Proprio ieri ho fatto visita a una signora più grande di me di qualche anno che vive sola in una grande casa dalle finestre perennemente chiuse. La sua giornata trascorre così, tra studio, lettura e tanto computer. Ha un indubbio carisma e una sofferta maturità.
Mi ha parlato a lungo di questi suoi ultimi anni pieni di dure prove, dei lutti di tutti i suoi famigliari. Ha detto di essersi smarrita in un lungo cammino buio, ma ora si sente di nuovo libera nello stare con se stessa e sul suo volto ancora bello ed espressivo ho letto in effetti un messaggio sereno.
Poi, prima di addormentarmi alla fine della giornata ho voluto aprire il mio nuovo libro. L’ho fatto con delicatezza perché non è mio, ma è il prestito di un amica. L’ho fatto perché molti libri hanno le ali e non vanno spezzate.
Che inizio. Ho ritrovato immediatamente lo stile dell’autore che leggo da anni, le frasi ben scandite che seguono i pensieri del protagonista e li fissano con precisione semplice. L’autore è Gianrico Carofiglio, il protagonista è l’avvocato Guido Guerrieri, il romanzo ha per titolo La misura del tempo ed è arrivato secondo alla edizione più recente del Premio Strega.
Ci sono giornate in cui i fatti che accadono e le sensazioni che si provano sono tra loro in armonia. Ieri è stato così: la lettura serale mi ha portato di nuovo a riflettere sulla nostra maturità di uomini e donne della seconda età.
Ho letto solo le prime ventidue pagine, per cui mi accingo a scrivere eccezionalmente di un romanzo che non ho ancora letto. Però l’esperienza di vita dell’avvocato Guerrieri si è già accampata nel libro e mi ha dato spunti preziosi per misurarmi con lui.
La nuova cliente, che egli riceve alla fine di una lunga giornata di lavoro, non è una persona qualsiasi, ma una donna con la quale molti anni prima ha avuto una relazione piuttosto intensa, anche se è durata solo alcuni mesi. Quando lei entra nello studio c’è l’impaccio del ritrovarsi dopo un così lungo intervallo e dopo tante esperienze di vita.
Se accadesse a noi che leggiamo, non potremmo che dare conferma di ciò che accade a Guido e Lorenza: lui riconosce lei a fatica, lei lo trova molto simile al Guido giovane, ma si salutano entrambi con un gesto goffo. Lei gli dice sinceramente che non lo trova cambiato, lui sa evitare di dirle la stessa frase che risulterebbe formale se non addirittura insincera. Perché lei porta male i suoi 57 anni ed è lì per un problema serio che riguarda il figlio e che aggiunge altri anni alla pelle del suo volto.
Nel corso della giornata, prima di questo appuntamento delle 19, Guido ha incontrato per caso un amico, Enrico, e l’ha trovato estremamente provato dalla morte della madre. Anche un mio amico ha perso la madre nel mese di giugno e ora sta faticando a riprendersi.
Quanto a me, ho perso madre e padre da molti anni ormai, come Guido Guerrieri. Bene, siamo tutti dalla stessa parte: narratore, personaggio, lettrice (e lettori). Leggo il resoconto che Enrico fa a Guido della scomparsa della madre e sento che mi emoziono e mi scompongo; Guido dice di avere avvertito “come un pugno alla bocca dello stomaco” e credo usi le parole giuste anche per me.
Perché sono parte in causa e anch’io mi libero, sentendo dire da Enrico che è una prova durissima quella di assistere un genitore nei suoi ultimi mesi e giorni, quella che a volte ci ha fatto esasperare e talvolta abbiamo risposto con asprezza o con insofferenza a una delle persone più care. Enrico dice che questo comportamento ci toglie la “dignità”, io non lo penso: nei brevi momenti in cui è toccato a me ho sentito di smarrire semmai la mia identità, sperduta in uno spazio senza confini e senza leggi.
L’ho chiamata “la terra di nessuno”, anche perché non si lascia governare da alcun principio razionale ed è lei a impadronirsi del nostro smarrimento e di noi, a tratti. Ci rende insensibili, quasi dovessimo metterci in salvo dalla spirale della malattia e della fragilità.
Guido ha invitato Enrico a prendere un caffè e ha ascoltato il suo sfogo. E’ un atteggiamento che mi pare misurato, che soccorre nel modo più naturale l’amico. Enrico ha bisogno di buttare fuori dolore, sgomento e delusione di se stesso. Non servono donchisciottismi, basta esserci nell’istante giusto, prima di tornare ognuno alla propria vita e alla propria identità.
Da ultimo, ma per ventidue pagine può bastare, l’inventario. Spinto dai discorsi di Enrico, Guido ripensa a sua volta ai propri genitori e in sole tredici righe fa un bilancio preciso di quello che gli hanno lasciato. Anche qui mi sono scomposta.
So bene cosa hanno lasciato a me i miei genitori, non so se saprei esprimerli in così poche parole, con nettezza. Tento di occupare le righe del libro con il mio elenco, come se provassi a sovrapporre la mia mano a quella del narratore. L’operazione mi sta riuscendo abbastanza bene: nelle due liste sono compresenti “onestà” e “rispetto per gli altri”.
Nella lista di Guerrieri segue l’”amore per le idee”, nella mia metto l’amore per la creatività e per la sana adesione a se stessi. Quanto al “bisogna sempre sbrigarsela da soli” mi discosto un po’: se Guido fatica ad accettare aiuto dagli altri, credo di essere diventata meno rigida di lui nel tempo, con tutta la collaborazione di cui ho goduto nella mia professione di docente e nei rapporti dentro la mia nuova famiglia.
E’ finita una giornata vissuta in armonia. Mi sento bene, anche se il dialogo con la signora mi ha sbattuto in faccia che il dolore può farci così male e le pagine del nuovo libro mi hanno riportata alle mie manchevolezze. Mi sento al mio posto, anche se stare qui comporta avere paura e prendere la misura ai miei limiti.
Non so quali tra le infinite variabili della narrazione compariranno da pagina 23 in poi; non so intuire gli ostacoli che l’avvocato Guerrieri dovrà superare per condurre a termine il processo al figlio di Lorenza, che si presenta piuttosto difficile. Confido nella sua professionalità e nell’esperienza che ha maturato in ormai molti anni di attività come avvocato penalista.
Conosce i propri punti di forza e le fragilità, sa valutare i rischi e le risorse di cui dispone; saprà ricostruire pazientemente una verità, forse dovrà scegliere tra verità processuale e verità vera, credo che come altre volte cercherà di trovare la loro migliore intersezione. E poi il finale della storia potrebbe piacermi oppure no, spesso i finali sono scontati o poco plausibili o troppo espliciti. Insomma deludono.
Tuttavia non ho scelta, sono o non sono da sempre una lettrice? E allora non posso che accettare il rischio e procurarmi il piacere di continuare a leggere.
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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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