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“Tu sei colui che scrive ed è scritto.”
Edmond Jabès 

Terna estense

I

Poi si ha un bel dire, ma infine è qui che si torna
sempre, anche solo con il pensiero:
le quattro torri, i Diamanti, la meridiana
equinoziale dei Prioni, la Certosa
che mette a dura prova l’ateismo
con la bellezza; e l’orto di là, in cui tutti siamo
stranieri. E le quattro lune di Giove
tra il Capo delle Volte e Centoversuri.
Ma certo, è perché qui eravamo giovani,
penso guardando fuori quando il treno
oltrepassa la Darsena e il Volano
e passo il ponte e la punta di San Giorgio
Porta d’Amore Assiderato i baluardi
Salinguerra e contrada della Morte
poi detta Ghisiglieri, in cui misuravo
la mia altezza su quelle pietre d’angolo
di là dall’occhio della volta.
Ah ma vuoi dire, tu stai in una città
che uscite senza ombrello, che la pioggia
inizia quando terminano i portici:
poi però torni qui,
dove l’ombrello è meglio se ce l’hai
e di rado hai del tempo da passare
nella bellezza, ma poi ti porti via
come un hangover che dura tre giorni
la sindrome di Stendhal, e poi ritorni
per qualche ora e dopo riprendi il treno
oppure la Porrettana, e verso Gallo
o il metano già ti senti come
come dire, un vagabondo del Dharma.

 

II

In questa foto dieci per quindici si vede
l’ala dell’Ippogrifo che sorvola
la piazza verso le sette del mattino:
il listone, il castello, la Giovecca,

piume. Ignoriamo se tornasse
dalla luna o da un giro sui sobborghi
corrosi dalla crisi, con le crepe
del terremoto del duemiladodici;

poi è planato fuori porta, dove molti
secoli fa correva il fiume (nostra prima
radice) tra vecchi capannoni e buche.

Astolfo ha tagliato a piedi per i campi,
berretta storta, sigaro e mani in tasca –
certo, ci sarebbe voluta la tua Nikon.

 

III

Notte viene ogni notte, notte viene
per tutti. Siamo tutti parenti e non solo
qui in questa piazza, campo catino abside,
in questo accendersi di luci contro
la sera, contro la notte che viene.
Dunque era questa la capsula del tempo
che dicevamo da ragazzi, da nerd, da lettori
di Bradbury. Una capsula del tempo mezza rotta,
collabente in alcune particelle
immobiliari e con lavori di ripristino
malfatti, eppure ci si vede dentro
e lo spazio è più di quanto immaginassi,
e il tramonto è un re cremisi.
E poi, guardando meglio,
c’è come una felicità quasi
inumana,
che non mostra legami con gli eventi
che sta lì come il corpo, come i coppi
e lo scalone in cui ci sono tutti
i nostri passi.
Come un contener dentro moltitudini
qui in piazzetta. E c’è ancora il ragazzo
che acchiappa chi si è perso chi sta cadendo
giù da un campo di segale, solo che non lo vedi
ora, come il fienile che si sgretola,
la casa vuota, il prato fuori porta.

Silvia Tebaldi, ferrarese, a Bologna dal 1985. Ha scritto un romanzo, Vuoto centrale (pubblicato nella collana Walkie Talkie diretta da Luigi Bernardi, Perdisa Pop, 2009) e alcuni racconti, pubblicati in antologie (la più recente è Deaths in Venice, a cura di Laura Liberale, edita da Carteggi Letterari nel 2017) e online (su «Poetarum Silva», su «Argo» e su «Malgrado le mosche»). Ha lavorato in diversi uffici, biblioteche e ospedali. Fotografa, apprendista nella scrittura in versi, calligrafa e acquarellista a tempo perso.

La rubrica di poesia Parole a capo esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. 
Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

Cover: Remo Brindisi: Castello Estense

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Benini & Guerrini


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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