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Esempio: tuo figlio è un ragazzino. La sua passione è giocare a Mortal Kombat, uno dei videogiochi più violenti del mondo, in cui non solo puoi uccidere, ma mutilare i tuoi nemici. Ci gioca ossessivamente, anche di notte. Quando lo hai scoperto, gli hai messo il parental control, ma lui in due e due quattro lo ha eluso, perchè di tecnologia ne sa mille volte più di te. Allora gli hai tolto il computer, ma lui ha iniziato a giocare sul pc del suo amico del cuore. Allora gli hai vietato di andare a casa del suo amico del cuore, e lui ha iniziato ad odiare te, non più i suoi nemici virtuali. Te, suo padre.

Se i milioni e milioni di software Mortal Kombat fossero sequestrati tutti e non se ne trovasse più nemmeno uno in circolazione, tuo figlio ed i milioni di altri figli che ci giocavano dirotterebbero la loro ossessione su un altro gioco: altrettanto eccitante, altrettanto violento. Vietare, sequestrare una cosa la cui richiesta è enorme, produce l’unico risultato di innescare una escalation verso qualcosa di ancora più violento, eccitante, dannoso, proibito. La proibizione, poi, aggiunge un tocco di fascino supplementare ad una cosa di per sè attraente: la rende irresistibile. Una cosa non ti chiedi, l’unica cosa che dovresti chiederti: perchè tuo figlio lo fa. Ma questa è una domanda troppo difficile, perchè mette in discussione te stesso, le tue inadeguatezze, le tue dipendenze.

La legge della domanda e dell’offerta è un assioma della microeconomia. Se la domanda di un bene è alta, l’offerta di quel bene si adeguerà sempre alla domanda, fino a soddisfarla (quasi) integralmente. Quasi, perchè ci sarà sempre qualcuno che non la troverà, pronta, a sua disposizione, e sarà disposto a (quasi) tutto pur di procurarsela.

In questi giorni a Ferrara le forze dell’ordine hanno (giustamente) sbandierato la conclusione di una operazione di polizia che ha portato al sequestro di notevoli quantità di droga e all’arresto di una banda di individui nigeriani denominata “Vikings”. Nel frattempo il consumo di droga ed i morti per overdose in città sembrano essere tornati ai livelli degli anni ’90. Fuoriluogo, il magazine sulle politiche di contrasto al consumo di Forum Droghe (associazione che si batte per la riforma delle politiche di lotta alle droghe), ospita una drammatica testimonianza di Neil Woods, ex poliziotto sotto copertura e membro di Law Enforcement Action Partnership (LEAP), organizzazione internazionale composta da professionisti delle forze dell’ordine, passati e presenti, che si battono per le riforme della legge sulla droga. Non possiamo che citare testualmente l’articolo:

“Le polizie di tutto il mondo sanno che immagini come queste sono un inganno” dice Woods riferendosi alle prime pagine dei giornali con le foto delle sostanze sequestrate. “I dirigenti delle Polizie amano questa attenzione dei media” prosegue, perchè “possono migliorare le loro statistiche e spingere per aumentare i loro budget” mentre “i politici la usano per convincere tutti che le loro politiche stanno funzionando e i giornalisti sanno che le storie di droga generano sempre clic.”

“Ma c’è uno sporco segreto che ogni poliziotto in queste foto conosce” rivela Woods: “non importa quanto siano impressionanti i sequestri, non fa assolutamente alcuna differenza per il traffico di droghe. Non solo non diminuiamo mai l’offerta di droga, ma questi sequestri sono parte attiva dell’incremento della violenza. Se elimini un grosso spacciatore, tutto ciò che fai è istigare una guerra per il territorio.” E come più volte richiamato nel nostro Libro Bianco sulle Droghe “in questa guerra, sono i criminali più violenti e spietati che salgono al vertice.”

In un suo rapporto, la National Crime Agency (corrispondente britannico della FBI) afferma: “…siccome c’è una base di utenti disposta a spendere milioni e milioni di sterline in droghe…avremo un problema con le droghe illecite in questo paese. Non possiamo pensare di risolvere il problema arrestandoli tutti. Dobbiamo affrontare i fattori che lo alimentano”.

Non c’è nemmeno bisogno di tradurre in parole povere il concetto. Fino a che ci sarà una richiesta enorme di consumo di queste sostanze (domanda), il mercato si adeguerà producendole e commercializzandole, seppure in maniera illegale (offerta), e le operazioni che sgominano le bande criminali serviranno a spianare il terreno a organizzazioni sempre più spietate che ne prenderanno il posto nel governo del traffico – fino a quelle che sfruttano i bambini per lo spaccio.

