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La prepotenza agita contro altri può essere un attacco con lo scopo di ferire oppure può essere una difesa per paura di essere a propria volta attaccati. I fenomeni di bullismo ci sono sempre stati, ma mai tanto perversamente esibiti da quando la diffusione dei mezzi di comunicazione contemporanei ne rendono la diffusione in rete così capillare.
Gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni sono intenzionali, cioè sono messi in atto per provocare un danno alla vittima. C’è persistenza nel tempo: le azioni dei bulli durano per settimane, mesi o anni e sono ripetute. Riguardano soprattutto bambini o ragazzi, in genere in età scolare, che condividono lo stesso contesto, più comunemente la scuola.
Vi è un’asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce, per ragioni che possono essere di età, forza, genere o per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei. La vittima in genere già prima di subire ‘violenza’ ha problemi di integrazione col gruppo dei pari, non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette e ritorsioni ulteriori.
Il bullismo non è né uno scherzo (in quanto nello scherzo l’intento è di divertirsi tutti insieme e non di ferire l’altro), né un conflitto fra coetanei, che avviene in determinate circostanze e può accadere a chiunque.
Un mio paziente così racconta il suo brutto incontro con la prepotenza altrui: “Quando entrai al liceo le cose precipitarono…venni preso di mira da un gruppo di ragazzini, io ero quello magrino, con gli occhiali, con la “R” moscia e la “S” sibilante, effeminato e un po’ diffidente. Quindi ero la vittima perfetta. Iniziò tutto con degli scherzi stupidi, fatti durante l’intervallo, mi nascondevano quaderni, astucci, libri ecc. e a niente servivano le mie preghiere di restituirmele. Un giorno rimasi, completamente in balia dei miei aguzzini che mi colpirono con schiaffi, pugni e calci, finché non si stancarono e tutto questo durante un’assemblea di istituto. Un giorno i miei genitori stanchi di vedermi in lacrime ogni giorno, decisero di parlare con il preside, lui chiamò i miei compagni nel suo ufficio e da li le cose migliorarono”.
Gli atti di bullismo avvengono sempre su una scena, davanti ad una platea: umiliare la vittima è parte integrante di questo rituale. II bullo utilizza il gruppo per ricavarne forza.
Chi è vittima vive un costante senso di terrore e di mortificazione e paradossalmente questo lo fa sentire parte di qualcosa, parte di un gruppo. Da un certo punto di vista meglio essere vittime che non definirsi affatto.

Il bullo e la vittima condividono la stessa radice: l’insicurezza e ricacciano nell’altro ciò che non possono riconoscere di sé, cioè debolezza o forza. Condividono inoltre la stessa posizione soggettiva rispetto al mondo: l’isolamento (si sentono esclusi).
Essere bullo/vittima dà un’identità: è sempre più rassicurante che non potersi definire affatto. Il bullo per dirsi forte ha bisogno di misurarsi sul debole, così come la vittima per definirsi tale ha bisogno di un carnefice. L’uno è necessario all’altro: sono due figure complementari. Se li si sanziona come provocatori o li si conforta come vittime l’esito è di confermarli nella falsa identità che quel ruolo assicura loro e non li si aiuta ad abbandonare quella posizione soggettiva.
Un altro mio paziente così descrive la sua esperienza alle medie: “La consapevolezza che le parole possano essere affilate come coltelli l’apprendi all’età di dodici anni, proprio quando vedi il tuo corpo cambiare e il più delle volte non lo sta facendo come sperato. A dodici anni, se la fortuna non gira bene, puoi ritrovarti a frequentare ambienti pieni di squali rabbiosi, che non si sa per quale buona ragione hanno voglia di comunicare a tutti i costi come e chi sei; ci tengono a rivelarti il tuo orientamento sessuale, a farti sapere se sei brutto o grasso, vestito bene o male. Possono fartelo sapere in vari modi, urlandolo davanti ad altra gente, oppure sussurrandolo all’orecchio. Possono scrivertelo su ogni pagina del quaderno di matematica, quando sei fortunato, o peggio ancora sui muri della scuola. Quello che tu sai o sei veramente conta poco, non interessa, passa in secondo piano. Tali gesti che oggi, avendo raggiunto la maggiore età e la consapevolezza della loro gravità, sembrano essere impensabili nella realtà di ognuno di noi, quando hai dodici anni possono essere il pane quotidiano”.
È proprio la percezione di non essere padrone in casa propria, che qualcosa di sé non si lascia dominare a spingere i bulli a spadroneggiare sugli altri. D’altra parte la vittima è fin troppo consapevole dei propri limiti e pronto a tutto, anche a sacrificare se stesso per poter credere che ci sarà un tempo in cui troverà la forza per reagire.

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Chiara Baratelli

È psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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