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Nella primavera del Covid decidiamo di andare in piazza a far spese. Il taxi ci porta in centro attraversando strade un tempo fervide di commerci e gente. Ora solo pochi ‘umarel’ discutono animatamente davanti alla Cattedrale, ma sotto il sole tiepido la città, come in una celebre canzone, appare vuota. Imbocchiamo la via famosa per i negozi e di fronte a quelli frequentati da una vita veniamo respinti se tentiamo l’ingresso simultaneamente, con gentilezza ma fermamente, perché, come ci insegna Figaro, “Uno alla volta, per carità! per carità! per carità!”

Infine, troviamo rifugio in un magazzino che vende cosmetici e prodotti per la cura della pelle. Ci lasciano entrare in coppia e cominciamo a vagare tra gli scaffali ancora sconosciuti per reperire ciò di cui abbiamo bisogno. Tra le poche persone che s’aggirano comprando ci imbattiamo in una giovane signora dai lunghi capelli neri che spinge una carrozzina da dove ci sorride una splendida creatura vestita di rosa che ci protende le manine in segno di saluto. Ogni tipo di difesa svanisce e di fronte alla cassa cominciano i vezzi e le moine. Mi congratulo con la madre dai penetranti occhi neri e chiedo di sapere il nome della bimba. “Clizia” mi risponde. A sentirlo il cuore comincia a mandarmi segnali d’amore e rispondo “ un nome montaliano?”. Gli occhi della signora s’illuminano. “Ma allora lei conosce la poesia?” – “Certo!” E dentro di me riecheggia il volo di Irma-Clizia tra le nebulose: “Ti libero la fronte dai ghiaccioli/che raccogliesti traversando l’alte/nebulose; hai le penne lacerate/dai cicloni, ti desti a soprassalti”. E nel caos del ricordo ecco che rivedo Eusebio/Montale all’Alpe mare del Forte dei Marmi e nella sua casa milanese. La signora spalanca gli occhi e mi chiede il nome. A mia volta la invito a venirmi a trovare al Centro studi bassaniani quando aprirà, essendone io co-curatore. La signora lancia un piccolo urlo e dichiara che non ci può credere. Ma perché?. E lei con un grande sospiro dichiara che la sua prima bambina, ora di cinque anni, si chiama….. Micòl in onore di Bassani.

Non è leggenda. È la coerenza dell’impossibile.

E, celando una curiosità malsana, la sera stessa sbircio la prima serata di Sanremo. Mai dico mai avrei potuto toccare con mano l’immensa distanza che separa un vecchietto, ancora culturalmente in forma, con gli orrori che ho visto. Strana gente che viene chiamata ‘cantante’ apre la bocca, da cui escono suoni incoerenti e maldestri. Un giocatore di calcio, che sembra la copia esatta del presentatore, dice e fa cose di una banalità disarmante. E le acconciature e i vestiti…. Da brivido. Una semi-famosa cantante ha i capelli infilati dentro un tubo di metallo e le unghie!!! Altro che Crudelia Demon. L’orrore puro è testimoniato da una anziana cantante L.B. oscenamente scosciata e con i capelli azzurri.

Mi congratulo con me stesso allora di essere un attardato radical chic e, di fronte al rimprovero dei miei assennati amici frequentatori di critica alta e di pensieri accademici, rispondo che stare in questo mondo è anche rendersi conto di dove e come viviamo. Per cui alla sera, lasciando l’ultimo ponderoso volume di critica dantesca, mi diletto a gareggiare con i concorrenti dell’Eredità, perdendo regolarmente visto il mio deficit culturale sullo sport, sulle canzonette, sulla cucina.

In lontananza brancolano negli scompensi del ricordo brani di vita vissuta in Versilia, a Lipari, a Firenze, a Bassano, in fuga da ‘Ferara, stazione di Ferara’. E tutto si confonde, si appiattisce, sembra non avere alcun senso.

Poi con la tromba del giudizio s’affaccia la prossima prova che mi restituisce al mondo: sarò vaccinato il 5 marzo e con la seconda dose al 26 dello stesso mese.

E il tempo si rinquadra nella dimensione che conosco.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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