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Ogni giorno è un olocausto. Forse è questo che macchia inesorabilmente le mie giornate. Tutto quello che faccio è per me e i miei figli, e anche questo rende insopportabili le mie giornate. Io critico un sistema a cui aderisco perfettamente. E quando avrò ottenuto tutto ciò che mi prefiggo, l’avrò fatto per me e i miei figli. Mentre cammino, in strada c’è qualcosa che percepisco, ma a cui non riesco a dare un nome, una forma. È come sentirsi immersi in uno scandalo quotidiano, senza riuscire a delinearne i tratti principali. So soltanto che questa sensazione ha a che fare col bene e col male e con l’esistenza. Se c’è una qualità nella civiltà rurale che ci ha preceduti, essa sta nella forma necessaria del suo stare al mondo. Le case essenziali, i vestiti sobri, il matrimonio, l’accettazione del dolore e della morte, tutto ciò aveva a che fare con un destino di ineluttabile necessità e spesso di mancanza. Erano necessari i figli, il lavoro manuale e fisico, la spietatezza verso gli animali e l’ospitalità per le persone, erano necessarie le feste e le religioni.

Allora forse lo scandalo quotidiano sta nell’aver edificato una vita costituita di superfluo, dove ogni atto, ogni scelta, non essendo legata alla necessità, finisce spesso per incarnare il suo contrario. Sconfiggere la nostra povertà ci ha reso migliori, ma non più giusti. Ecco che tutto quello che compiamo continua a prendere il sapore acre del superfluo. Non c’è sobrietà nei gesti e nemmeno nelle parole, non c’è morigeratezza, pudore, orgoglio, essenza. Non è necessario il lavoro che svolgiamo, non lo sono i nostri risparmi, i lussi, le vacanze. Tutto ciò per cui lavoriamo non allevierà le nostre pene, non colmerà la solitudine.

Ogni giorno è un olocausto. E vivo sapendo di sfruttare il lavoro e la vita degli altri. Vivere un mondo ingiusto senza nemmeno la continua tensione verso il giusto, è forse questo lo scandalo? C’è qualcosa di insopportabile nelle mie giornate, ma non riesco a definirlo. Forse lo scandalo è nella nostra capacità razionale, che ci mette dinanzi alla tortura delle altre vite consapevolmente, anticipa la vanità del nostro attraversare il mondo e tuttavia non riesce a svelarne l’enigma, il mistero.

Si può essere spietati solo se necessario, così come fanno gli animali allo stato di natura. Ma esserlo scientemente, razionalmente, magari vivendo nell’opulenza sfacciata, questa è forse la peggiore condanna a cui siamo destinati. È la colpa imperdonabile che nemmeno un dio riuscirebbe a far espiare. Vivere una vita che non tende a riconoscersi, ad aiutarsi, che non tende al costante miglioramento delle condizioni collettive, essere belve feroci senza la loro necessità, con la colpa insopportabile dell’intelletto, della razionalità, è forse questo lo scandalo? Forse è questo il vero peccato originale, la nostra cacciata dall’Eden, non la curiosità, non la conoscenza, bensì il suo utilizzo a proprio esclusivo vantaggio e magari a scapito degli altri.

@sandroabruzzese

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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