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Noi siamo fatti così: volutamente distratti fino a quando non siamo direttamente toccati nelle nostre abitudini. Pensarci prima: no! Ci sono altre cose ben più importanti che occuparsi se è legittimo o meno lasciare un minore senza vigilanza, chi è responsabile se a tuo figlio accade qualcosa nel tragitto casa-scuola e viceversa.
Di qui la richiesta, ormai generalizzata, dopo la sentenza della Corte di cassazione, alle famiglie da parte dei presidi di ritirare i figli minori da scuola; non certo per una loro maggiore tutela, ma semplicemente per rimpallarsi le responsabilità in un rapporto dove da tempo è venuta meno la fiducia reciproca e dove si comunica, come in ogni divorzio che si rispetti, tramite carte bollate, avvocati e denunce.
Quello che è normale, come tornare a 11 anni da scuola da soli è diventato uno scarica barile, perché se succede qualcosa deve essere colpa di qualcuno.
La soluzione, checché se ne dica, non è lì dietro l’angolo. Ed è un bene, perché, come sa chi conosce la legge, la responsabilità degli adulti nei confronti dei minori è di tutti e sempre, a prescindere che siano i genitori o gli insegnanti, e, fortunatamente, non ci sono liberatorie per nessuno.
E allora il tema è un altro, che di volta in volta ricorre sotto spoglie diverse: come ci stanno bambini e bambine, ragazzi e ragazze nella nostra società, come si conciliano il diritto di essere se stessi e le loro esigenze con i tempi di vita e i codici degli adulti. Non è che li possiamo rinchiudere per ore in quelle scatole che chiamiamo scuole (o in altre riserve) e poi scoprire la loro autonomia solo quando a quelle scatole si recano o da quelle scatole tornano a casa, perché noi non abbiamo il tempo di accompagnarli e di andarli a prendere o non abbiamo altre figure adulte che in questa incombenza ci possano sostituire.
A perdersi nel bosco non sono i nostri figli, la sindrome di Pollicino è ormai nostra, siamo noi che ci siamo perduti nel bosco. Così perduti nel bosco che di figli abbiamo deciso che è più conveniente non farne. Troppo brigoso reggere nei confronti di crescite sempre più impegnative. Perché allevare figli, educare creature è una bella responsabilità: mica si può improvvisare.
Il fatto è che i ritmi della nostra società non sono adatti ad avere figli. Qui i figli se ce li hai devi darli in subappalto agli altri, dai servizi sociali ai nonni, dalle baby sitter alla scuola. Non è che se sei disoccupato hai tempo per tuo figlio, perché se sei disoccupato o precario proprio un figlio non te lo puoi permettere.
Allora ecco che ci accorgiamo che lo spazio è stretto per essere piccoli, per essere dei minori, lo spazio per crescere che la nostra società riserva ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze è sempre più angusto. Solo apparentemente ricco di opportunità dallo sport alla musica, dalla danza agli scacchi, ma tutto sotto controllo e organizzato perché si plasmino a immagine e somiglianza della società che abbiamo preparato per loro, stando persi nei nostri boschi.
C’è da rimpiangere le società in cui i figli erano di tutti. Ai ragazzi non mancavano la relazione, l’ascolto e l’attenzione. Perché l’autonomia non si conquista con il fai da te, ma se hai accanto un adulto che non si sostituisce a te, che non fa al tuo posto e neppure ti fa da cane da guardia. Ma un adulto che ti accompagna, un adulto con cui dialogare se ne hai voglia, un adulto che non pretende di insegnarti. È questo che manca agli adulti che si sono persi nel bosco, è questo mestiere che non sanno più fare la famiglia come la scuola, quello di accompagnare senza le interferenze dell’educazione, della formazione, senza pretendere quello che loro hanno deciso che tu devi essere.
È questa l’autonomia difficile da dare come da conquistare, che non si concede né si ottiene andando e tornando da scuola da soli. Quel tragitto sarebbe un percorso prezioso se accompagnato da un adulto di riferimento: è sempre un’occasione di crescita mancata.
Noi adulti siamo persi nel bosco perché l’organizzazione della società in cui viviamo ci ha tolto gli spazi fisici e mentali per accompagnare i nostri figli, per accompagnare le nostre ragazze e i nostri ragazzi, stando al nostro posto e rispettando il loro, per cui questo non lo sappiamo fare, con la conseguenza di avere giovani e adolescenti che ci sfuggono e che non comprendiamo.
Avremmo bisogno che i ragazzi e le ragazze divengano una responsabilità diffusa, un bene e una cura comune, un patrimonio di tutta la comunità. Sentirci tutti adulti responsabili di loro, indipendentemente che siano figli nostri o di altri. Sentire il problema della loro crescita, della loro tutela e della loro autonomia come problema nostro, vigilandoli a distanza, disposti alla relazione, all’attenzione e all’ascolto se ce lo chiedono, senza mai invadere il loro campo, stando con diligenza e delicatezza al nostro posto, lontanissimi dal pretendere di guidare, di insegnare, di educare, ma capaci di testimoniare con la nostra credibilità. Saper guardare a distanza ma con cura. Sarebbe questo un bel programma per una città, per un paese nei confronti di quel patrimonio prezioso che sono i propri giovani.
Ora modificheranno la legge, ma non so se sarà un passo verso l’autonomia dei nostri ragazzi o piuttosto un ulteriore passo di noi adulti nel bosco in cui ci siamo persi.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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