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E ‘a luna rossa mme parla ‘e te,
Io lle domando si aspiette a me,
e mme risponne: “Si ‘o vvuó’ sapé,
ccá nun ce sta nisciuna…”
E i’ chiammo ‘o nomme pe’ te vedé,
ma, tutt”a gente ca parla ‘e te,
risponne: “E’ tarde che vuó’ sapé?!
Ccá nun ce sta nisciuna!…”
Luna rossa,
chi mme sarrá sincera?

I versi della canzone Luna rossa cantata dal nazional-popolare Claudio Villa nel 1954 questa sera risuonano di bagno in bagno mentre ci si avvia in numerosa schiera –cognati, nipoti, e tre super pronipoti- all’Onda blu dove ci aspetta un cena memorabile. Sembra di essere al Lido d’antan.
Un cielo stupefatto inquadra nel blu il disco rosso che s’affievolisce fino a scomparire mentre Marte fa capolino e i fasci di luce come impazziti vagano accompagnando i selfie tra il mormorio di grandi e piccini.
Ho suggerito alla compagnia d’indossare qualcosa di bianco perché è la sera di ‘Bu el can’ il mese della luna piena nella tradizione ebraiche che quest’anno festeggia proprio la ricorrenza il 22 luglio. I giovani in Israele vestiti di bianco salgono sulle colline di Gerusalemme per commemorare l’amore tra adolescenti che sta per nascere. Ci sediamo al nostro tavolo e tra una ‘capa santa’, un fiore bianco e la luna rossa il Lido sembra Capri, la Versilia, la Sardegna. Passata l’ora topica mentre gli amici già inviano le foto lunari uno strepito spaventoso investe il bagno. La musica sparata ‘a chiodo’, così m’informano i super pronipoti, cerca di superare quella del bagno vicino e quindi far prevalere le sue scelte. Improvvisamente si risvegliano gli istinti atavici del mio passato ballerino e con Matteo, Marco e il piccolo Luca insceniamo un ballo figurato tra i tavoli mentre la saggia consorte ammonisce “te ne accorgerai domani!” Così nel tempo del week end le difficoltà che rendono il Lido Laido sembrano lontane. Luca esibisce nel suo nuovo negozio frutta squisita e il mio ristorante preferito, Al Ragno, offre le sue specialità della tradizione toscana mentre s’intrecciano con Paola dotte conversazioni tra un piatto e l’altro. Paola che lascia il suo lavoro di legale per aiutare la sera i genitori a servire quei prodotti toscani che trovo irrepetibili come la loro ribollita. Più in là la mia incompetenza da computer trova sollievo e aiuto all’Edicola Biolcati che porgendoti al mattino il mannello di giornali freschi freschi tecnicamente ti aiuta a ripiombare anche nella tristissima ‘realtà’ politica.
Il pericolo sta proprio nella minaccia di dimenticare queste e altre tradizioni che avevano fatto del Lido un luogo sereno fino all’immonda urbanizzazione e alla trascuratezza dimostrata dalle ultime amministrazione nel preservare e proteggere ciò che resta dell’antico ambiente.
E a questo pericolo bisogna porre rimedio.
Tra le volte dei pini colombacci e gabbiani stridono invocando un cambio di passo, una ripresa politica che non deve ignorare la cultura e non renderla fascisticamente ‘culturame’.
Ce la faremo? Potranno i lidi non essere più laidi?
Nel frattempo la spartizione del potere prosegue a ritmo serrato tra le fila del governo giallo-verde e pensando a certe scelte vedi la Rai potremmo con Claudio Villa ripetere l’immortale ritornello di Luna rossa:
E ‘a luna rossa mme parla ‘e te,
Io lle domando si aspiette a me,
e mme risponne: Si ‘o vvuó’ sapé, ccá nun ce sta nisciuna/o.”
Poi corro da Simon’s a mangiarmi il suo cono gelato ripetendomi: “Se prendiamo consapevolezza si può star bene anche al Lido degli Estensi”.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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