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“Alla nostra prima iniziativa pubblica in una settimana raccogliemmo più di 100 adesioni: fummo spiazzati da quella risposta così forte e inattesa”. A parlare è Anna Paola Flachi, fondatrice, con il marito Amedeo, della sezione ferrarese di Amnesty International. “Le persone intravvedevano la possibilità di fare qualcosa subito: si firmava una lettera di appello e quella lettera partiva indirizzata a quel Capo di Stato. Inoltre quando si parla dei casi specifici, con un nome e un volto, c’è subito una più forte partecipazione”. Amnesty a Ferrara festeggia i suoi 35 anni. Il 29 maggio del 1980 nasceva, infatti, il “Gruppo Italia 35 – Ferrara” di Amnesty International per iniziativa, appunto, dei coniugi Flachi, che riunirono una decina di ferraresi, dentro e fuori le mura, fino ad allora soci della sezione nazionale, nata cinque anni prima.

Amnesty International è nata nel 1961, quando l’avvocato inglese Peter Benenson ha pubblicato su “The Observer” un intervento a tutta pagina intitolato “Prigionieri dimenticati”, per condividere con altri la propria indignazione per “l’incarcerazione di alcuni studenti portoghesi” a opera del regime di Salazar: per Berenson era giunto il momento “di risvegliare la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, sempre più disattesa da parte dei singoli Stati dopo il primo entusiasmo al momento della sua approvazione alle Nazioni unite”. Benenson ha chiesto a chiunque leggesse l’Observer di scrivere a Salazar per chiedere la liberazione di quei giovani, “scardinando la concezione che i diritti erano materia dei singoli governi”. “Il successo è stato tale, perché allora le persone sapevano ancora indignarsi, che la campagna di un anno si è trasformata in associazione”.

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La candela con il filo spinato, logo di Amnesty International

Così Amedeo e Anna Paola raccontano le origini di Amnesty International, l’associazione emblema della difesa dei diritti umani nel mondo, nel 1977 Premio Nobel per la Pace e membro consultivo delle Nazioni unite. La sezione italiana di Amnesty “è nata nel 1975: allora pochi intimi”, scherza Amedeo, che ne è stato presidente dal 1988 al 1991. Nel frattempo l’azione di Amnesty si era ampliata: dalle mobilitazioni per i cosiddetti “prigionieri di coscienza”, cioè coloro che venivano imprigionati per ciò che pensavano, alla difesa dell’integrità fisica delle persone, da qui il progetto di Convenzione contro la tortura (adottata dalle Nazioni unite nel 1984), che “è stata la prima campagna della sezione italiana”. “Allora l’associazione era poco conosciuta” e Amedeo e Anna Paola si sono iscritti spinti da Emmina Verzella (fondatrice dell’Associazione antivivisezione e per i diritti degli esseri viventi, alla quale è intitolato il canile comunale di Ferrara). “A un certo punto abbiamo deciso che dovevamo interessarci di più, perciò abbiamo chiesto informazioni sugli incontri: siamo andati a un’assemblea a Reggio Emilia e non abbiamo capito molto perché erano le prime volte che sentivamo parlare di diritti umani”, ammette Amedeo. Nel 1979 c’è stata un’assemblea nazionale a Grotta Ferrata: “noi pensavamo a un’assemblea formale, invece abbiamo trovato una cavea di gente incavolata per le continue violazioni dei diritti umani nel mondo”. In quell’occasione hanno anche chiesto notizie degli altri soci di Ferrara: “erano 10, li abbiamo riuniti in casa di Emmina e abbiamo deciso di iniziare la procedura per fondare un gruppo”. “Credo che il nostro sia stato uno dei gruppi italiani con il periodo di formazione più lungo, in pratica un anno: abbiamo iniziato a studiare, esaminavamo i casi e cercavamo di capire perché Amnesty avesse ‘adottato’ alcuni casi piuttosto che altri”.

diritti negati

Cerco anche io di capire meglio come funziona l’associazione: Amedeo e Anna Paola riferiscono che a Londra più di 400 ricercatori, oltre a condurre il monitoraggio dei diritti umani nelle varie aree del mondo con la produzione di rapporti periodici, riferiscono al Comitato esecutivo internazionale che a sua volta segnala le campagne e le “adozioni” dei singoli casi, sempre di “prigionieri dimenticati”, sottolinea Anna Paola. E aggiunge che per lei la ragione del successo di Amnesty è il “potersi confrontare con l’essere umano in quanto tale, senza distinzione di etnia, nazionalità, fede, perché alla base dell’azione del movimento c’è l’universalità del riconoscimento dei diritti fondamentali del genere umano”. L’adozione significa in pratica che un gruppo locale si incarica della situazione di un detenuto e, attraverso azioni su diversi fronti. Le sezioni nazionali e i gruppi locali, che al loro interno possono essere anche divisi in gruppi di tecnici – medici, avvocati, sindacalisti – che seguono i casi, attuano le direttive provenienti dal Consiglio e possono fare segnalazioni su trasgressioni.

Tornando alle vicende ferraresi, Amedeo – ricordando la già citata prima iniziativa pubblica dell’ottobre del 1979 – aggiunge alla ragioni dell’immediato successo “l’indipendenza da credi politici, fedi religiose ed etnie”, che allora distingueva Amnesty dalle altre realtà di attivismo: “Noi siamo stati i primi apartitici e aconfessionali, tanto è vero che nel nostro gruppo c’erano anche un pastore evangelico e un pastore mormone”. Da allora “abbiamo organizzato almeno un’iniziativa pubblica all’anno e abbiamo iniziato a riunirci nella sede di via Carlo Mayr” che, per ironia della sorte, è stata la casa del boia della casata estense.

