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Dalle porte chiuse al Red Carpet della Festa del Cinema di Roma: applausi e riconoscimenti al film dedicato alle vittime del terremoto. Intervista a Stefano Muroni.

Di Eleonora Rossi

“Non è importante il tappeto rosso. Ma aver raggiunto, con sacrificio, il cuore delle persone”. Così ha commentato Marco Cassini – sceneggiatore e regista del film “La notte non fa più paura” – all’indomani del “Red Carpet” alla Festa del Cinema di Roma. E nelle sue parole è racchiuso il valore di un film che ha colpito nel segno: una pellicola dedicata alle vittime del terremoto, “per non dimenticare”. Non a caso è stato definito “il film della gente”. Ideato da Stefano Muroni e Samuele Govoni, “La notte non fa più paura” è stato proiettato lo scorso 18 ottobre alla presenza del Ministro della Cultura Dario Franceschini, del Direttore del Giffoni Film Festival Claudio Gubitosi e di Marcella Zappaterra, già assessore della Provincia di Ferrara, al MAXXI di Roma come evento speciale alla Festa del Cinema di Roma. L’incasso della serata romana è stato devoluto alla gente di Amatrice, per la realizzazione di un cine-teatro, in questi giorni drammatici in cui la terra continua a tremare, insieme alle certezze di tutti.

“La notte non fa più paura” racconta un altro sisma, quello che colpì l’Emilia nel 2012, il “terremoto delle fabbriche”: una storia capace di racchiudere fragilità e forza, tragedia e amore, amicizia e speranza. Pellicola low budget, finanziata in gran parte dalla docente Maria Rita Storti, interpretato da Stefano Muroni, Walter Cordopatri, Valeria Romanelli, Silvana Spina, Piero Cardano, Rosario Petix, Ivan Alovisio, Valentina Imperatori e dal “David di Donatello” Giorgio Colangeli. “Considero La notte non fa più paura un ‘piccolo grande miracolo’- commenta la produttrice esecutiva Ilaria Battistella – : sia per i motivi legati al budget ridotto, ma soprattutto per l’impegno e la dedizione dell’incredibile squadra di giovani professionisti (e non) che siamo riusciti a reclutare e con cui abbiamo lavorato con serietà ed entusiasmo, nonostante le innumerevoli difficoltà e la condizione di profonda urgenza produttiva legata a questo film”.

La pellicola è stata presentata nell’aprile 2015 in avant première all’Istituto di Cultura Italiana di Bruxelles, in anteprima nazionale lo scorso 9 aprile a Teramo e, a 4 anni esatti dalla prima scossa, il 20 maggio 2016, al Cinepark Apollo di Ferrara: entrambe le proiezioni hanno fatto registrare sold out. Tutto esaurito anche il 29 maggio 2016 a Cento e grande successo nelle successive tappe di Mantova, Medolla e Roma. Il 18 luglio 2016 è stato presentato alla Camera dei Deputati di Roma alla presenza di diverse autorità politiche, per poi essere proiettato alla 34esima edizione del Valdarno Cinema Fedic, dove ha vinto il Premio Banca del Valdarno, riconosciuto all’opera che meglio evidenziava i valori della cooperazione e della solidarietà. A luglio 2016 il film si è quindi aggiudicato tre premi al Social World Film Festival di Sorrento: Miglior Film, Miglior Sceneggiatura e Menzione della Giuria di Qualità, ed è stato scelto ad agosto come evento speciale alla 20esima edizione del Bobbio Film Festival, diretto dal regista Marco Bellocchio.

“La notte non fa più paura” sta collezionando un riconoscimento dopo l’altro.
Ma portare a termine un progetto o realizzare il proprio sogno è spesso un percorso ad ostacoli. Avere successo significa non arrendersi, ma riuscire a trasformare i “no” e le difficoltà in uno stimolo per raggiungere i propri traguardi. Servono forza di volontà, caparbia ed ingegno. La determinazione e l’orgoglio dimostrati da Stefano Muroni. Classe 1989, attore professionista, Muroni si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma diretto da Giancarlo Giannini. La sua è una storia di rivincita, di ottimismo nel futuro e nelle sue possibilità. Chiediamo a lui di raccontarcela.

