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di Marcella Mascellani

Apprendo, su di un social, della denuncia di un marito relativa alla scomparsa della moglie che poi, in realtà, aveva deciso di lasciare lui e i figli fuggendo con l’amante. Non entro nel merito perché non ne ho alcun diritto. La notizia, tuttavia, mi porta a riflettere sul fatto che, forse, era troppo difficile dire che se ne sarebbe andata e che così soddisfatta della propria vita non fosse.
Avrebbe fatto così scalpore la fuga di un uomo? Non credo. Almeno una volta all’anno sento di uomini che se ne vanno di casa per un’altra donna noncuranti di lasciare figli e magari anche la propria madre in casa con la moglie. Si sentono più sicuri e tranquilli.
Sicuramente le critiche più feroci verranno dalle donne stesse, dalle protettrici del focolare domestico. Alcuni uomini, seduti sul divano e con lo sguardo sornione, penseranno che in fondo veder ogni giorno la propria moglie dar posto alla sciatteria (vi ricordate la canzone del di Charles Aznavour “Ti lascia andare”) fin dei conti non è poi un prezzo così alto rispetto a correre il rischio che se ne vada con un altro e lo faccia in maniera teatrale finendo su tutti i giornali. Non so se avete mai notato come sono orgogliosi gli uomini quando descrivono la propria moglie, o compagna, che si scapicolla dalla mattina alla sera? Innalzano il pensiero su di lei come una coppa lucida di metallo e cantano vittoria. L’importante è che non ceda e che abbia tutto sotto controllo.
Tutto questo mi fa pensare alla nostra condizione.
Anni fa, scusate l’imprecisione, sicuramente almeno dieci e forse più, mi capitò fra le mani un opuscolo curato dal Comune di Ferrara e dall’Azienda Usl sulla depressione femminile in prevalenza causata dal sovraccarico famigliare. Ricordo un ordinato libretto di una decina di pagine, con tanto di numeri di telefono ed indirizzi ai quali rivolgersi in caso di bisogno. Tale stampato ci descriveva benissimo nel nostro disperato tentativo, non sempre fruttifero, di far coincidere tempi di vita personale e lavorativa che insieme formano il grande puzzle della nostra giornata.
Tocca a noi donne provvedere, in prevalenza, alla cura dei figli, dei genitori e di tutti coloro che possono aver bisogno di aiuto durante l’arco della nostra vita. In fondo siamo noi che siamo state educate (e continuiamo ad educare le nostre figlie) a prenderci cura degli altri e a tenere le redini del mondo che ci circonda.
Allora cominciamo col dirci la verità; il sovraccarico famigliare per una donna che lavora, o non lavora, e magari ha anche figli o persone da accudire è una condizione inevitabile. Nel caso lavori fuori casa si aggiunge, spesso, una situazione economica che non sempre consente di ricorrere ad un aiuto domestico. Talvolta, per quanto riguarda i figli, deve fare i conti con un parco nonni ancora impegnato nell’attività lavorativa o di età troppo avanzata per accudire i nipoti, vista la scelta di diventare genitori sempre più ritardata.
La giornata di noi donne inizia la mattina molto presto (prima che sia spuntato il sole per i Teletubbies) e termina a sera inoltrata, con buona pace divina. Ci incontrate per strada in macchina, trafelate e spettinate (abbiamo ancora l’impronta del cuscino stampata sulla testa) alla conquista della scuola materna che dista a circa 15 km dalla nostra vita. Ci rivedrete subito dopo sfrecciare nel disperato tentativo di conquistarci un parcheggio che, velocemente, all’uscita dal lavoro ci consenta di cimentarci in quel paradossale e frenetico mondo che è la nostra quotidianità.
Poi si va avanti con la vita e ci sono i genitori o i suoceri da accudire. E allora via con i sensi di colpa, con gli incontri con l’assistente sociale, la risposta al quesito “badante o casa di riposo?” – Tra quanto entrerà in convenzione? Mamma, papà, come non vuoi stare qui? Come non vuoi quella persona in casa? Per ora ci sto io, dormo da loro, non importa se sul divano, non importa se mi sveglierò sette o otto volte in una notte. Non posso, non devo, con tutto quello che hanno fatto loro per me! –
Augurandomi con tutto il cuore che la fuga di ogni donna che violi la legge morale, che si elevi a paladina della libertà di scegliere e di sottrarsi al destino, sia dettata da un allontanamento dalla routine e non da altri motivi, la invito, però, prima di prendere qualsiasi decisione, a leggere Innamoramento e amore di Francesco Alberoni o ascoltare la canzone di Mina Non tornerò. Leggendo o ascoltando una delle due, troverà traccia del fatto che nel giro di pochi anni la vita con l’innamorato si trasformerà in una vita routinaria simile a quella che aveva con il marito.
E così che va il mondo delle donne. Le donne hanno un cuore grande, sanno trovare il lato bello della cura, sognano mentre si occupano di un bambino o di un anziano. Sanno prendere il sole su di una panchina regalando un sorriso a chi è vicino, che sia una carrozzina con un bambino o un anziano seduto. Sanno trovare, con la dovizia di un ricercatore, un fazzoletto che sia scomparso dalle mani del loro figlio o del loro padre, sanno quando è arrivato il momento di allungare la bottiglia di acqua invitando a non disidratarsi, che sia la loro figlia o la loro madre. E, dando libero pensiero all’antico quesito che chiude la loro giornata, s’interrogano “ma stasera cosa preparo per cena?”

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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