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Impazzano le ‘zeta’ sibilanti elargite con enorme diponibilità dalle ragazze ferraresi. In piazza fiori e cibo vegano. I luoghi della cultura intasati da Ariosto e Bassani. In Cattedrale con passo solenne sfilano le contrade e i duchi e la corte, mentre il vescovo benedice i palii.
La Storia, la cronaca, il passato, si fondono con il tributo totale, immenso, senza limiti, che saluta l’arrivo della Spal in serie B. I giocatori intervistati dalle tv locali esibiscono strepitose pettinature, brandelli di tattoo e polsi invasi da decine di bracciali e fermagli da polso. I giornali dedicano la metà esatta delle pagine locali allo sport, un terzo alle sagre, il resto alla cronaca dove si dà stancamente conto della protesta degli azzerati delle quattro banche italiane.
Gramellini nella trasmissione di Fazio illustra una statistica che vorrebbe far luce su ciò che accomuna i diversi protagonisti del populismo mondiale. Da Trump a Grillo sembra che il denominatore comune vada ritrovato nella cura ossessiva e precisa della propria capigliatura. Sospiro di sollievo: per ragioni oggettive non potrò mai essere populista!

Ferrara sembrerebbe una città felice, anche se c’è l’uomo in nero che rapina giovani e anziane signore nel centro storico, anche se le proteste contro Carife portano a imbrattare i portoni della Fondazione con uova e altri commestibili. Prova irrefutabile di una volontà di colpevolezza che non sa indirizzare la protesta nei luoghi giusti. Il quartiere Gad è sempre più a rischio, ma ci sono le sagre!! Cibus e gli altri eventi mangerecci, che hanno reso l’Italia un unico, immenso ristorante. Vuoi mettere andare (e ne porto la colpevolezza/innocenza) a disquisire su Piero della Francesca a Forlì senza prima assaggiare le gourmandises in una trattoria tipica del luogo? E per fortuna che alla fine della mostra ‘intrigante’ ci aspetta l’Ebe canoviana che versa vino dalla sua ampolla dorata.
Dopo le pecore brucanti nel sottomura tiene il pezzo l’avventura del musicista da strada che suona il pianoforte nella centralissima Piazza Trento e Trieste, invitato ad andarsene dai vigili in quanto non ha pagato la tassa sull’occupazione di suolo pubblico. A furor di popolo verrebbe riammesso se non si scoprisse che la stessa dimenticanza era avvenuta in altre città tra il Veneto e l’Emilia.
Importantissime questioni che fanno dimenticare il conflitto tra magistratura e governo, mentre cadono e si dimettono per illeciti commessi amministratori e sindaci del Pd tra il tripudio e lo sdegno dei 5stelle che – mirabile dictu!!! – oggi vedono indagato il loro sindaco di Livorno.
Salvini si frega le mani mentre pochi imbecilli strappano il suo libro a Bologna, portandolo in tal modo alle vette delle classifiche delle vendite. Così come altri individui sfigati fanno proteste sbagliate al Brennero, deludendo con un comportamento goffo e privo di senso l’indignazione contro la politica austriaca del rifiuto dei migranti.
Ma che straodinaria ‘Itaglia’!
Sembra quasi che una vena di ordinaria follia percorra le strade della nostra città. Come del Paese. Come dell’Europa. E poi è davvero possibile che gli Usa, patria indiscussa delle libertà democratiche, possano spingersi fino a far raggiungere il ruolo di primo candidato del Partito Repubblicano a Donald Trump? E’ possibile che in Turchia un dittatore come Erdogan venga a patti con l’Europa? Mentre chi osa opporsi viene preso a pistolettate fuori da quel tribunale che gli sta comminando cinque anni di carcere tra l’impassibile indifferenza del dittatore? E’ possibile che Aleppo paghi con il martirio della città l’ambigua politica di Putin?

E per ritornare al mio campo, quello per cui lavoro e mi affanno: è possibile che dello straordinario spettacolo dell’Orlando Furioso, messo in scena da Ronconi sul ‘travestimento’ del poema operato da Edoardo Sanguineti, non resti più traccia consultabile? Sparite le due copie del testo, una perduta da Sanguineti e l’altra scomposta per assegnare le parti agli attori da Ronconi; rimane l’unico testimone: la copia consegnata alla Siae che però, come ha ben dimostrato Claudio Longhi, manca delle scene finali dettate agli attori da Ronconi stesso.
Della ricostruzione del testo, curato in modo impeccabile da Longhi, parlai assieme a Ezio Raimondi al Ridotto del Teatro Comunale. Ho perduto gli appunti e non ne resta traccia.
Chiedo a chi c’era nel lontano 1969 se qualcuno ha scattato qualche foto dell’evento in Piazzetta Municipale. I risultati per ora non danno frutto ed è per questo che chiedo in questa puntata del mio “Diario in pubblico” se chi mi legge per caso o destino possa confortarmi con qualche testimonianza.
Sembra enorme il divario tra ciò che la Storia ci infligge e questa particolare e curiosa situazione.
Ma un filo lega storia e cronaca. La mancanza della memoria che ormai impedisce attraverso il ricordo di procurarci quella giusta dimensione che permette di interrogare il passato non per affermarci nel presente, ma per poter costruire le fondamenta di un futuro sempre più pericolosamente schiacciato sulla dimensione dell’oggi, dell’ ‘eterno presente’.
Il passato si fa sempre più vivido allorché ci si allontana nel tempo. E la mente ricorda la perfetta e perturbante situazione di chi, allora giovane studioso, si faceva irretire dal labirinto della messa in scena ronconiana e si spaventava del rumor delle macchine e dei carrelli degli enormi cavalli che sembrava t’investissero o dell’iterazione ossessiva delle rime sanguinetiane, mentre Olimpia con la voce roca di Mariangela Melato urlava la sua disperazione alle prese con l’Orca e una ragazzina Angelica-Ottavia Piccolo seduceva il suo Medoro.
Ora il ricordo dalla mente si trasferirà nel saggio da mandare alla mostra che verrà allestita a Villa d’Este a Tivoli per cui si cercano referenze, appoggi, conferme. Ma sembra che per incantamento il mago Atlante abbia fatto sparire ogni traccia delle armi e degli amori.
Sarà così anche di questo tempo infelice che fa sparire il ricordo perché non c’è tempo di ricordare nel perenne inseguimento di un futuro che diventa inesorabilmente attualità?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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