Ieri sera io e Rebecca ci siamo messe sul divano del soggiorno, con tanto di caramelle di gelatina a portata di mano e abbiamo rivisto per la terza volta il film Pensavo fosse amore invece era un calesse. Film del 1991 interpretato da Massimo Troisi e Francesca Neri con la colonna sonora di Pino Daniele. Un film che vinse diversi premi e sbancò il botteghino. La storia è quella di un amore che non finisce bene. Alla fine del film i due protagonisti invece di sposarsi si lasciano.
Triste e bellissimo il film, semplicemente triste pensare che sia Massimo Troisi che Pino Daniele sono morti da anni. Quel film sa d’addio, forse più del Postino di Neruda, l’ultimo poetico film dell’attore e regista Napoletano che si conclude con la morte del protagonista. Il giorno dopo la fine delle riprese del Postino, muore a quarantun anni Massimo Troisi. La morte del Postino e la morte del suo interprete quasi coincidono e questo impressiona.
La colonna sonora di Pensavo fosse amore e invece era un calesse è di Pino Daniele e la canzone che fa da leitmotiv si intitola Quando. Inizia così: “Tu dimmi quando, quando/ dove sono le tue mani ed il tuo naso/ verso un giorno disperato/ ma io ho sete/ ho sete ancora.”
Basta i primi versi per capire che parla di un addio anche la canzone. Il video ufficiale fu girato nel 1991 da un gruppo di gradi musicisti: Pino Daniele (Voce, chitarra e tastiera), Alfredo Paixão (basso), Rosario Jermano (batteria), Matteo Saggese (tastiera), Karl Potter (congas).
Finito il film ho salutato Rebecca che, già mezza addormentata se ne stava tornando a casa sua (viviamo in due appartamenti adiacenti che appartengono alla stessa vecchia casa di campagna) e sono rimasta lì con la tristezza nel cuore, pensando a questi due grandi artisti che sono morti giovani. Ma la poesia delle loro opere resta e, seppur a volte intristisce il cuore, è comunque poesia.
Vola alta sopra la terra e si dirige libera verso l’infinito. Attraverso la poesia si recupera una dimensione del vivere che dà luce. La poesia ci permette di non pensare al lavoro, alla salute, alle bollette, all’assicurazione della macchina e ci trascina verso l’attesa, lo stupore, il ricordo, l’amore. Tutti sentimenti nobili che sono il sale della nostra esistenza. Attraverso la poesia si riscopre un mondo che brilla, stupisce, soffre, si dispera.
La poesia porta lontano e apre delle porte. Chi canta, suona, scrive, recita, dipinge, danza sa perfettamente quanto si può arrivare in alto con essa. Attraverso la poesia si può diventare api che si posano leggere sui fiori, si può librarsi in aria come gabbiani piumati che volano nel cielo della sera, si può diventare belli, giovani e colti, ma anche soli e disperati. Lo struggente incedere rimato della poesia ci assoggetta ad un passo diverso del nostro vivere la vita e ci chiama per nome come le sirene. Cambiando passo cominciamo a vedere chi cammina come noi e scopriamo chi ci assomiglia, appartiene allo stesso volo, allo stesso stormo d’uccelli. Per questo Troisi era un mago, per questo piaceva tanto e faceva anche ridere.
Se provo a pensare a cosa sia per me poesia mi vengono in mente le sere di primavera quando sto appoggiata al muro bianco del cortile e guardo le nuvole che cambiano colore. Oppure quello strano e improvviso sentimento che ti assale quando i ricordi buoni si mescolano al presente e con lui danzano. Pensieri che ci riparano come una coperta d’oro, attimi che sfiorano l’esistere per portarci una carezza e dirci che siamo umani proprio perché camminiamo nel mondo. La poesia come manto scintillante che innalza lo spirito, come respiro che riempie la vita e la fa diventare un diamante.
Nella poesia prende corpo l’eccezione. Massimo Troisi e Pino Daniele erano due poeti, ed erano amici, lavoravano insieme. Perfino il ritornello di “Quando” fu prima scritto da Pino Daniele e poi cambiato da Troisi. Inizialmente il brano suonava così “e vivrò, sì vivrò,/ tutto il giorno per vederti ballare”. Questa prima versione fu sostituita, su suggerimento di Troisi stesso e fu cambiata in: “e vivrò, sì vivrò/ tutto il giorno per vederti andar via”. Ritorna in maniera ricorsiva la tristezza di questo film e di questa musica.
Nell’addio c’è l’apice di molte vicende sofferte, ma anche una speranza di ritrovata libertà. Dentro l’andar via c’è una persona, tutto quello che di lei non ci è piaciuto e anche tutto ciò che è stato buono. La persona che se ne va porta via tanti ricordi e li fa sembrare meno veri perché meno condivisi, non comunicabili. “Tra i ricordi e questa strana follia/il paradiso non esiste/chi vuole un figlio non insiste.”
Guardo Rebecca che, già sulla porta, si è girata e mi guarda: “Ma zia cos’hai? Hai una strana faccia”.
Lei quando è uscito il film non c’era, quando è morto Massimo Troisi nemmeno.
Le dico che sono dispiaciuta per quello che è successo ai due artisti che, con la loro poesia, hanno dato splendore al film che abbiamo appena visto. Lei mi guarda perplessa. Dice: “Prima o poi moriamo tutti”.
Già prima o poi moriamo tutti, ma la morte di queste due persone ha segnato un cambio di passo nella mia vita. Ha aperto la strada a una visione brillante e poetica dell’esistere. Ha anche aperto il cuore e gli occhi alla creatività delle parole, al dispiacere di perderle. A volte la poesia è come un alito che tocca l’immortalità e muore subito dopo. La capacità di Massimo Troisi e Pino Daniele di cogliere l’immortalità attraverso la poesia, ha dato loro in cambio la tristezza della morte.
Il film è finito da un po’, Rebecca esce dalla porta, dice che ha sonno, che va a lavarsi i denti. Sto tornando nel mondo materialista e consumista dove la poesia ha poco spazio, è poco amata e poco riconosciuta. Con il ritorno se ne va un po’ di tristezza e anche molta fantasia. “Tra i ricordi e questa strana follia/…”. Appunto.
Riaccendo la luce principale, faccio uscire il gatto. Chiudo con la chiave la porta, bevo l’ultimo bicchiere d’acqua.
Credo che per questa notte porterò nel sonno una meravigliosa canzone che si intitola “Quando”.
Alla prima occasione comprerò a Rebecca lo spartito della canzone, così la potrà imparare al pianoforte. Le opere d’arte una volta finite non appartengono più all’autore, appartengono a chi le trova e le ama per quel che sono. Poi ognuno di noi vede in Quando un suo addio, una sua partenza, una possibile libertà e la struggente malinconia dei giorni grigi. E poi Troisi era un bell’uomo, moro, alto, con la pelle liscia. Un principe, un poeta, un mago.
Come non andare a dormire così.
Cover: Masimo Toisi, ritratto (wikimedia commons)
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Costanza Del Re
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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