La guerra davanti a noi
La guerra davanti a noi
Avevo avuto modo di scrivere su queste pagine (vedi Qui) che la decisione di Trump di cambiare la denominazione di Ministero della Difesa in Ministero della Guerra assumeva un valore simbolico più forte di tanti discorsi.
Ora, con la pubblicazione del documento della Strategia di Sicurezza Nazionale USA di poche settimane fa, a firma di Trump, siamo in presenza anche di un discorso articolato e preciso di come gli Stati Uniti intendano riaffermare il proprio ruolo di superpotenza dominatrice del mondo. Il nuovo paradigma imposto da Trump nella visione di un nuovo ordine (o disordine?) mondiale viene messo nero su bianco ( vedi qui il testo in inglese).
In estrema sintesi, esso si basa su 4 pilastri di fondo:
intanto, l’idea che gli USA rimanga il Paese “ più forte, ricco, più potente e di maggior successo del mondo per decenni a venire”, l’ America First, che dovrebbe essere supportata dal possedere l’apparato industriale-militare-informatico e finanziario più importante del pianeta. In secondo luogo, sul fatto che “ l’unità politica del mondo è e rimarrà la nazione-stato”, rinfocolando i nazionalismi già oggi troppo diffusi, visto che “ Il mondo funziona meglio quando le nazioni difendono i propri interessi”. Ancora, altro punto dirimente è che “la pace si costruisce attraverso la forza”, ovvero che i rapporti di forza sono il metro di misura con cui si guarda all’equilibrio mondiale. Infine, ma certamente non secondario, si proclama che “l’era della migrazione di massa è finita”, che la difesa dei confini è parte essenziale della sovranità e che, accanto e in relazione a ciò, occorre “il ripristino e il rinvigorimento della salute spirituale e culturale americana”, che si declina con la messa al bando della cultura woke e delle politiche DEI ( Diversity, Equity, Inclusion).
Questi fondamentali disegnano uno scenario distopico, una realtà mondiale strutturata sullo scontro commerciale e militare, di cui il ricorso alla guerra è componente “naturale”, sulla crescita esponenziale delle disuguaglianze e sulla repressione del dissenso e delle minoranze. Un’idea che si attaglia perfettamente all’archetipo del maschio suprematista bianco e che indica una traiettoria di carattere neofascista, per chiamare le cose con il loro nome.
Da questi presupposti muove il giudizio e l’atteggiamento del regime trumpiano nei confronti delle altre realtà statuali. Si capisce chiaramente – anche se qui, forse non a caso, il testo è meno esplicito rispetto alle parti dedicate ad altri Stati- che la Cina è vista come la reale minaccia nel gioco della supremazia mondiale, che va fronteggiata sul piano economico, tecnologico e militare ( qui c’è un passaggio significativo, anche se poco commentato, relativo alla necessità di difendere la cosiddetta linea della First Island Chain, e cioè la catena di isole che va dal Giappone alle Filippine, passando ovviamente per Taiwan).
L’America del Sud non è praticamente citata, inserita semplicemente nell’Emisfero Occidentale – dizione assai rivelatrice- per la quale si riafferma la “dottrina Monroe”, cioè considerata come “cortile di casa” degli Stati Uniti.
Sorte analoga tocca all’Africa, cui è dedicata mezza paginetta, che di per sé la dice lunga sulla miopia dell’attuale Amministrazione americana, incapace di cogliere e leggere le trasformazioni importanti che qui si produrranno negli anni a venire, se non attraverso la lente di uno spirito neocoloniale.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, dopo aver enfatizzato la pace ( sic!) raggiunta grazie all’intervento di Trump, si avanza una lettura per cui quest’area è meno strategica rispetto al passato, sottolineando che gli USA dipendono ormai poco dalle fonti energetiche lì presenti e che, semmai, il problema potrebbe consistere nel fatto che qualche nemico esterno se ne possa impossessare, da cui l’importanza di stringere accordi e fare affari con diversi Stati dell’area, rilanciando i cosiddetti “ accordi di Abramo”.
Ben più attenzione ha l’Europa: sull’impostazione in proposito di Trump molto è già stato scritto e si può semplicemente riassumere dicendo che che l’obiettivo delineato è quella di farne un “gruppo di nazioni allineate”.
Questa definizione è decisamente chiara: gruppo di nazioni, facendo sparire ogni riferimento alla costituzione di una realtà federale e, pensando, al più ad un qualche elemento di coordinamento tra nazioni distinte e soprattutto allineate, ovvero non solo vassalle, ma che abbraccino in toto l’ideologia trumpiana.
Non a caso qui si legge che l’Europa necessita di un “rilancio dello spirito”, che, in primo luogo, è compito dei “partiti europei patriottici” e che, peraltro, gli USA si sentono impegnati per “costruire le nazioni sane dell’Europa centrale, orientale e meridionale attraverso legami commerciali, vendite di armi, collaborazione politica e scambi culturali ed educativi”(da notare l’assenza di riferimenti all’Europa occidentale).
In questo contesto si colloca anche il rapporto con la Russia, in realtà trattata più in relazione alla guerra con l’Ucraina e, al massimo, tra le righe, accreditata come media potenza.