Neil Woods non è un testimone qualunque, perchè non è stato un poliziotto qualunque. Per 14 anni ha agito sotto copertura infiltrandosi nelle bande di narcotrafficanti. Se uno che ha dedicato la propria vita professionale alla “War on Drugs” ti dice che è inefficace, che il problema sta nella domanda di sostanze, non te lo sta dicendo un tuttologo da tastiera, e nemmeno uno studioso che analizza il fenomeno da un punto di vista saggistico o accademico. Se te lo dice uno come Neil Woods, con la sua storia e la sua esperienza diretta, le sue parole hanno un peso speciale. Non possono lasciare indifferenti.

La dipendenza da qualcosa (una persona, un oggetto, un gioco) è un fenomeno che, in misura maggiore o minore, riguarda ciascuno di noi. A volte non è facile stabilire il confine tra una cosa che ci piace e una cosa che ci allontana dal dolore. Non è facile stabilire se dipendiamo da qualcosa perchè ci procura piacere o perchè senza di essa saremmo perduti, piagnucolanti, finiti. La richiesta di sostanze che diano eccitazione o che tolgano il dolore è un fenomeno mondiale di dimensioni impressionanti. La domanda di droghe legali, illegali, pubblicizzate o bandite eppure disponibili, è altissima, in alcune regioni del mondo è fuori controllo. Già questo basterebbe a considerare quanto sia vano lo sforzo per colpire l’offerta di droghe illegali, fino a che milioni di persone decideranno di colmare i buchi della loro esistenza ingerendo, inalando o iniettandosi sostanze che li facciano sballare, che li anestetizzino o che li eccitino al punto da diventare delle instancabili, implacabili macchine che producono affari o stuprano donne, con la tragica incoscienza della actio libera in causa. Liberi professionisti, padri di famiglia, dirigenti, praticanti della Messa domenicale, studenti, manager, artisti di successo, operai. Il discorso sulle sostanze si allarga ben oltre la cocaina. Michael Jackson è morto per un’intossicazione acuta da Propofol, un farmaco che gli anestesisti conoscono bene, perchè oltre a indurre anestesia porta il paziente operato ad uno stato di disinibizione tale da consigliare di tenerlo al riparo dai familiari per alcune ore dopo l’intervento, ad evitare confessioni indesiderate. Prince è morto per una intossicazione da Fentanyl, un analgesico più potente della morfina, un oppioide sintetico per il quale non ha nemmeno più senso dire se è legale o illegale: è legale se somministrato sotto controllo medico, ma è anche illegale se si considera che è una delle sostanze più spacciate al mondo, che ha fatto negli Stati Uniti 200.000 morti negli ultimi sei anni. Sono numeri che rendono evidente come questi oppioidi non vengano utilizzati solo per curare il dolore severo di tipo fisico, ma anche o forse soprattutto quello psicologico, emotivo. Il premio Nobel per l’economia Angus Deaton ha pubblicato un corposo studio sul tema (“Deaths of Despair and the Future of Capitalism”, Princeton University Press, 2020). Questa ‘”epidemia” del male di vivere colpirebbe prevalentemente americani bianchi della classe media o operaia e con un livello basso di istruzione; ma, come appare dagli illustri esempi che ho citato, anche i ricchi e famosi ricorrono all’oppio di ultima generazione, fino a morirne per overdose. Ci sono case farmaceutiche, come Johnson&Johnson e Purdue, condannate a risarcimenti plurimilionari per le aggressive campagne di marketing con le quali hanno spinto i medici a prescrivere queste sostanze in maniera indiscriminata. (Nel 2015, un terzo di tutti gli adulti, negli Usa, ha ottenuto una prescrizione di medicinali a base di oppioidi. Parliamo di 98 milioni di persone).

Far fallire la Johnson&Johnson però non è la soluzione al problema, così come non lo è catturare i Vikings a Ferrara o decapitare il cartello di Medellin, o arrestare “El Chapo” Guzman. Pur nutrendo il massimo rispetto per chi porta a termine queste attività di contrasto al grande narcotraffico, mi viene in mente l’immagine del bambino che appare a Sant’Agostino cercando di rimuovere l’acqua del mare con una conchiglia. Il problema gigantesco che innerva la nostra vita sociale non è la disponibilità di droga, è la mancanza di un senso. La frase di Karl Marx “la religione è l’oppio dei popoli” suona ancora più inquietante in una versione aggiornata, che si può ottenere semplicemente invertendo l’ordine di due vocaboli: l’oppio è la religione dei popoli.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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