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Spalmare sul territorio e nell’arco dell’anno le iniziative del Festival di Internazionale a Ferrara. E’ l’idea lanciata da Michele Ronchi Stefanati, docente e ricercatore universitario in letteratura italiana all’University College Cork, in Irlanda. La sua proposta, comparsa nei giorni scorsi sulle pagine della Nuova Ferrara, mi pare rivolta prioritariamente all’interiorità del territorio e che, a mio parere, deve tenere in considerazione alcuni elementi.
La prima cosa che sottolineo è la natura bulimica ed esteriore di Internazionale, volta a richiamare pubblico da fuori città. E la natura bulimica in generale sottende un’idea di città esteriore, dove per esistere occorre fare qualcosa di grande, visibile e riconoscibile all’esterno. È un’apertura cittadina che ‘ospita’, e come tale è auspicabile, ma il rischio insito è che la proliferazione sotterri psiche e inconscio collettivo, coprendo la città reale con una patina illusoria, nella speranza che l’illusione di colpo diventi realtà.
C’è poi la sensazione che occorra essere colonizzati per ottenere dei grandi risultati, che grandi nomi o palinsesti e intermediazioni possano portare avanti discorsi e pratiche altrimenti non alla portata cittadina. Eppure primarie sono le pratiche e i discorsi, non solo le personalità che li affrontano. E questa città ha al suo interno, anche grazie all’Università, alle scuole, alle associazioni, ottime personalità, un immenso potenziale inespresso, purtroppo per ora quasi del tutto impermeabile e conchiuso.
È forse il discorso interiore che va affrontato? Di sapere ce n’è tanto, ma difficilmente si traduce in percorso comune, collettivo; non condensa, e soprattutto non sempre genera pratiche virtuose, sostenibili, imitabili.
Allora, se la città è rapporto tra interno e esterno, l’apertura di Internazionale aiuta a guardarsi dentro, a vedere quel che resta nella comunità concreta, ma poi occorre la strada da intraprendere. Quella viene da dentro, da noi.
E qui il punto diventa la capacità della città, non di Internazionale, di elaborare e declinare le iniziative culturali attraverso una serie di indirizzi prioritari.
C’è tanto lavoro da fare per ribaltare la sudditanza nel lessico, nelle idee, subordinazione e sostanziale impotenza di fronte a grandi temi e questioni mondiali, nazionali e locali. Città pulviscolare? Eccentrica? Non importa.
Quel che conta è che la cultura è sempre arbitraria, è scelta, dunque in Italia e a Ferrara credo che la questione prioritaria sia il deficit di cultura democratica, la quale rappresenta la frattura tra comunità e società in Italia.
Cultura democratica è antifascismo. Ed è – prima che diritto della maggioranza – regole, processi, strutture, linguaggio, nonché tutela e rispetto dei diritti degli individui e delle minoranze.
Sappiamo bene che la cultura democratica è universalista, imitabile, è sottrarre al mondo la propria parte di odio, di inquinamento, di privilegi e soprusi, è convivenza solidale e riconciliazione col pianeta e gli esseri viventi. Spesso è antieconomica e anticapitalista, e combatte il maschilismo imperante dei cari fat dar, le intimidazioni, le generalizzazioni sui Rom, il disprezzo etnico, per giunta.
Ebbene, questi elementi, che so di condividere con Stefanati, più di ogni altra remora, non mi consentono di condividere appieno il suo appello, non con questi amministratori, con i loro metodi, col loro lessico. La Lega a Ferrara, diranno, è colpa del Pd? D’accordo. Spieghiamo pure al Pd che non basta il nome per essere democratici e per essere un partito.
Tuttavia le regole vengono prima di qualsiasi consenso. E questa città deve saper verificare e scegliere, lavorare per saper scegliere continuamente.
Internazionale funziona perché sceglie di continuo da che parte stare. Ma non può essere lei a scegliere sempre per noi.

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Sandro Abruzzese

Nato in Irpinia, vive a Ferrara dove insegna materie letterarie in un istituto d’istruzione superiore. Per Manifestolibri ha pubblicato Mezzogiorno padano (2015). Con Rubettino ha pubblicato CasaperCasa (2018) e Niente da vedere (2022). Sul suo blog, raccontiviandanti, si occupa di viaggio e sradicamento

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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