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Perché MPS conquista Mediobanca (e Generali)?

Perché MPS conquista Mediobanca (e Generali)?

La più antica banca italiana, MPS (Monte dei Paschi di Siena), quasi fallita, ha conquistato Mediobanca, la più prestigiosa banca d’affari italiana, formando il 3° polo bancario italiano.
Procede così la concentrazione bancaria anche in Italia dove ormai sono quasi tutte banche private. La Germania ha 4 volte il numero delle banche italiane e ciò spiega perché in Italia il 43% dei Comuni sia rimasto senza banche e soffrano le piccole imprese con meno di 50 addetti che contribuiscono al valore aggiunto nazionale per il 47% rispetto al 33% della Germania e al 30% della Francia.

MPS è sempre stata nell’orbita della sinistra che governava la Toscana.
E’ diventata statale nel 2017 dopo essere mezzo fallita, avendo sbagliato ad acquistare Antonveneta nel 2007. Venne ricapitalizzata sotto il Governo Renzi con 5,3 miliardi (2/3 delle azioni vanno al MEF, Ministero dell’Economia e Finanze, ma l’esborso dello Stato si stima sia stato attorno ai 10 miliardi), con la benedizione al salvataggio di Stato della UE. Si riprende pian piano e nel febbraio 2022, con l’inizio dei grandi profitti delle banche, chiama Luigi Lovaglio, già banchiere a Unicredit che ha salvato 3-4 banche, tra cui il Credito Valtellinese che poi rivende a Credit Agricole per un miliardo.

Mediobanca fa gola al Governo Meloni e il ministro Giorgetti non lo nega. E’ il salotto buono della finanza italiana, che incide da sempre sul capitalismo italiano e il ruolo che svolse nelle privatizzazioni delle PPSS (Partecipazione Statali) e lo scontro (vincente) che ebbe con Craxi, nonostante fosse primo ministro negli anni ’80.
Banca d’affari di rango internazionale con azionisti potenti come il fondo finanziario speculativo Black Rock (5%) e imprenditori emergenti come Delfin (Essilux Del Vecchio 17,9%), Caltagirone (10,2%), imprenditore edile romano (vicino da sempre a Meloni), che cercano di scalzare il Ceo Alberto Nagel da anni ma senza riuscirci, pur col 30% delle azioni Mediobanca.

Giorgetti, in accordo con Lo Vecchio e Caltagirone, convince così Lovaglio a scalare Mediobanca. Gli altri imprenditori e fondi seguiranno il Governo, anche perchè Mediobanca controlla (col 13%) Assicurazioni Generali (700 miliardi di asset). L’aumento delle azioni e bonus fiscali delle due banche darà poi solo a Lo Vecchio e Caltagirone una plusvalenza di 1,2 miliardi, in un momento in cui le banche fanno i massimi extraprofitti dell’ultimo ventennio che il Governo tassa in minima parte, nonostante le promesse di quando era all’opposizione. Insieme fanno 8 miliardi di ricavi e 3 miliardi di utile (profitti impensabili per una manifattura).

Il Ceo di MPS è il lucano Luigi Lovaglio (1955), laureatosi a Bologna, che inizia al Credito Italiano (gruppo Unicredit) e farà strada risanando banche in Bulgaria e Polonia. I suoi amici di Bologna lo consideravano un “cattocomunista”. Ora però il Governo è di destra e dietro l’operazione c’è la regia del Ministro del Tesoro Giorgetti (Lega, laurea alla Bocconi) che vuole creare un 3° polo bancario italiano (dopo Unicredit e Intesa San Paolo), saldamente italiano e controllato dallo Stato, mostrando che, al momento opportuno, più che il libero mercato contano gli “amici”. Come mai?

Si è capito da tempo quanto la finanza conti sullo sviluppo della manifattura e dei singoli Paesi. Senza prestiti le imprese non vanno da nessuna parte, anche se hai idee brillanti e la finanza conta sempre di più. Da 40 anni si cerca di favorire il “libero” mercato ma, di fatto, oltre alla Cina, dove lo Stato governa eccome, molti Stati liberisti (USA in primis e specie con Trump) intervengono sempre più nell’economia e nelle imprese, perché lasciar fare solo al libero mercato non porta più vantaggi sociali, ma solo arricchimenti a pochi.

