Skip to main content

Il crollo finanziario del 2008, a cui il fallimento della Lehman Brothers diede inizio, fu denso di conseguenze, catastrofiche sicuramente ma anche illuminanti.
La maggior parte dei lettori comprenderà subito cosa intendo quando scrivo “conseguenze catastrofiche”, la mente volerà ai titoli dei giornali e alle aperture dei telegiornali, al ricordo dei suicidi e delle aziende che abbassavano le saracinesche, alle richieste di aiuto degli imprenditori e alle file alle mense dei poveri. Poi all’austerità e a Monti, alla stretta sulle pensioni e alla Fornero.

Ma perché ‘illuminante’? Mi spiego. Dopo il 2008 abbiamo scoperto che:
1) le agenzie di rating potevano dare giudizi da tripla “a” ad aziende (magari banche) che erano destinate al fallimento il giorno dopo e che quindi il loro giudizio non valeva nulla;
2) che il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke poteva rispondere in TV a chi lo intervistava che i soldi immessi nel sistema per salvare le banche non venivano dalle tasse dei cittadini ma era una delle possibilità a costo zero delle banche centrali (cioè, le banche centrali “possono creare soldi semplicemente aumentando le riserve delle banche commerciali detenute dalle banche centrali”, schiacciando quindi un pulsante);
3) che il governatore della Banca Centrale Europea Mario Monti poteva rassicurare l’intervistatore sul fatto che le banche centrali “non possono finire i soldi”.

Insomma, la crisi del 2008 ci fornì gli elementi per comprendere in maniera anche plateale, in TV e su youtube, che il sistema si basava su false verità e che il denaro non era il vero problema. Questo si poteva creare alla bisogna mentre ciò che servivano erano controlli, separazione dei ruoli, costruzione di un muro tra economia reale e finanziaria, salvaguardia degli interessi dei cittadini e delle imprese dallo strapotere dei poteri finanziari a cui erano state date le chiavi del mondo.

Sarebbe bastato un po’ di visione politica, di buona informazione e di attenzione da parte delle comunità perché tutto cambiasse, ma non successe nulla. Tanto che le élite realizzarono che in fondo la misura non era colma, che eravamo indifferenti alla nostra stessa sorte … e decisero di affondare il coltello.

La storia continua e alla crisi del 2008 seguì la crisi del 2011, quella dei debiti pubblici. Tutti i debiti privati diventarono pubblici, cioè un peso per i cittadini, quelli che non avevano partecipato alla festa furono chiamati a rimettere insieme i cocci. La grande finanza non voleva perderci, aveva oramai compreso che il popolo non aveva capito ciò che era successo nel 2008 nonostante avessero detto la verità a reti unificate, che in fondo banche e mercati avevano più sostenitori che delatori (c’era addirittura chi voleva cambiare le Costituzioni per dare più spazio al globalismo finanziario), e che l’idea di recuperare le perdite finanziarie ritirando dalla circolazione benessere poteva anche passare se si fosse continuato ad utilizzare l’arma del ‘siamo tutti nella stessa barca’. E di fatto questa idea, per quanto assurda, sembra continuare a convincere i più, di conseguenza remiamo insieme, mano nella mano, con Apple, Amazon e FCA verso il baratro cantando felici Bella ciao.

Sembra proprio che la maggioranza delle persone preferisca seguire il rassicurante pastore fino al macello per paura del lupo. Pochi riflettono sul fatto che il macello da meno possibilità di salvezza del lupo e ancor meno persone vogliono riflettere sull’evidenza che dal 2008 in poi si sarebbe potuto aggiustare tutto semplicemente lasciando gestire la crisi finanziaria alla finanza stessa, senza trasformarla in economia reale, che si poteva rispondere ai soldi con i soldi rimettendo al centro la persona e i suoi bisogni, i lavoratori, le aziende e le famiglie.

Ma far passare il concetto che i soldi non siano un problema avrebbe messo da parte l’élite che sa come gestirli e strumentalizzarli, o meglio, avrebbe eliminato il potere che attraverso il suo monopolio queste “società strumentalizzanti” esercitano sulle popolazioni, avrebbe insomma sconvolto gli equilibri politici e sociali mondiali. Il sovvertimento del rapporto denaro = potere avrebbe addirittura potuto dare pane e lavoro a tutti, quindi questa idea folle non doveva passare. E non è passata.Infatti arrivò Monti, la Fornero e gli equilibri europei a rimettere tutto a posto. A far sembrare che l’unica via per uscire dalla crisi era quella del dolore e della sofferenza. E talmente sono stati convincenti che è diventato impossibile dire il contrario, rappresentare la semplicità dell’assurdità di tali assunti.

Cosa ci resta a questo punto se non la certezza che l’unica via è l’attesa. L’attesa del disastro e della caduta finale, perché solo a quel punto sarà chiaro quello che sta succedendo e che non è più possibile fermare. Non è utile opporsi alla folla che scalpita e urla, come non serve provare a farsi ascoltare da Lilly Gruber.
In questi giorni siamo andati oltre grazie sia al Recovery Found che al nostro Primo Ministro Conte, che ha lottato fino allo stremo insieme al M5S arrivando agli applausi finali in Parlamento. Ha lottato perché non si scegliesse il MES e alla fine ha vinto, portando a casa un grande risultato. Quale?
Quello di aver fatto completamente dimenticare gli insegnamenti, seppur di velata memoria, che per fare quello che farà il Recovery Fund, o che avrebbe potuto fare il MES, devono farlo invece le Banche Centrali che ne hanno gli strumenti ed esistono per questo. E che possono farlo senza indebitare i popoli, restituendo loro democrazia attraverso la restituzione della proprietà della moneta.
Conte è riuscito nell’arduo compito di annullare gli ultimi residui di ricordo delle parole di Bernanke e Draghi, è riuscito ad eliminare dai dibattiti i paper della BCE e persino della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) che dimostravano la possibilità di intervento delle banche centrali durante le crisi. Conte ha eliminato qualsiasi speranza che si ritorni a parlare di monetizzazione dei debiti sovrani.

E grazie alla sua opera nell’Eurozona si consolida l’idea di un “gold standard without gold”, cioè un sistema dove la moneta è merce nonostante non sia più rappresentativa di un gold standard da almeno cinquant’anni.
Ha rafforzato l’idea che uno Stato per avere soldi deve chiederli a qualcuno, chiamare a raccolta i nanetti per scavare buche sotto le montagne svizzere o nel lontano Klondike. Un anacronismo storico che confonde i nostri figli, mette contro le generazioni che si ritrovano nemiche e rafforza il potere di chi gestisce il denaro a scapito di chi vive di forza lavoro, di sudore e di inventiva. Conte e il M5S hanno contribuito a rendere divino il capitale, professandosi contemporaneamente difensori del popolo e dei lavoratori.
E ancora gli applausi riecheggiano, come quelli che accompagnarono l’ultima ballata dei musicisti del Titanic.

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it