C’è chi esulta, chi si strappa i capelli, chi si espone e chi si nasconde abilmente. Chi millanta, chi azzarda pericolosamente, chi crede ancora e chi ha rinnegato già da un pezzo. C’è anche chi cambia postazione, chi si impone con tracotanza, chi emerge perché conviene, chi abbandona la scena, chi manda avanti i suoi pretoriani, chi combatte contro i mulini a vento, chi trama nell’ombra, chi minaccia apertamente. C’è anche chi tace, chi parla troppo, chi si aggrappa alla sedia e chi rifiuta qualsiasi segno di distensione.
Siamo persi in un momento storico – e non è nemmeno la prima esperienza – in cui vale tutto e il contrario di tutto, un panorama confusionale in cui si invocano le urne anticipate, si scongiura a tutti i costi la caduta di un governo, si costruiscono compromessi ballerini legati più alla fantapolitica che alla realtà, si ipotizzano percorsi alternativi, alleanze imbastite all’ultimo momento, sodalizi che valgono il tempo che trovano, per poi smentire successivamente con altri racconti.
E’ una politica frantumata, fallimentare; l’immagine di un grande convoglio senza riferimenti saldi, guide sicure, dove ognuno tira dalla propria parte ignorando o colpendo gli altri senza esclusione di colpi, offrendo garanzie di credibilità ciascuno per la propria compagine, screditando gli altri. Nemmeno la parvenza di una sana, giusta, affrontabile e necessaria opposizione di fronti diversi, dove dialettica e dialogo possono e devono trovare un baricentro per non affossare l’intero Paese.
E la coreografia di tutto ciò è la pandemia, che sullo sfondo dei suoi disperati momenti di affanno sociale, chiederebbe ben altro dalla politica, dalle decisioni di chi delegato ad assumersele, da un insieme di persone oneste e capaci di intessere rapporti risolutivi per uscirne tutti il prima e il meglio possibile. In un contesto difficile si vanno a rafforzare pesantemente le criticità additando l’avversario, ridicolizzando chi suggerisce e tenta soluzioni, sminuendo gli sforzi e i tentativi di coloro che nonostante e malgrado la grande incognita che abbiamo davanti agli occhi, si impegnano aldilà degli slogan, delle millanterie, delle rivendicazioni, dei simboli di appartenenza sbandierati come medaglie al valore. Chi più, chi meno, nessuno esente. Un mea culpa duro da recitare, quando si parla di potere e dove la diffidenza, il sospetto, i retropensieri intenzionali diventano patologici.
Non abbiamo bisogno dei McBeth di William Shakespeare, dei Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga, dei Julien Sorel di Stendhal, dei Jean Luc Daguerne di Irène Némirovsky e popolazioni intere di personaggi in cui ambizione, potere e denaro diventano l’unico obiettivo che li snatura, strappandoli da ciò che hanno attorno.
Abbiamo piuttosto il diritto di poter contare su chi ci governa, sicuri che i principi fondanti di una società sana come onestà, umanità, giustizia, trasparenza, responsabilità vera, vengano rispettati.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it