Insomma, è evidente che il documento propugna un’idea netta del futuro dell’Europa, togliendo di mezzo qualunque velleità di sua costituzione come reale soggetto politico sovranazionale e, invece, appoggiando esplicitamente un ruolo ancora più preminente della destra neofascista per arrivare al ridimensionamento dell’UE.
Il punto, però, è che non ci si può semplicemente lamentare, come fa la gran parte della stampa mainstream, di una sorta di aggressione di Trump all’Europa, perché, in realtà, le dinamiche in corso in Europa hanno già iniziato ad andare incontro a questi desiderata statunitensi.
Vediamo, infatti, crescere, praticamente in tutti gli stati europei, uno spirito nazionalistico e assistiamo a politiche dell’Unione Europea sempre più vicine agli orientamenti degli USA, il tutto promosso da una sorta di una maggioranza politica reale che, al di là di quella formale che appoggia von der Lyen, ha sempre più il baricentro nell’alleanza non dichiarata tra Partito popolare e destra neofascista.
In tema di risorgenza dello spirito nazionalistico, basta pensare alle inquietanti dichiarazioni del cancelliere tedesco Merz dopo l’uscita del documento della strategia USA quando afferma che “America first può andare bene, ma non l’America alone” e che, se Trump non vuole prendere in considerazione l’Europa, allora può prendere come partner la Germania. Per quanto riguarda, poi, le politiche europee che si stanno mettendo in campo ultimamente, è sufficiente analizzare le scelte a favore del riarmo, quelle relative ai migranti, con le esternalizzazione delle frontiere, o quelle che depotenziano l’European Green Deal per rendersi conto come le stesse stanno sempre più avvicinandosi all’impostazione trumpiana.
In realtà, per fronteggiare l’offensiva trumpiana, sempre che lo si voglia, l’Europa ha bisogno di un grande balzo e della costruzione di un nuovo orizzonte. Non però quello che sembra suggerita da quel che resta di una fragile socialdemocrazia, in una chiave di pallido riformismo.
In queste latitudini si avanza l’ipotesi di un’Europa che avanza verso il federalismo, supera il meccanismo del voto unanime, aumenta il proprio bilancio centrale e le risorse comuni, ma per indirizzarle verso il riarmo e la difesa europea, il salto tecnologico e per un rilancio produttivo basato su questi assi. Per intenderci, quanto contenuto nell’ormai defunto piano Draghi per l’Europa.
Una prospettiva che, ovviamente, non piace agli Stati Uniti, che non ha certamente voglia, nella versione dell’American First, di avere a che fare con un partner-rivale di una certa importanza, ma che, nello stesso tempo, appare del tutto irrealistica e sbagliata. Sia per le dinamiche in atto nel campo europeo, che ho tratteggiato sopra, sia perché provare a contrastare la logica di superpotenze di USA e Cina, inseguendole e stando sullo stesso terreno, si finisce non solo nella parte del vaso di coccio tra i vasi di ferro ma, ancor più, si contribuisce a rafforzare l’idea che un ruolo forte nel mondo si gioca solo sul piano dei rapporti di forza economici e militari, che spingeranno sempre più nella logica dello scontro commerciale e della guerra.
La svolta che dovrebbe compiere l’Europa è quella di prendere un’altra direzione: promuovere la pace, favorire le relazioni diplomatiche al posto del riarmo, lavorare per un multilateralismo che inglobi anche l’affermazione dei diritti, relazionarsi con altri stati e aree del mondo al di fuori della retorica del primato dell’Occidente, riconvertire il proprio apparato produttivo verso la produzione di beni comuni (compreso un altro modo di progettare e regolare il salto tecnologico in corso) e la transizione ecologica, pensare ad un’idea di sicurezza ben più ampia dell’attuale e non basata semplicemente sulla forza militare, rinnovare ed estendere il proprio sistema di Welfare.
Insomma, per dirla in breve, imboccare la strada di un ripensamento radicale del proprio modello sociale. Si obietterà che tutto ciò sta fuori dal mondo che conosciamo e che delinea una prospettiva che può apparire utopistica: tutto vero, ma non sarà ora di iniziare a pensare con categorie nuove e porsi l’obiettivo di cambiarlo realmente questo mondo, visto che, così come sta procedendo, rischia di portarci tutti quanti, se non verso l’annientamento della specie umana, in una società nella quale le condizioni di vita non possono essere più definite appunto come umane? Certo, ci vogliono molte forze per poter rendere credibili queste opzioni.
Serve un grande movimento popolare, di dimensione perlomeno europeo, capace di suscitare energie e speranze, che, però, almeno potenzialmente, sono presenti nelle nostre società, come da ultimo – penso in primo luogo allo straordinario movimento di solidarietà con il popolo palestinese- recenti vicende hanno dimostrato. In ogni caso, occorre lavorare perché tutto ciò abbia la possibilità di realizzarsi.
Cover: soldati in Sudan – rivista Africa su licenza Wikimedia Commons
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Analisi chiarissima, con il pregio della perfetta sintesi e della solidità delle tesi espresse. Credo sia molto utile in un periodo che a molti pare tanto confuso e buio.
Purtroppo per il cambiamento occorre ben di più di un movimento che si è mosso sulla base più di una spinta emozionale, che di una chiara linea politica.