La vita va così
Il film “La vita va così”, che ha aperto il festival del Cinema di Roma, è ispirato alla storia vera del pastore sardo Ovidio Marras e alla sua battaglia contro i giganti del cemento e la speculazione edilizia
La vita va così
Ieri sera sono andata a vedere “La vita va così”. Mi avevano detto che ne valeva la pena perché molto “ carino”. Ne vale la pena! è molto più che carino. È un film che con delicatezza, ironia, coraggio racconta bene la spaccatura non più sanabile tra due prospettive che guardano al futuro. Da una parte lo sguardo degli imprenditori del nord, impersonato da Diego Abatantuono, presidente di un grande gruppo immobiliare, e dai suoi collaboratori, convinti che tutto abbia un prezzo: la terra, il lavoro, la vita stessa e, dall’altra, il pastore sardo che con un semplice no, rifiuta il fatto che la terra dove sorge la sua casa, la terra del padre del padre del padre, abbia un valore commerciale , sia solo terra che scorre tra le dita.
Il regista Riccardo Milani ha detto in una intervista che con questo film ha voluto affrontare il conflitto che si crea tra il desiderio di sviluppo e la fame di lavoro di certe comunità, desideri legittimi, e la tutela dell’ambiente. Io in questo film ho visto di più, ho visto due mondi che guardano al futuro in modo diverso. La tenacia del mondo antico ancestrale non scolarizzato, un mondo che si procura il necessario senza grandi eccedenze, senza certezze se non quella che il sole, dopo la notte, sorge sempre, che si scontra contro l’idea di un mondo in continua e illimitata crescita, in continuo sviluppo dove tutto è programmato, protocollato, scolarizzato, già calcolato e somministrato alla comunità come una realtà ineluttabile.
Il nord che rappresenta il “ progresso” non è descritto dal regista come solo cattivo e arrogante; di fronte alla tenacia di un pastore sardo fortemente radicato nell’idea che tra la terra e lui stesso non c’è separazione, il presidente del colosso immobiliare, sembra interrogarsi.
La certezza che non siamo i padroni della terra e delle sue ricchezze, ma siamo i padroni della nostra vita e della nostra casa e che quello spazio è invalicabile , è la motivazione che anima, per anni, la resistenza di questo semplice pastore difronte allo strapotere dell’impero immobiliare.
La magia del film è che il regista tiene in equilibrio i due sguardi sul mondo in modo sapiente.
Il nord è descritto ricco e un po’ sborone, ma agisce con la convinzione di portare il progresso e una qualità di vita più alta nella profonda sarda. Il presidente del gruppo immobiliare, però intuisce che nel no ostinato di questo pastore c’è tutta la sua dignità e gli riconosce un enorme coraggio nel rifiutare una cifra più che milionaria.
Sono trattati anche con ironia e delicatezza, i conflitti che si creano all’interno della comunità e della famiglia del pastore, perché tutti hanno l’aspettativa che lui dica di si, perché nell’ottica che sviluppo e progresso sono indissolubilmente legate, chi rifiuta una proposta milionaria è solo un pazzo e un egoista che pensa solo a se stesso a non ha a cuore le sorti di chi gli sta intorno.
Ma non si vince mai da soli. Sarà la figlia, che all’inizio del film non sa da che parte stare, perché si sente divisa tra le ragioni di chi le chiede di convincerlo a vendere e l’amore per lui , ad accompagnarlo nella battaglia legale contro il colosso immobiliare.
In lei si risveglia piano piano il valore sacro della terra quando assiste al saccheggio di chi guida le ruspe che senza alcuna cura, estirpa ulivi centenari, interra tubature, cementifica e distrugge senza pietà tutto ciò che circonda la casa della sua infanzia. È un urlo viscerale il suo. La dignità è legata a doppio nodo con la sorte di quel cielo e di quella terra che l’ha vista crescere. Lei è quella terra, venderla sarebbe vendere se stessi. Ed è qui il vero strappo.
Chi si è disconnesso dalle sue radici, quasi tutti, non vede che “vendere” la propria casa, la propria terra dove si è cresciuti è vendere se stessi a un sistema che ti renderà schiavo per sempre.
Alla crescita illimitata questo pastore si pone come limite . Lui sardo quasi analfabeta, ha un’ intelligenza intuitiva fenomenale e un certezza talmente limpida da non sentire mai il bisogno di spiegare il suo NO. Ed è qui la spaccatura. Questa intelligenza intuitiva in realtà è una dote umana che abbiamo tutti ma che abbiamo dimenticato di avere o forse sarebbe meglio dire che ci insegnano da tempo ad accantonare in nome del superbo “ logos” occidentale. Se solo attivassimo un pochino di quell’intelligenza vedremmo chiaramente che la tanto agognata ricchezza che ci viene prospettata dal “sistema progresso” sarà nostra solo se accetteremo di vendere la nostra stessa natura, noi stessi.
È questo che ho amato del film, siamo tutti immersi in questo sistema e nella narrazione che senza progresso non c’è futuro, ma possiamo scegliere di essere come il pastore, possiamo dire di NO , un no senza spiegazioni logiche e “ di buon senso “ e diventare il limite a un sistema che nella sua folle corsa verso la crescita illimitata ci sta portando alla morte di senso. Perché è questo che fa il pastore, si rifiuta di uccidere la sua anima; la sua missione su questa terra non è negoziabile. È talmente semplice e banale da capire che mi chiedo perché siamo ancora qui a domandarci che scelta fare.
In copertina: foto da pressenza
Per leggere gli altri articoli di Roberta Trucco clicca sul nome dell’autrice

Lascia un commento