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La situazione e, di conseguenza, la discussione sui vaccini per contrastare la pandemia si è fatta incandescente.  E, come sempre, si moltiplicano prese di posizioni, comunicati, opinioni, molte volte contrastanti, che rischiano di produrre un’insopportabile cacofonia. Forse, allora, bisognerebbe fissare alcuni punti fermi, magari ponendo domande scomode.

1) Perché si sono costruiti contratti con aziende farmaceutiche prima ancora che arrivasse l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’EMA (Agenzia europea del farmaco)? Nei giorni passati abbiamo assistito ad una polemica rovente tra UE e AstraZeneca sul ritardo delle consegne rispetto al contratto sottoscritto, ma l’EMA ha autorizzato il vaccino solo venerdì scorso.
Allo stato attuale, secondo le comunicazioni ufficiali dell’Unione Europea, sono stati sottoscritti contratti da parte della stessa UE per l’acquisto di vaccini da Biontech-Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Sanofi-GSK, Jansenn Pharmaceutica ( Johnson & Iohnson) e CureVac, ma solo i primi 3 sono stati autorizzati. Non c’è dubbio che ci sia stata una corsa forsennata tra Stati e aziende per arrivare in tempi brevi a somministrare il vaccino, obiettivo in sé più che giusto, ma non è che si siano anteposti interessi commerciali e politici, appunto le definizioni contrattuali, alla verifica della loro sicurezza ed efficacia? E’ solo un pensiero malevolo quello, suggerito da molti, che ci siano pressioni perché l’EMA “si sbrighi” a procedere con le suddette autorizzazioni?

2) Perché i contratti sono segretati? Sempre nella polemica tra UE e AstraZeneca sono volate parole grosse tra chi, la prima, ha denunciato l’azienda di violare i patti sottoscritti e la seconda, che per bocca del suo amministrazione delegato Soriot, avrebbe dichiarato che AstraZeneca non ha alcun obbligo rigido con l’Europa  sulla forniture, ma solo un “best offert”, ossia l’impegno a fare del proprio meglio. Ora, chi ha ragione? Perché non vengono resi pubblici i contratti sottoscritti, negati persino ai parlamentari europei, oltre a quello con CureVac e la stessa AstraZeneca, che peraltro sono pieni di molti omissis? Ci sono forse clausole, come adombrato da diversi organi di stampa, per cui le aziende sono tutelate in caso di mancato rispetto del cronoprogramma e addirittura nel caso di eventuali reazioni avverse prodotte alle persone vaccinate, nel qual caso dovrebbero intervenire i singoli Stati?

3) E’ possibile capire meglio quali sono i costi previsti per i cittadini europei, visto che anche questi non sono chiari e che parliamo di risorse pubbliche stanziate dall’Europa, per affrontare la campagna vaccinale? E anche approfondire i prezzi riconosciuti alle varie aziende per la produzione del vaccino?
A quest’ultimo proposito, siamo addirittura in presenza di una sorta di giallo: a metà dicembre la sottosegretaria UE al Bilancio del Belgio Eva De Bleeker ha postato ‘per errore’ sui social uno screenshot in cui erano riportate tutte le cifre, cancellandolo subito dopo. “Volevo essere trasparente, ma forse lo sono stata un po’ troppo”, ha dichiarato poi la De Bleeker.
Ancora più sconcertante la replica del portavoce della Commissaria UE alla Salute  Stefan de Keersmaecker, nel momento in cui ha affermato che “non possiamo pronunciarci, i prezzi dei vaccini sono coperti da clausole di confidenzialità per buone ragioni”, tra le quali il fatto che la Commissione “sta tuttora negoziando con altri produttori”. Sta di fatto che, secondo indiscrezioni, il prezzo dei vari vaccini sarebbe di circa 15 € a dose per Moderna, 12 € per Biontech/Pfizer, 7,56 € per Sanofi/GSK, 10 € per CureVac, circa 7 € per Johnson & Johnson e 1,78 € per AstraZeneca. Come si giustificano tali differenze di prezzo, che variano in un intervallo quasi da 1 a 10?
Sempre per stare in tema di prezzi, desta una certa preoccupazione sentire la risposta dell’amministratore delegato di Pfizer Italia Kerkola che, a fronte del rilievo dell’intervistatore che chiede la ragione per cui lo stesso vaccino sarebbe venduto a 15 € all’Ue, a 19,5 $ agli USA, a 28 $ a Israele e a 10 $ al Sudafrica. Dice Kerkola laconicamente: “I nostri prezzi rimangono riservati”.

