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Il “Centro” (politico) manca perché… non c’è più.

“Le crisi politica e il centro che manca”. Così Luigi Viviani, stimato amico e già ex sottosegretario nel Governo Prodi, titola un suo post, richiamando l’analisi di Pietro Craveri (“Dalla democrazia incompiuta alla postdemocrazia”) che individua nella mancanza di un partito di centro uno dei problemi della crisi italiana.

Laspirazione a un nuovo partito nuovo di centro, riformista e moderato, si scontra con quanto avvenuto negli ultimi 30 anni (non solo in Italia) per via di una iper-globalizzazione guidata dai mercati e dalla finanza iper-liberista.
In questo nuovo quadro, la politica (come regolatore) ha contato sempre meno, e si è prodotta una gigantesca disuguaglianza tra paesi e all’interno dei singoli paesi occidentali, causando una “rottura” con quanto avvenuto nei primi 50 anni del secondo dopoguerra (fino al 1991).

Quel passato, ormai lontano, appena citato, fu un periodo “glorioso”. Vide la ricostruzione dei paesi europei (vincitori e vinti) basata su una straordinaria spinta morale, economica e sociale all’insegna dell’uguaglianza, della giustizia e di un welfare universale che portò ad un miglioramento senza precedenti ceti deboli e operai e una estensione della classe media.
Il limite fu la distruzione del mondo contadino (e dei suoi valori), non rendendosi conto dei danni sopravenienti da coltivazioni e allevamenti intensivi, dall’abbandono delle terre alte e dell’inquinamento urbano.

Da 30 anni, abbandonata quella spinta morale e l’orizzonte egualitario (sostituito con quello della “modernità”), assistiamo ad un impoverimento non solo delle classi più deboli e di chi lavora, ma ad un forte ridimensionamento della classe media. Gli unici a guadagnarci sono una ristretta élite ricca (un fenomeno tipico di tutto l’Occidente, Stati Uniti inclusi).
Testimone fedele è la nostra Banca d’Italia (da sempre liberista) che ci informa che dei 4,1mila miliardi di patrimonio (tra conti bancari, azioni e fondi – case escluse-) degli italiani al 2022, metà di questa gigantesca ricchezza (2mila miliardi) è nelle mani del 3% più ricco e il restante 17% più ricco ha altri 1,2mila miliardi.
Ciò che rimane è pochissimo sia per quella che fu la “classe media”, per non parlare di quel 30% di italiani più poveri che non possiede nulla.

Quindi, solo un 20% di connazionali sta bene (o molto bene) come soldi (possiede una bella casa e ha da 200mila a un milione di euro in banca tra depositi e azioni). Per non parlare dei ricchi sempre più ricchi. Ma la classe media è quasi scomparsa e gli altri vivono una fase di impoverimento che sembra non finire.
Stessa cosa se si analizzano i redditi: il 30% delle famiglie italiane più povere non arriva a 13mila euro all’anno, il 60% non va oltre i 30mila euro (e stiamo parlando non di individui ma di famiglie), un altro 19% ha tra 30 e 45mila euro, che è difficile definire “classe media” con l’inflazione di oggi. Il 12,8% ha tra 45 e 69mila euro (una classe media alquanto impoverita) e infine solo l’8% delle famiglie guadagna oltre 70mila euro (la fonte dei dati è l’indagine sulle famiglie della Banca d’Italia, 2022).

Difficile in queste condizioni che si formi un partito di Centro.

Ma al di là dei soldi, i ceti deboli e gli operai hanno visto cambiare in modo enorme la loro vita in quanto è scomparso quel ricco tessuto di relazioni e comunità che un tempo rendeva “piena” la vita. Semmai sono i ricchi oggi che hanno una ricca rete di relazioni.
Non possiamo poi non notare che l’occupazione italiana non cresce da 20 anni (anzi il monte ore lavorato è in calo di 4 miliardi), il welfare è in declino, i poveri assoluti triplicati negli ultimi 15 anni, cresce il lavoro precario e povero, metà dei 15enni non impara a scuola più nulla, la sanità pubblica è allo sfacelo, l’inquinamento alle stelle e la Natura porta ogni mese i “nodi al pettine” (alluvioni, siccità o altre calamità).

E’ quindi evidente che ci sia una crisi di un modello di sviluppo occidentale (liberista e deregolato) che i mass media difendono “con le unghie e coi denti” ma che fa paura. Per la prima volta nella storia umana pensiamo che potremmo estinguerci.

Questa crescente distruzione della Natura e la “polarizzazione” sociale, porta (a mio avviso) i cittadini a premiare quei partiti (tipo Meloni) che hanno posizioni radicali e fuori dal governo da decenni. Così è stato anche per la parabola di Matteo Renzi o del movimento 5S premiati per la novità e radicalità.

A riscuotere il prossimo “bottino” elettorale potrebbe così essere non un partito di centro, ma chi offre soluzioni radicali in tempi tempestosi, pur nel solco (ci auguriamo) della democrazia. Viceversa finiremo in post-democrazia come dice Craveri (o meglio post-liberale), visto che l’esangue democrazia liberale non dà quel che aveva promesso.

Credo sia questa la ragione che limita l’espansione del PD (non la sua segretaria) e per cui alle regionali del febbraio 2023 l’astensione ha raggiunto il 60% (in alcuni quartieri di Roma l’80%). Gli elettori sono radicalizzati, o talmente sfiduciati da non essere più elettori.

Tutti cercano un “centro” e nessuno lo trova, forse perché da 30 anni non c’è più.

Cover: Donde està el centro politico? -Ilustracion Credo Chile (tratto da Tal Cual)

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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