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di Lorenzo Bissi

L’8 marzo è stata la Giornata internazionale della Donna, e in 50 Paesi, milioni di persone hanno aderito allo sciopero globale.
Si è creato un momento di solidarietà, un momento in cui si è chiesto di cessare le violenze di genere.
Penso proprio che però non sia grazie alla Festa della Donna che si faranno passi avanti su questi problemi.
Dico ciò perché il giorno dopo tutto torna come prima: i fidanzati regalano un mazzo di mimose alle loro compagne, e poi tornano a trattarle in modo prepotente, fregandosene di quello che è stato; ma lo dico anche perché molte donne l’8 marzo sono felici di far sapere, con un mazzo di fiori in pugno, di essere corteggiate, e, indifferentemente dall’aver partecipato o no alle manifestazioni la mattina dopo sembra che per loro la violenza su quelle che il giorno prima chiamavano sorelle non esista, o, se esiste, non è affare loro. Scompare la solidarietà, e dietro a questo lenzuolo dal bellissimo aspetto si cela l’ipocrisia e l’indifferenza di tutti.
E il più grande errore è stato lottare per istituire una giornata, e poi festeggiare per i risultati ottenuti.
Istituire questa giornata significa riconoscere che le donne sono inferiori. Istituire significa farle strillare per ventiquattro ore tanto da far perdere loro la voce per gli altri 364 giorni.
Istituire significa imporre dall’alto che le manifestazioni si svolgano quel giorno, controllarle, e magari attribuire un sottotitolo, o un motivo per cui protestare a seconda di come tira l’aria.
Le suffragette non scendevano nelle piazze perché esisteva la giornata nazionale del suffragio universale, ma perché volevano ottenere a tutti costi il voto, lottando tutti e trecentosessantacinque giorni all’anno. Era per un’ideologia partita dal basso, dalla casa di ogni donna, dal cuore di ogni donna, e non da un disegno di legge.
Le donne scioperino tutti i santi giorni, cosicché gli uomini si rendano conto che il mondo da soli non riescono a mandarlo avanti!
E invece si accontentano di festeggiare, di ricevere le mimose e di manifestare contro la violenza di genere l’8 marzo, senza rendersi conto che istituire la giornata Internazionale della Donna è stata la più grande violenza mai commessa nei loro confronti.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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