Un esempio tra tanti l’obbligo imposto a Nvidia da Trump di dare allo Stato il 15% dei propri profitti che fa vendendo in Cina, ma anche il ritorno dello Stato al mercantilismo (dazi) per portare nuove manifatture in Usa o partecipare con soldi pubblici ad investimenti privati dove lo Stato vuole avere l’ultima parola. La Germania ha varato un piano da mille miliardi e di riarmo e ha metà banche statali e la Francia è andata consolidando asset strategici in cui lo Stato è ben presente.

L’Italia ha smantellato tutta la sua presenza pubblica nelle banche e l’unica che rimaneva un po’ pubblica era MPS (con 5% di azioni, una minoranza che potrebbe però “dare la linea” e vigilare). La conferma che la Politica se vuole conta è che tutti gli azionisti sia industriali che finanziari (Vanguard, Fidelity, Black Rock) hanno seguito il Governo (la Politica) lasciando in brache di tela Nagel.

La nuova strategia del Governo Meloni non credo sia quella delle vecchie Partecipazioni Statali e dell’IRI. Il Governo vuole un polo bancario-finanziario privato, ancorato all’Italia, in cui avere voce in capitolo. Pur rimanendo azionista di minoranza, vuole presidiare interessi lasciando che sia il mercato (leggi borsa) a garantire il controllo principale come si è fatto anche con Poste e alcune grandi utilities (Hera,…), dove il mercato si combina con la vigilanza pubblica, essendo in gioco il futuro del capitalismo italiano.

Il Governo “ha quindi una banca”, anzi due e forse tre con Generali.
Nel 2025 le grandi banche italiane (solo quelle quotate in borsa) arriveranno a un fatturato di 75 miliardi di euro e 27,5 miliardi di utili. Una redditività netta di settore monstre, circa dieci volte quella del settore manifatturiero a cui le banche fanno prestiti. E ciò spiega il pericolo di una finanza che perde di vista il sottostante (manifattura e veri valori), in un mondo dove il debito globale è 54 volte il Pil mondiale.

L’Italia ha la gestione del risparmio più cara al mondo (per i clienti, imprese e famiglie) e non mancano sospetti di collusione sulle condizioni di credito in cui il nostro Antitrust sembra seguire l’antica massima: forte coi deboli e debole coi forti.

Adesso il governo è entrato negli assetti di controllo di MPS e Mediobanca (e dunque di Generali). La svolta è storica, dopo decenni di ritirata dello Stato dalle banche. Si tratta di vedere se svolgerà un ruolo di sostegno davvero di imprese e famiglie o proseguirà in quelle logiche finanziarie, separate dall’economia reale, che hanno indebolito Italia, UE e Usa e fatto crescere Cina e BRICS.

In teoria potrebbe mitigare i danni del capitalismo liberista, usando capitali pazienti per finanziare le nostre imprese (specie quelle piccole e medie che resistono da anni stringendo la cinghia e che rappresentano l’immenso valore dell’Italia), supportando Ricerca & Sviluppo, innovazioni e strategie di lungo periodo, oltreché aiutare i consumi delle famiglie con tassi di interesse “umani”.

Non escludo che si voglia copiare anche il Giappone, facendo acquistare agli italiani (e banche italiane) quasi tutto il debito pubblico per ridurre gli interessi dello Stato sul suo debito (87 miliardi nel 2025). Il Giappone non ha mai separato Tesoro e Banca centrale, come l’Italia fece (sbagliando) nel 1981, consentendo di acquistare il debito pubblico a tassi di interesse bassissimi (a volte addirittura negativi).

Potrebbe però anche essere solo l’occasione per premiare i propri “amici”, alcune grandi imprese salite sul carro del nuovo Governo.
Lo vedremo nei fatti: se il credito riparte verso tutti (PMI, piccole medie imprese e famiglie) a bassi tassi di interesse e con capitali pazienti per strategie di lungo periodo, oppure l’ennesima occasione in cui politici & grandi famiglie si accordano per fare i propri interessi.

Photo cover: Arco senese, palazzo Salimbeni – immagine Wikimedia Commons 

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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