Riflettori accesi sul film “La notte non fa più paura”. Ma non è la storia di un successo annunciato, piuttosto di una strada in salita. È tua l’intuizione del film, tu c’eri fin dal principio, quando in pochi credevano in questo progetto. Come è iniziato tutto?
È iniziato il 20 e il 29 maggio 2012, con le scosse di terremoto: un dramma che ha sconvolto tutti. Con il passare dei mesi mi accorgevo però che le persone quasi non ne parlavano più. Anche a Mirabello, dove vivono i miei parenti, vi era grande efficienza nel ricostruire le case, ma non ci si preoccupava dei sentimenti, delle crepe emotive. Da qui l’idea di raccontare il terremoto in un film: insieme a Samuele Govoni, giornalista accorso tra i primi fra le macerie delle fabbriche, iniziammo a scrivere un soggetto, “Tute blu”. Volevamo raccontare il senso di precarietà che il sisma ci aveva fatto avvertire, ma al tempo stesso descrivere l’incertezza delle condizioni sociali che rendono instabile la vita quotidiana. Ero fiducioso: pensavo che l’idea sarebbe stata accolta con favore, invece è stato difficilissimo essere presi in considerazione; per un anno e mezzo ho girato ininterrottamente tutta la provincia con la mia auto, da solo, per cercare finanziamenti, ma ho trovato molte porte chiuse. C’era chi prometteva ma non manteneva, o chi non ci ascoltava davvero. Ma più le persone mi dicevano ‘no’, più mi convincevo che tra le mani avevo una perla, e che dovevo insistere.

Come sei riuscito a dare forma ai tuoi sogni?
Ho continuato a chiedere, mi sono rivolto a Telestense e ai giornali locali, cercando di trasformare il progetto in un caso mediatico locale. Finché un giorno una docente di Tresigallo, Maria Rita Storti, mi ha detto che avrebbe finanziato il film con 20 mila euro; non finirò mai di ringraziarla. Anche la Provincia di Ferrara, nella persona di Marcella Zappaterra, ha creduto nel soggetto del film e come lei Vittorio Gambale, l’unico imprenditore che ha sostenuto il progetto. In corso d’opera si sono uniti altri finanziamenti, tra i quali quello significativo del Comitato Emilia Vite Scosse. A febbraio 2014 – con poco più di 30 mila euro – io, Marco Cassini e Walter Cordopatri ci siamo dedicati alla stesura completa della sceneggiatura. A settembre 2014 sono iniziate le riprese (foto Marco Caselli Myotis).

Che cosa è stato apprezzato del film?
La sincerità con cui viene affrontato il tema del terremoto. Il nostro non è un film di denuncia, né di pietismo: è una storia vera, che arriva al cuore in modo puro.

Ci sono stati spettatori che sono riusciti ad esorcizzare la propria paura?
Sempre, alla fine della proiezione del film, le persone che hanno vissuto quei momenti drammatici si avvicinano con gli occhi lucidi per stringerci la mano o per abbracciarci. A Medolla ho vissuto un momento particolarmente toccante, quando un ragazzo, ancora tremante, alla fine del film venne a ringraziarmi: da più di quattro anni, dal terremoto del 2012, soffriva di crisi di panico e non era più riuscito ad entrare in un cinema: ‘Ce l’ho fatta a venire qui, e ho guardato il film sino alla fine: sono guarito’, mi ha confidato. E anch’io mi sono commosso.

Che cosa hai imparato da tutta questa storia?
Dal punto di vista emotivo ho avuto soddisfazioni come questa, ho capito che ci sono storie che devono essere raccontate ad ogni costo. Storie che possono aiutare a stare meglio, o perfino a guarire. Ma ho imparato molto anche dal punto di vista imprenditoriale: ora so come muovermi anche per il mio prossimo film, che sarà dedicato a Don Minzoni. Ho molti nuovi contatti, ho frequentato festival importanti: è stato un apprendimento enorme per la mia professione.

Cosa vi ha detto il ministro Dario Franceschini a Roma?
Durante la proiezione il ministro era seduto vicino all’onorevole Giovanna Melandri, che al termine ci ha stretto la mano commentando ‘Bravissimi! Mi avete commosso’. Poi il ministro Franceschini è salito sul palco e ha detto di essere felice di vedere come dietro al film ci sia un’équipe di giovani e validi professionisti. Ha aggiunto che i programmi futuri prevedono di valorizzare e sostenere i talenti italiani con meno di 35 anni.

Hai parlato di un’équipe: ho avuto l’onore di seguirvi a Bruxelles per l’anteprima del film e lì ho conosciuto un gruppo affiatato di professionisti e di amici. Credo che l’effetto squadra rappresenti un valore aggiunto: questo legame autentico si respira, si percepisce anche nel film.
È vero, in tanti hanno sentito questa sintonia nel collaborare, perché è reale. Non è un caso se molti di noi lavoreranno insieme anche al prossimo film.
Prima della Festa di Roma, il 17 ottobre 2016, a Milano, ti è stata consegnata anche la “Stella al merito sociale”, un riconoscimento già assegnato a Pupi Avati, Antonio Albanese, Margherita Buy. Hai dedicato il premio al Comitato Emilia Vite Scosse…
Era il minimo che potessi fare. Il minimo. La “stella al merito” mi è stata consegnata da Claudio Gubitosi, Direttore del Giffoni Film Festival. È stata un’emozione trovarmi sotto i riflettori, e vedere che le mie scelte artistiche sono state comprese e apprezzate in un contesto così prestigioso.