Insomma, mi pare ci siano tanti buoni motivi perché trasparenza e informazione corretta siano dovute ai cittadini e soddisfatti i legittimi interrogativi che si stanno addensando su questa vicenda. Ma c’è qualcosa di più che non torna e attiene proprio al modello di fondo, cioè nel sistema di relazione e decisione nel rapporto tra entità statali e aziende.
Provo ad avanzare un’ipotesi: alla base, a me pare ci stia un intreccio perverso tra ricerca del profitto da parte delle imprese e acquisizione del consenso dei cittadini da parte dei singoli governi, dimostrando di fare presto e bene per uscire dalla pandemia (oltre che far ripartire l’economia). Parlo di intreccio perverso, perché questi sono interessi potenzialmente confliggenti, in cui più forti comunque sono quelli delle grandi aziende farmaceutiche (i dati dei profitti di Pfizer pubblicati dal Sole 24ore fanno strabuzzare gli occhi), che sembra dar luogo a scontri anche pesanti, ma che in realtà stanno dentro un quadro per cui ciascuno di questi soggetti riconosce le ‘ragioni’ dell’altro, determinano regole del gioco comunque alla fine condivise e che provocano una contrattazione continua solo tra di essi, ma, proprio per questo, dovendo escludere le persone destinatarie di tali interventi.
Da qui la riservatezza, meglio dire la segretezza degli accordi e la loro rinegoziazione senza alcuna trasparenza. Siamo dentro un connubio negativo tra potere semimonopolistico delle grandi aziende farmaceutiche e ‘nazionalismo vaccinale’ – di cui è esempio anche il provvedimento dell’Ue di controllo delle esportazioni dei vaccini, giustamente bacchettato dall’OMS, praticato in primo luogo dai Paesi ricchi,

come giustamente denunciato dal presidente del Sudafrica Ramaphosa, le aziende multinazionali realizzano grandi profitti, gli Stati contrattano con le stesse sulla base del loro potere e ricchezza e la salute delle persone arriva come buona ultima e risultante di questi rapporti.
Eppure, un’altra strada ci sarebbe, quella indicata sempre dal Sudafrica e dall’india, sostenuta da un centinaio di Paesi all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ovvero quella di considerare il vaccino bene comune globale, introducendo una deroga sui brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale in relazione a farmaci, vaccini, diagnostici, dispositivi di protezione personale e le altre tecnologie medicali per tutta la durata della pandemia.
Si tratta di un provvedimento possibile e praticabile, previsto dall’art. IX comma 3 e 4 dell’Accordo di Marrakesh che ha costituito l’Organizzazione Mondiale del Commercio e che consentirebbe la produzione di massa in tutti i Paesi di trattamenti e vaccinazioni contro la pandemia e potrebbe ridurre significativamente la durata della stessa. Una proposta più che ragionevole, che, ahimè, ha il difetto di tagliare i profitti di Big Pharma e che trova l’opposizione di Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e UE.

A maggior ragione, allora, è utile sostenere ICE( Iniziativa dei Cittadini Europei), promossa da un nutrito gruppo di movimenti e soggetti europei e italiani, che va nella medesima direzione: per leggerla clicca [Qui] e per firmarla clicca su sostieni questa iniziativa. Con 1 milione di firme raccolte in tutt’Europa, da raggiungere entro la fine del gennaio 2022, si obbliga la Commissione Europea a discuterla, visto che l’ICE è strumento istituzionale previsto dalla stessa normativa europea.
Forse non sarà sufficiente, ma intanto può essere un segnale importante quello di far scendere in campo movimenti sociali, associazioni, persone, soggetti politici che guardano ad un’alternativa di sistema. Perché, in ogni caso, senza il loro ritorno ad essere protagonisti non riusciremo certo ad evitare di essere prigionieri tra la Scilla del mercato e il Cariddi di una governabilità statuale subalterna e senza progetto, anche quando parliamo della vita e della salute dell’umanità intera.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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