Skip to main content

Un balzo di oltre un secolo e mezzo da quel lontano 1851, anno della prima edizione dell’Esposizione Universale di Londra, ci consente l’approdo a Expo Milano 2015.
A voler credere ai cronisti dell’epoca l’Esposizione fu un evento irripetibile dai contenuti sorprendenti e con un’affluenza stimata in sei milioni di visitatori.
Allora c’era il Crystal Palace, gioiello dell’architettura e meraviglia ingegneristica del XIX secolo in vetro e acciaio, raccontato il 21 maggio 2015 su queste pagine (vedi).
Allora furono l’industria e la tecnologia nascente a imporsi, per Expo 2015 Milano l’impegno fondante negli intenti era la discussione e lo sviluppo di soluzioni utili ad affrontare una delle maggiori emergenze del nostro pianeta: alimentazione e sostenibilità. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, da svilupparsi su un’area espositiva di oltre un milione di metri quadrati.

Ho dedicato due giornate consecutive alla visita della manifestazione di Rho e, dopo qualche giorno di ponderazione, ho sfidato la mia memoria a focalizzare il ricordo di quanto ho vissuto sul posto, luogo per sei mesi al centro dell’attenzione mondiale: certamente mi sono ben chiare in mente le diaboliche code per visitare alcuni padiglioni, fino a sette ore sotto il sole, e l’immaginario talvolta piacevolmente illusorio, (quasi) un giro del mondo in venti ore, reso verosimile dallo sventolio di centinaia di bandiere fra le quali quelle dei 150 paesi partecipanti provenienti da tutti i continenti.
Le alte aspettative, la curiosità, un passa-parola incontrollabile, la volontà di partecipare a un evento universale, miscelate al tam-tam della propaganda quotidiana sull’evento, stando ai dati ufficiali hanno sospinto fino a 200-250.000 persone al giorno, nei fine settimana, sul Decumano, il lungo viale di affaccio dei padiglioni. Il 99,9% dei paganti si sono mantenuti al largo da convegni e seminari tecnici pur qualificati, ma sono stati risucchiati inconsapevolmente, io compreso, nel rito del passeggio e dell’accodamento confidando, una volta guadagnata l’entrata del padiglione prescelto, in profonde emozioni da raccontare .
I nobili contenuti, quali la nutrizione e la sostenibilità, cardini di Expo Milano 2015, e il come concretizzarli appaiono ai più controversi e talvolta introvabili o non riconoscibili. Confesso che ho qualche imbarazzo nell’ammettere se li ho intercettati in pieno da ciò che ho visto all’interno dei padiglioni. In fila mi sono avvalso anche del parere di altri visitatori incerti nei giudizi sui contenuti dei padiglioni stessi, ma ben decisi a sottolineare che il tema della nutrizione riguardava maggiormente la qualità e il costo dei punti di ristoro presenti nel chilometrico viale, alcuni chiacchierati per sospetti favoritismi, piuttosto che un gravoso problema del mondo contemporaneo.
Per certo è evidente l’immersione all’interno di un Salone del turismo e dei divertimenti di dimensioni rilevanti, distribuito sui due lati dei 1400 metri circa di lunghezza del Decumano, con gelaterie, ristoranti, luoghi di sosta, impossibile da allestire in uno spazio fieristico tradizionale, con abbondante presenza di gadget e di prodotti tipici in vendita. Un’operazione di marketing opportuna per tanti Paesi, alcuni dei quali con problemi sociali e di natura geopolitica enormi da risolvere e ancora poco visibili, che presentano per contro alcune iniziative lodevoli sulla strada della sostenibilità.

Le soluzioni architettoniche degli involucri e le forme creative uscite dalla matita di archistar internazionali hanno generato diversi padiglioni pregevoli, ma sui quali a mio parere pesa quell’imperdonabile ritardo sull’allestimento dell’evento (pur plaudendo all’ottimo livello dei servizi interni e di accesso, merce rarissima in Italia): ricordiamo ancora le quotidiane polemiche che poi tali non erano sul “sarà pronto o non sarà pronto?” Nel sentire di diversi visitatori questi ritardi hanno obbligato spesso alla fretta e all’approssimazione i singoli Paesi, ripiegando su contenuti concettuali e materiali giudicati dai più probabilmente parzialmente riadattati all’occasione per la loro opinabile originalità e freschezza.
Come si sa i padiglioni saranno contrattualmente da smontare come un meccano dal primo novembre. Vi sono al momento diversi ottimi propositi aleggianti sulla valorizzazione degli spazi e dei volumi costruiti: il Padiglione Italia, forse il più originale nelle forme e certamente all’avanguardia nella tecnologia costruttiva, se fosse stato ultimato con un tempo congruo avrebbe a mio parere potuto rappresentare meglio “il contenuto Italia”, “l’orgoglio Italia”, come appare nelle scritte illuminate notturne. Potrebbe dal primo novembre essere riconvertito ad altri scopi, come il padiglione della Santa Sede che sarà donato, per non parlare di alcuni paesi mediorientali decisi a omaggiare i loro padiglioni: speriamo bene.

Al tramonto, dopo diversi chilometri di passo svelto e code necessitate per “visitare il mondo a portata di mano” meritiamo, noi forzati della conoscenza, quindici minuti con il naso all’insù, pressati nell’ultimo evento collettivo prima della chiusura serale. A ore prestabilite prendono avvio le performance meccaniche e luminose dell’Albero della vita ideato da Marco Balich: 37 metri in altezza di legno, acciaio, cavi elettrici e tanta ammirevole tecnologia, che il gioco psichedelico di luci sincronizzato alle fontane e ad alcuni sprazzi pirotecnici rendono scenograficamente stimolante.
Expo Milano 2015 chiude il 31 ottobre.
Io ci sono andato.

tag:

Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it