E parlando di Stelle del cinema, abbiamo visto postata una fotografia in cui sorridi accanto a Monica Guerritore. Cosa bolle in pentola?
Dopo il successo di “Voci di Resistenza” (www.treccani.it), il progetto scritto e diretto da mio fratello Giuseppe Muroni per la tv web, il direttore della Treccani ed ex Ministro alla Cultura Massimo Bray, ha chiesto a Giuseppe di approfondire un’altra tematica storica. Nei primissimi mesi del 2017 uscirà questo nuovo progetto storico, a quattro voci come il precedente. Monica Guerritore interpreterà una voce, io un’altra: è stato bello rivedere Monica dopo il mediometraggio Tommaso, dove avevo recitato al suo fianco. Per me lei è un mito.

Quali sono gli altri tuoi prossimi progetti?
E’ uscito da pochi giorni, in America e in Italia, dopo un tour in festival di tutto il mondo, il dvd del film di Massimo Alì Mohammad che mi vede protagonista, Amore tra le rovine. Merita, compratelo! È imminente poi, a novembre, la presentazione del cofanetto da me curato, “Una notte del ’43” di Giorgio Bassani. Sarà un audiolibro interpretato da cinque attori ferraresi accompagnato da un libro con tre saggi di autori ferraresi, registrato a Sonika: un progetto realizzato interamente a Ferrara, ma di respiro nazionale, per portare le celebrazioni di Bassani oltre le Mura. È un cofanetto prodotto da Emons, leader della produzione di audiolibri in Italia.
In cantiere c’è poi un “Controcanto del Furioso”, in 7 puntate e il film a cui accennavo prima, dedicato a Don Minzoni, di cui sto già scrivendo la sceneggiatura insieme a Marco Cassini e Valeria Luzi.

A proposito di sceneggiatura, hai osservato: “Il mestiere dell’attore è raccontare storie”, ricordandoci un altro tuo talento, la scrittura. Che cosa significa per te scrivere?
Quello che sto cercando di fare nel mio cinema è raccontare storie attuali o del passato, ma che ancora hanno qualcosa da dirci, anche per il futuro. Sono storie bellissime, ma che nessuno ricorda più. È malvagio dimenticare storie che, se raccontate bene, possono contribuire al benessere emotivo della società. Io ci credo. Anche la scrittura è un modo per non dimenticare. Se oggi i ragazzi vivono un senso di incertezza, potrebbe derivare dal fatto che non conoscono le proprie radici, non parlano più con i loro nonni. Per questo ho scritto il saggio “Tresigallo, città di fondazione” (Pendragon, 2015), per documentare le origini della mia gente. Nel 2017 uscirà un altro libro, nel quale ho riunito i racconti composti tra i 18 e i 26 anni. È il mio esordio da narratore: ho raccolto storie vere, manoscritti, ma anche leggende, dicerie di paese, storie di fantasmi e di visioni lunari. Raccontare belle storie è un modo per farle rivivere. Per non lasciare che finiscano.

Che cosa vorresti fosse scritto nel libro della tua storia?
Una frase semplice: “Stefano Muroni è stato un ragazzo di provincia che a 18 anni è partito da Tresigallo per Roma, con il sogno di fare l’attore. E ci è riuscito”. Spero che venga scritto questo, perché è il messaggio che vorrei trasmettere, anche ai miei allievi del Centro Preformazione Attoriale: l’importanza di rispettare i propri sogni. Nulla è impossibile quando si sogna davvero.
Spero, nel mio piccolo, che resti questa testimonianza: quel ragazzo che è partito per Roma senza conoscere nessuno, aveva un sogno e ha fatto di tutto pur di realizzarlo. Non ha ascoltato i genitori, gli amici, i professori, il paese. Ha ascoltato solo se stesso, il bambino che era dentro di lui e che voleva fare l’attore a tutti i costi. E alla fine ce l’ha fatta, ce la sta facendo. Ed è solo l’inizio!

Foto di Marco Caselli Myotis
Foto di Marco Caselli Myotis
Foto di Marco Caselli Myotis
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Foto di Marco Caselli Myotis
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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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