Amedeo e Anna Paola mi raccontano di due dei prigionieri le cui vicende si sono intrecciate con Ferrara. Urbain Sossohunto “era stato imprigionato a metà degli anni Ottanta in Benin, allora sotto un regime dittatoriale, quando era ancora studente; il problema maggiore era il suo sostentamento perché, come in molte carceri africane, ai detenuti non veniva fornito il cibo – mi spiega Anna Paola – causando ulteriori difficoltà per la famiglia, che spesso non risiedeva nello stesso paese in cui era il detenuto”. Ci sono voluti tre anni per ottenere la sua liberazione, ma quando ci ha scritto “Sono libero grazie a voi” è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita”, continua, “poi è venuto anche a trovarci e ci ha raccontato che in carcere lui, scurissimo di pelle, era diventato bianco perché non li facevano mai uscire all’aria aperta; ora è sposato e si è trasferito in Canada dove lavora anche grazie ai suoi ottimi titoli di studio”. Amedeo, invece, mi racconta di Leonid Melnikov, un caso del 1980: un operaio di Krasnodar che “aveva il vizio di ascoltare le radio occidentali e poi riferire ciò che aveva sentito in fabbrica, per questo lo hanno internato in un ospedale psichiatrico speciale. Avevamo avuto sue notizie tramite i giornali clandestini dei dissidenti sovietici, che riuscivano a passare via Vienna, e una delle modalità di azione di Amnesty in Italia era capire se nelle città gemellate con quelle italiane ci fossero violazioni, usando questo canale per intervenire. Perciò ho chiesto un colloquio con il sindaco di Krasnodar, anche se con difficoltà, l’ho ottenuto e gli ho raccontato di Leonid. Dopo un paio di settimane ha richiamato e mi ha letto una bozza di lettera che aveva scritto al Soviet di Krasnodar sul caso di Leonid, chiedendomi di non divulgare la cosa perché poteva suonare come una sorta di protesta contro le autorità. Dopo tre mesi abbiamo ricevuto una cartolina in italiano da Leonid, che ci scriveva di essere stato liberato”.

Per quanto riguarda la collaborazione con altre realtà istituzionali e associative ferraresi che si occupano di inclusione sociale e difesa dei diritti, la situazione si è evoluta negli anni: all’inizio, spiega Amedeo, “non potevamo operare con nessuna associazione, per timore di essere identificati con questa o quella parte politica”; “ora – interviene Anna Paola – questo veto da parte del movimento è caduto anche perché il contesto è cambiato e ci sono molte più associazioni non schierate politicamente”. Da poco più di un anno si è aggiunto anche il Gruppo Giovani 95: “è confortante perché significa che i giovani riprendono ad interessarsi di questi temi, anche se all’inizio speravamo che Amnesty dovesse mano a mano scomparire perché non ci sarebbero più state violazioni dei diritti umani”.

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Conferenza stampa del convegno, l’assessora comunale alle Pubblica istruzione Annalisa Felletti insieme ad Amedeo Flachi del Gruppo Italia 35 Ferrara e Alice Franchini del Gruppo Giovani 95

Per celebrare i 40 anni della sezione italiana e i 35 del gruppo di Ferrara il 6 giugno alle 17, presso il Ridotto del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara si terrà una conferenza pubblica in cui verrà presentato il Rapporto Annuale 2014/2015 “Il Mondo ha bisogno di diritti”, di cui possiamo anticipare alcuni numeri: 160 i paesi in cui Amnesty ha svolto ricerca o da cui ha ricevuto notizie credibili di violazioni dei diritti umani; almeno 35 i paesi nei quali gruppi armati hanno commesso abusi e 18 quelli in cui sono stati commessi crimini di guerra; 4 milioni di rifugiati fuggiti dal conflitto della Siria, oltre 3.400 i migranti morti annegati nel Mar Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere le coste europee; 119 paesi in cui i governi hanno arbitrariamente limitato la libertà di espressione, 62 quelli in cui i governi hanno messo in carcere “prigionieri di coscienza”, mentre in 93 si sono svolti processi iniqui; 78 paesi in cui sono in vigore leggi usate per criminalizzare le relazioni sessuali consensuali tra adulti dello stesso sesso e 28 quelli che ancora vietano completamente l’aborto, anche in caso di stupro o quando è a rischio la salute o la vita della donna. Riccardo Noury, portavoce della Sezione Italiana di Amnesty International, illustrerà i casi più gravi contenuti nel documento, nel corso dell’iniziativa interverranno anche: Antonio Marchesi, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, e Pietro Antonioli, già presidente del Comitato Esecutivo Internazionale di Amnesty International, che parleranno delle prospettive future dell’associazione; Paola Pirani, portavoce Gruppo Italia 35 Ferrara, e Alice Franchini, portavoce Gruppo Giovani 95 Ferrara. La giornata non poteva che concludersi con un flash-mob a cura del Gruppo Giovani: un corteo al cui termine sarà composta la candela con il filo spinato, simbolo di Amnesty International.

“Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”. Questo è anche oggi il motto per noi di Amnesty” (Peter Benenson)

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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