più di conoscenza e di esperienza, questo la spingeva a sopportare la fatica.

Come racconta Simona Baldelli nel suo bel libro Alfonsina e la strada, uscito presso Sellerio nel 2021, pedalare è stato lo stigma di una vita per la corridora di Fossamarcia di Castenaso.

La bicicletta, avrebbe detto Montale, il suo amuleto per passare tra le insidie della grande guerra e poi del fascismo, dei lutti familiari e della miseria nel secondo conflitto mondiale. E per farcela.

Il 30 maggio 1924, mentre Alfonsina disputava la terzultima tappa del Giro, Giacomo Matteotti aveva denunciato in Parlamento che le elezioni di due mesi prima erano state inficiate da gravi brogli, “dunque andavano annullate e rifatte da capo.

In molti erano pronti a scommettere che non l’avrebbe passata liscia e che il Duce avrebbe trovato il modo di zittirlo per sempre. C’era nell’aria il preambolo di un futuro terribile e la gente cercava di nascondere nell’entusiasmo per il Giro la paura di qualcosa di brutto, vicino a venire”.

In questo frangente della storia, la corridora fece il giro d’onore al Velodromo Sempione e incassò finalmente il plauso della folla. Quanto a Mussolini, che diceva di volerla incontrare, ma poi aveva avuto altro a cui pensare, Alfonsina “si risparmiò volentieri” la sua stretta di mano.

Pedalando per una vita aveva dovuto sopportare ben altre fatiche, fatiche psicologiche ed emotive più pesanti ancora di quelle fisiche. Aveva raccolto forse più ostilità che sostegno intorno a sé, a cominciare dalla sua famiglia.

Veniva spesso chiamata la pazza per la sua passione che era da maschi e per la spinta a osare, a guardare verso la luna. Raccoglieva offese durante le gare, anche dalle donne stesse che non le perdonavano l’abbigliamento maschile e il taglio inusuale dei capelli.

Va letto il libro di Simona Baldelli per assorbire le cento traversie della sua vita e apprezzare le vittorie riportate sulla bicicletta, per conoscerne la sensibilità generosa verso gli altri e la capacità di fare anche le scelte più dolorose.

I suoi due mariti, Luigi e poi alla morte di questi Carlo, l’avevano davvero sostenuta. Del primo era lei stessa a ricordare le parole di incoraggiamento, nei momenti più bui: “Come sei bella sulla bicicletta, Fonsina, non scendere mai”.

Pare che davvero Alfonsina non scenda più, specie da quando, l’11 Luglio 2017, porta il suo nome una strada di Milano.

Nota bibliografica:

Simona Baldelli, Alfonsina e la strada, Sellerio, 2021

Le immagini della cover e nel testo sono tratte da Wikipedia

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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