Parole a capo
Maggie: «FIORI DI CORALLO»
Maria Mancino (Maggie): «FIORI DI CORALLO»
Scrivere e leggere poesie è frequentare un mondo parallelo. Un universo che ogni tanto si connette, si tiene in contatto, entra curiosamente nella vita di ogni giorno, cerca punti d’osservazione originali, possibilmente non scontati, ripetitivi.
Capita spesso di sentirsi chiedere cosa vuol dire per me, cosa significa scrivere poesie in questo tempo. E’ necessario? E’ utile? E’ un esercizio di stile o retorico? Un paio d’anni fa, su Periscopio, scrivevo alcune riflessioni che mi piace condividere pensando alle poesie di Maria Mancino: “Io penso che la poesia debba essere uno spazio di libertà assoluta, senza confini o limitazioni espressive. Io credo che ci sia ancora molto bisogno di sperimentare nella/con la parola. Penso sia un bisogno che non dovrebbe mai scomparire. Un bisogno di pe
nsiero differente! Una parola fatta di suoni larghi, sintetici, di spazi/silenzi, di corse al rallentatore, di istantanee da rischiare anche se dovessero uscire “sfuocate”. Una parola che si trasforma in immagini. Una sperimentazione non accademica che non si arrenda ad una comunicazione che si concede troppo spesso alla velocità, al “mordi e fuggi”, alla “superficialità” e fatica a lasciare tracce significative, solchi. Una poesia che si presenta sempre più spesso sotto forma (e sostanza!) di chiacchiera dove “le parole non misurano niente, fanno giri inutili, mancano deliberatamente ogni bersaglio” (Emilio Tadini). Iosif Brodskij scriveva che “la poesia è anche l’arte più democratica – comincia sempre da zero. In un certo senso, il poeta è davvero come un uccello che canta senza guardare al ramo su cui si posa, qualunque sia il ramo, sperando che ci sia qualcuno ad ascoltarlo, anche se sono soltanto le foglie”.
“Fiori di corallo” è un libro antologico uscito un paio di mesi fa per le Selvatiche Edizioni. E’ una silloge suddivisa in quattro sezioni dove sono selezionate alcune poesie da tre delle precedenti raccolte dell’autrice (“Bianco Spino“, Babbomorto Editore, 2018; “Mani d’argilla“, Babbomorto Editore, 2019; “Bacio di carta“, Babbomorto Editore, 2022) e la quarta sezione “Fiori di corallo” con poesie inedite.
In particolare, con continuità, la poesia sbuca con insistenza, si riveste di versi, si fa contigua, si fa sorella di vita nella sezione “Bacio di carta“, facendo “rivoluzioni di silenzio“.
Il mio alibi
Mi allontano da pelli abrasive
senza pori e respiro
trasporto il mio pensare
in luoghi estranei
dove poter infrangere
leggi e vetri
faccio rivoluzioni di silenzio
nel chiasso di calcificate convinzioni
vivo all’estremità del quieto essere
e svendo certezze sottobanco
Condannatemi pure
il mio alibi è la poesia
Passi di fango
Fuggono gli alberi
dal finestrino di un treno
sotto nuvole
che declamano la sentenza
sarà acqua di pozzanghera
sarò passi di fango
Sarà ramo denudato
sarò foglia senza vita
si arrotola il corpo
in un abbraccio di versi
incarno i colori della malinconia
in questa stagione
di silenzio e di poesia
“Fiori di corallo“, che da corpo al titolo del libro, invoca senza tregua un desiderio di libertà, che cancelli, dimentichi il filo spinato del tempo.
Fiori di corallo
Fiori di corallo vacillano
su lutti dimenticati
non è sepolto il dolore
gli epitaffi senza croci
hanno bisogno di ricordare
un passato che non trova pace
sul filo spinato del tempo
la gemma caparbia cuce fiori
su pelle preziosa libertà
Una voglia disperata di libertà che incrociamo anche ogni giorno guardandoci negli occhi, sfiorando le nostre pelli, coprendo gli stessi passi.
Occhi negli occhi
Spalla conto spalla
in oceani di anime
si sfiorano corpi
inciampo in ognuno
occhi negli occhi
su volti senza nome
dentro gli stessi passi
in scarpe differenti
prigionieri senza cella
con le croste sul cuore
smerciamo sembianze
Una invocazione trattenuta, piena di parole non dette che fanno male perché fai fatica a dipingere di speranza quello che provi, che vedi e non sai (è una speranza) se altri vedono/sentono. E’ una invocazione laica nelle intercapedini del cielo dove
“le stelle brillano ancora
come lumi di petrolio
a indicare la strada
per tornare a casa“
Crampi
Ho tutte le cose
del mondo nello stomaco
non so se assimilarle
o vomitare
ho ingoiato immagini
e parole
sperando di poterle digerire
neppure il digiuno
mi fa stare bene
ho i crampi nel cuore
(In copertina, foto di Michaela da Pixabay)
Maria Mancino è nata a Campobasso e cresciuta a Matrice, si è poi trasferita a Imola, dove attualmente vive. Afferma di pensare in versi anche quando non scrive, e sostiene che la poesia abita in un luogo intimo dentro ognuno, ancor prima di essere scritta. Curatrice della collana di poesia “DIFETTOSE” con la Casa Editrice Selvatiche. Ha pubblicato le raccolte poetiche Bianco Spino, Mani d’argilla, Nascosta è in lui la mia follia, Bacio di carta, La memoria della betulla e la raccolta di racconti I plumcake del nonno. Nel 2022 ha vinto il PREMIO LUIGI ANTONIO TROFA – Ferrazzano (CB) e nel 2024 il PREMIO MARIA VIRGINIA FABONI – Tredorzio (FC)
“Parole a capo” è una iniziativa dell’Associazione culturale “Ultimo Rosso”.
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