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«Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?»
«Sì»
«Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!»
(Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”)

“Ecco il momento di accennare ad un altro svago che è caratteristico dei napoletani, il Presepe […] Si costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in aria, sontuosamente vestiti per la festa […]. Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s’incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni.”
(Johann Wolfang Goethe, Viaggio in Italia, 1787)

Dopo la prima rievocazione di Francesco a Greccio, il presepio è entrato di diritto nella tradizione natalizia popolare italiana e a Napoli è diventato una vera e propria arte, di cui si hanno tracce già dal 1340, ma che ha raggiunto il periodo di massimo splendore e sfarzo nel Settecento.
La sua forte valenza simbolica sta nel miscuglio fra la rappresentazione della spiritualità della natività ed elementi delle credenze popolari più antiche, paralleli e sottesi alla devozione cristiana.
La premessa a questo simbolismo era che nella mentalità del popolo, in maniera più o meno conscia, nel periodo del solstizio d’inverno si veniva creare una sorta di appiattimento temporale, un fermarsi del tempo presente, come se la natura trattenesse il fiato in attesa della nuova venuta della luce. Questa inquietudine nel delicato passaggio dal buio alla luce si ritrova per esempio nella struttura scenografica del presepe napoletano tradizionale, con i viottoli e le stradine che scendono fino al punto più basso, al centro della scena, dove si trova la grotta: la costruzione dall’alto al basso simboleggiava una sorta di viaggio misterico dal mondo sotterraneo alla rinascita della Luce del mondo. Richiami al mondo ultraterreno possono essere considerati anche il fiume, il laghetto o il pozzo, mentre luoghi come l’osteria o la taverna, oltre a rievocare scene di vita quotidiana, avevano la funzione di esorcizzare i rischi dei viaggi. Il castello è naturalmente un riferimento alla strage degli innocenti di Erode: non è quindi un caso che spesso venisse collocato nel punto più alto della composizione perché, come emblema della crudeltà dell’infanticidio, rappresentava il momento più buio e l’inizio del viaggio verso la redenzione cui si è accennato sopra. Figure centrali sono i Re Magi provenienti da Oriente, tradizionalmente raffigurati su un cavallo bianco, uno rossiccio o baio (crini ed estremità nere e corpo marrone) e uno nero: queste tre cavalcature rappresentavano l’iter quotidiano del sole dall’alba all’oscurità notturna. Ancora più interessante il fatto che nel loro seguito ci fosse una donna di colore portata su una lettiga: era la cosiddetta ‘Re Magia’ simboleggiante la luna. Questa figura era ancore presente nel presepe napoletano settecentesco, poi ha perso importanza fino quasi a scomparire. I personaggi popolari come il ‘verdummaro’, il vinaio, il macellaio, il fruttivendolo, il venditore di castagne, quello di formaggi, l’arrotino e il pescivendolo, rappresentavano la personificazione di un mese dell’anno e dunque anche lo scorrere del tempo. La coppia antitetica dei pastori, quello dormiente e quello ‘della meraviglia’, ci riportano invece alla devozione cristiana: il primo simboleggia il comportamento di coloro che sono rimasti indifferenti alla buona novella, mentre il secondo giunto nei pressi della mangiatoia ammira lo straordinario evento di cui è testimone. Anche i tre angeli sopra la grotta o la stalla sono simboli cristiani: uno al centro, con una veste gialla o dorata e il cartiglio “Gloria in excelsis deo”, uno a destra vestito di rosso con l’incensiere e uno a sinistra in bianco che suona la tromba, a simboleggiare rispettivamente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

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Federica Pezzoli


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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