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Il prossimo Nobel vada ai piccoli non potenti che cambiano il mondo

Il prossimo Nobel vada ai piccoli non potenti che cambiano il mondo

 

Il premio Nobel per la pace sarebbe dovuto andare a quei giornalisti uccisi a Gaza (268) e ai sanitari ammazzati (1320 tra medici e altri sanitari), che hanno mostrato al mondo il genocidio in atto e che hanno portato ad una mobilitazione crescente delle coscienze nell’intero mondo, che alla fine hanno isolato Netanyahu e Trump. Sono state le crescenti manifestazioni in tutto il mondo e non ultima l’iniziativa della Global Sumud Flotilla, a mostrare che le singole persone possono dare un contributo enorme a modificare gli equilibri che il mainstream assegna solo ai Potenti, ai Governi, alla Forza e al Potere Militare.

La narrazione di questi giorni è che il cessate il fuoco a Gaza è merito solo di Trump e delle “vie della Forza” e che il piano Trump ha avuto successo in quanto si è dimostrato meno deferente a Netanyahu di Biden. Questo è vero in parte: bisogna considerare che è stato Trump a supportare Israele nella distruzione di Gaza e nel genocidio in atto; nulla fa Israele senza l’appoggio degli Stati Uniti.

Trump però si è reso conto ad un certo punto dell’isolamento mondiale non solo di Israele ma anche degli Stati Uniti che lo sostenevano, e ciò avrebbe compromesso gli enormi affari americani coi Paesi Arabi (e non solo). All’Onu si era infatti manifestato alcune settimane prima un plastico isolamento degli Stati Uniti, in cui anche 10 paesi europei (che da anni erano allineati con gli USA) si erano uniti ai già 140 paesi nel mondo allineati a Cina, Russia e Brics e contro Israele e Stati Uniti sulla risoluzione ONU: “Due popoli, due Stati”.

Ci sono poi state nell’ultimo mese le manifestazioni in tutto il mondo e anche crepe all’interno dello stesso movimento MAGA che sostiene Trump, se si pensa che il giovane Charlie Kirk, assassinato astro nascente del movimento MAGA, aveva criticato pubblicamente Trump per l’eccessivo sostegno dato a Netanyahu.

Le stesse prime manifestazioni in Italia non sono state organizzate dai partiti o dai sindacati, e quella enorme del 22 settembre è stata a lungo preparata da piccoli gruppi che nei mesi precedenti avevano protestato, come i portuali di Genova e Livorno che avevano deciso di bloccare container di armi verso Israele nonostante il parere contrario dei sindacati maggioritari.

Cosa ci dice questa vicenda? Che certo conta il ruolo della forza militare (USA), del potere (USA), ma anche il singolo potente (Trump meglio di Biden) e la sua capacità diplomatica di coinvolgere i nemici (i Governi arabi) con cui vuole fare affari e quindi contano gli interessi economici (Trump ha ordinato a Netanyahu di scusarsi in pubblico col sovrano del Qatar, Al Thani, per il bombardamento contro i negoziatori di Hamas).

Fa anche impressione vedere l’ignavia dell’Europa, totalmente assente e impegnata a creare una escalation militare con la Russia, e il ruolo decisivo dei paesi Arabi e della Turchia (paesi, peraltro, canaglia); ma conta anche l’opinione pubblica mondiale, la mobilitazione di quei pochi che sono riusciti nel tempo e con manifestazioni pacifiche a far crescere il dissenso mondiale contro il genocidio in corso a Gaza per opera di Israele e del sodale Trump.

Andare oltre l’indifferenza, contribuire alla mobilitazione, alla protesta serve eccome, anche se all’inizio si è in pochi. Poi, se la causa è giusta, arrivano anche altri, in questo caso milioni di giovani (e non) nel mondo. Certo ha aiutato anche l’estremismo e il delirio di onnipotenza di Netanyahu, ma onore a chi ha manifestato sin dai primi momenti e anche alla Flotilla che ha dimostrato come i “piccoli” possono smuovere le coscienze e i potenti.

Ciò che ha contato per noi italiani non è stato “il ruolo silenzioso del Governo italiano” come ha detto la premier Giorgia Meloni, ma la mobilitazione, le manifestazioni e anche l’iniziativa creativa della Flotilla, così come prima (mesi fa) il blocco delle armi verso Israele dei portuali di Genova e Livorno e, ancor prima, l’informazione al mondo dei giornalisti uccisi a Gaza. Il premio Nobel per la Pace dovrebbe andare a questi “piccoli”, veri portatori di pace e non ai “grandi” che coltivano una cultura di forza, di violenza, di interessi personali e di prevaricazione, ma che possono essere anche condizionati dai “piccoli” che si fanno poi tanti.

Nella storia, da sempre sono singoli individui o piccoli gruppi che poi attivano grandi processi, da Gandhi ai nostri partigiani (erano il 2% degli italiani). Chi conosce il progetto Alborada in Cile per far perdere le elezioni a Pinochet nel 1989 a favore del primo presidente democratico Patricio Aylwin, sa bene che un piccolissimo gruppo di italiani, guidato da Tarcisio Benedetti, delegato sindacale, ex tipografo alla Mondadori, stampando un quotidiano per 6 mesi a Santiago, riuscì a ribaltare per pochi voti la dittatura. La storia fa svolte inaspettate, specie se dal basso ci si mette in moto. Non è vero che siamo sempre piccoli e impotenti.

Photo cover: Barcelona for Gaza, tratta da pressenza.com

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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