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di Giovanna De Simone

Dopo i cenoni della Vigilia e i pranzi natalizi imposti a suon di compromessi e ricatti, con parenti e affini che si è cercato di evitare per tutto l’anno, le festività di Pasqua sono sempre state viste nei secoli come il grido di liberazione da dogmi, legami familiari e altre costrizioni imposte dal sangue e dai contratti. Chi si programmava fughe al mare, chi solitari ritiri di meditazione sulle colline, altri, più semplicemente, picnic in costume al parco urbano con gli amici.
Questa Pasqua di Covid ci ha chiuso in casa con chi, accidentalmente in quel preciso momento storico, stava transitando nei nostri spazi domestici. Come quando una mattina Berlino si svegliò divisa da un muro.
Le tre coinquiline che avevano deciso di non andare ad infettare il paesino natio al Sud, hanno steso un asse di legno fuori dal balcone per congiungersi con il vicino sessantenne che abita da solo e che possiede un barbecue in balcone. Come menù di Pasqua si prevedono scones salati, lasagne al forno, grigliatona di carne e verdure, tiramisù e un paio di bottiglie di Aglianico tenute apposta per le occasioni speciali.
I coniugi che stavano per separarsi hanno deciso di rivelarsi le proprie storie parallele e faranno un pranzo a quattro in diretta Skype con i rispettivi amanti, annullando in questo modo tutte le ritorsioni e le guerre per spartirsi i mobili.
La casalinga per protesta ai doppi lavori forzati a cui è stata costretta in questa quarantena, ordinerà su just eat sushi fino a sfondarsi, solo per sé, lasciando marito e figli nello sconcerto.
Infine si rimpiangeranno le odiose ammucchiate familiari e solo in quel momento, con il cucchiaio affondato nella zuppa inglese e un litro di vino rosso in corpo, si video-chiameranno tutti gli amati parenti-serpenti perché la lontananza si sa, è come il vento, che fa dimenticare chi non si ama.
E in questa Pasqua di coronavirus il cielo è terso, le temperature superano i ventisei gradi e i venti sono assenti.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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