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Compie cinquant’anni il prossimo 22 dicembre Medici Senza Frontiere [Qui], l’organizzazione internazionale fondata a Parigi nel 1971, che porta soccorso sanitario e assistenza medica in tutte le zone del mondo colpite da guerre, epidemie, disastri ambientali, dove non sia garantito il diritto alla cura.
Ho acquistato una copia della raccolta Le ferite che è uscita in marzo per Einaudi: quattordici grandi racconti, ceduti gratuitamente dagli autori per raccogliere fondi a favore di MSF; alla raccolta partecipa l’editore, devolvendo l’utile di questo progetto, così come partecipa ogni lettore che compri il libro.
Mi sento così l’ultimo anello di una catena umana sensibile al mondo ferito.
Leggo. E’ un’attività solo della mente, molto lontana dall’agire verso gli altri portando medicine e soccorso.
Eppure ha un valore, lo dice bene la dichiarazione con cui MSF ha risposto alla consegna del Premio Nobel per la pace ottenuto nel 1999 “in riconoscimento del lavoro umanitario pionieristico”.
Dice così: “Non siamo sicuri che le parole possano salvare vite, ma sappiamo con certezza che il silenzio uccide”.
Leggo i racconti in un ordine casuale, ora attirata dal titolo, ora dall’autore che ha scritto e poi donato una storia. Sono racconti di varia lunghezza, in cui il tema della ferita viene declinato in modi piuttosto diversi dagli autori: Marco Balzano, Diego De Silva, Donatella Di Pietrantonio, Marcello Fois, Helena Janeczek, Jhumpa Lahiri, Antonella Lattanzi, Melania G. Mazzucco, Rossella Milone, Marco Missiroli, Evelina Santangelo, Domenico Starnone, Sandro Veronesi, Hamid Ziarati.
Ci si ferisce tra singoli individui oppure tra popoli, si ricevono ferite nell’infanzia oppure da adulti, dentro la famiglia di origine oppure dal partner con cui si è vissuto a lungo. È una stanza di ospedale il luogo angusto in cui si consuma la distanza tra i mondi di appartenenza dei malati, oppure è il Mediterraneo, lo spazio della migrazione sofferta e senza diritti. E’ una donna a essere lasciata senza acqua mentre sta male tra le mura di casa.
Leggo Senza nome dello scrittore iraniano Hamid Ziarati [Qui] e mi trovo in Kurdistan. A non avere nome è una ragazzina, che la voce narrante ha visto in un campo profughi in Turchia e ora la descrive. I suoi capelli sono lunghi ma non lunghissimi, sono lunghi perché trascurati, nessuno li ha tagliati da anni. Gli occhi sono profondi e belli, da mediorientale e hanno il colore del miele.
Il narratore non guarda più gli occhi dei profughi che incontra: dentro i campi ha trovato solo tristezza e paura in quelli dei rifugiati e odio nello sguardo di chi col bastone in mano li colpisce e li tortura.
Naso e bocca sono da ragazzina, cioè non ancora definiti, e anche la bocca è in divenire, con i denti tutti bianchi. Alcuni denti sono caduti, però. Ha perso da poco i denti di latte? Ha ricevuto “qualche bastonata da quelli del Daesh”?
Neppure il narratore ha un nome: lui e la ragazzina hanno vissuto tra spostamenti continui, impegnati a fuggire da un paese all’altro in un mondo ostile fatto di “dittatura, guerra, detenzione, violenza, fame, pericolo, speranza, sogno”.
La vita l’ha trascorsa come giornalista riempiendo taccuini di appunti per i suoi reportage: l’infanzia in Iraq e la fuga in Iran allo scoppio della guerra tra i due paesi, il ritorno dopo anni ai luoghi dell’infanzia irachena e poi il passaggio in Siria, perché l’Iraq di Saddam ha intrapreso un’altra guerra invadendo il Kuwait.
Infine la fuga anni dopo fino al Kurdistan turco, dove l’ha incontrata la prima volta. Poi ancora in movimento verso la Grecia e l’Italia, viaggiando sullo stesso camion con lei. “E poi sono passati tanti anni da quell’ultima volta che l’ho vista, fino a qualche sera fa, alla stazione dei treni, dove dormo per sfuggire al freddo, poliziotti permettendo. Era uguale, lo giuro. È salita su un treno…”
A questo punto sono giunte le loro vite parallele: il giornalista conserva i taccuini nella borsa che ha con sé, ma non scrive più. Sopravvive come profugo, dormendo nel freddo di una stazione non precisata.
Mentre la bambina, che in tanti anni è rimasta uguale, che anche ora è vestita “come tutte le ragazzine” e sta salendo da sola su un treno, diventa il simbolo di tutti i minori che viaggiano soli e senza sostegno. Per lei occorre mobilitarsi. Cercatela, perché “deve essere lei la bambina che state cercando. E se non è lei, cercate anche lei per favore! È sola”.
Leggo Tubature di Rossella Milone [Qui] e mi trovo chiusa nella casa di Sonia, una giovane donna che soffre di ipermenorree saltuarie durante il ciclo. La trovo sofferente, perché la emorragia che la sta sfiancando è cominciata di notte, mentre lei dormiva.
Ora si sveglia ed è ancora notte fonda e, mentre si trascina dal letto alle altre stanze in cerca di un rimedio, la mente le si fa lucida. Ricorda che Andrea, il compagno che ha appena lasciato dopo anni di convivenza, è venuto ieri sera a prendere le sue ultime cose. Ricorda di avere avvertito i primi crampi e di essere andata a coricarsi, mentre lui si muoveva ancora dentro casa; lo ha sentito armeggiare a lungo usando gli attrezzi per le riparazioni.
Alla sua domanda di spiegazioni lui ha detto che dalle tubature usciva un rumore continuo, che andava tolto. Le tubature, già. Ha estremo bisogno di acqua, Sonia. Le occorre una borsa dell’acqua calda, vuole prepararsi una camomilla, vuole lavarsi.
Quando in bagno solleva il miscelatore non accade nulla, non esce nemmeno una goccia d’acqua. La ferita che le ha inferto il suo ex compagno è proprio qui: “il rubinetto fa un rumore cavo, come di una bolla che scoppia, e Sonia immagina tutta l’acqua del mondo defluire via”, mentre le forze defluiscono dal suo corpo e lei deve rannicchiarsi sulla poltrona per resistere al dolore, sporca e sudicia com’è, dentro la sua pozza.
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
Periscopio è di proprietà di una S.r.l. con un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratico del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE