18 Novembre 2022

Di Covid non si muore più. Di tutto il resto si muore di più.
I costi sociali e sanitari della pandemia

Andrea Gandini

Tempo di lettura: 4 minuti

 

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato il 4 novembre il nuovo report che fa il punto sulla Covid-19 in Italia. Sono ormai 23,8 milioni le persone che hanno avuto il virus e quindi sviluppato una immunità naturale e 176.322 i deceduti dal 2020. Oggi la nuova variante BA5 è ormai diffusa nel 93% dei casi, una variante che è completamente diversa dal suo ceppo originario.

La letalità della Covid è però crollata di 100 volte passando dal 19,6 di inizio pandemia a 0,2 per 100mila abitanti, un valore molto piccolo per destare una vera preoccupazione se si pensa che i decessi giornalieri in Italia per la Covid sono 13 (media dell’ultima settimana di ottobre), ma sono ben 164 in più (rispetto al pre-Covid) quelli dovuti ad altri fattori; che si traducono in un totale di 1.908 decessi giornalieri (media annua 2022 stimata sui primi 8 mesi) per tutte le cause. I 13 decessi medi giornalieri Covid colpiscono poi quasi sempre anziani che avevano già gravi patologie pregresse.

Le re-infezioni sono state 1,3 milioni dal 24 agosto 2021 al 2 novembre 2022, il 5,9% di chi si era già ammalato.

Una certa preoccupazione nasce dal fatto che, nonostante la mortalità da Covid sia diventata molto bassa, permane elevata la mortalità in eccesso (per tutte le cause): nei primi 8 mesi del 2022 è +9,5% rispetto al periodo pre-Covid (era salita a +15,7% nel 2020 e a +9,9% nel 2021). Ciò significa che l’Italia ha circa 60mila morti in più rispetto al periodo pre-Covid (per tutte le cause) e quindi la media giornaliera dei decessi è passata da un valore di 1.742 morti degli anni 2015-2019 a 1.908 nel 2022.
(Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Eurostat)

Come mai la mortalità per tutte le cause non scende? L’ipotesi principale è che ci siano state molte operazioni rimandate per via dell’emergenza Covid e moltissimi accertamenti, anche preventivi, e terapie siano “saltate”. Potrebbe aggiungersi a ciò il fatto che la vaccinazione diffusa abbia indebolito il sistema immunitario per cui, anche a fronte di fattori predisponenti e concomitanti come il deterioramento del clima, delle relazioni sociali e del sistema di sanità pubblica, la domanda inquietante è: dobbiamo aspettarci nei prossimi anni tassi più elevati di mortalità di quanto sarebbe accaduto se non avessimo avuto la pandemia?

Una conferma di questa ipotesi viene dai dati ISS diffusi il 4 novembre, che mostrano come il booster (o richiamo) produca un aumento dei contagiati tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati. Se da un lato il booster dà una maggiore protezione per la malattia grave e il decesso nei primi 6 mesi, dopo i 6 mesi non è più così, per cui si dovrebbe ricorrere ad un nuovo booster. Ma, a lungo andare, tutti questi richiami potrebbero indebolire il sistema immunitario rendendolo più fragile, non tanto per far fronte alla Covid ma a tutte le altre malattie.

Dall’inizio dell’epidemia sono stati diagnosticati 4.680.674 casi nella popolazione 0-19 anni che è di 10 milioni di bambini-adolescenti, di cui 23.964 ospedalizzati, 534 ricoverati in terapia intensiva e 75 deceduti (quasi tutti fragili e con altre patologie pregresse). Ciò mostra che quasi la metà sono risultati “positivi” (moltissimi asintomatici, cioè senza alcuna manifestazione patologica), e poi non c’è stata alcuna conseguenza reale: “tanto rumore per nulla”. Questo ha prodotto però un danno enorme in termini di mancato apprendimento, education e problemi psicologici e relazionali per 2 anni consecutivi, i cui effetti si trascineranno nei prossimi anni. Vien da dire (forse con il senno di poi): fortunati quei paesi che non hanno chiuso le scuole.

Il tasso di ospedalizzazione ≥12 anni, nel periodo 16/9/2022-16/10/2022, per i non vaccinati è pari a 70 ricoveri per 100mila ab. rispetto a 64 ricoveri dei vaccinati con ciclo completo (1,1 volte). Praticamente, ormai, non c’è più differenza. La stessa cosa vale per i decessi dei non vaccinati che sono 1,5 volte più alti dei vaccinati con ciclo completo. Minore è la percentuale di chi ha fatto il booster (effetto positivo che però scompare dopo pochi mesi, e non si calcolano le avversità da vaccino).

Il vantaggio che avevano i vaccinati sui non vaccinati si sta riducendo, al punto che coloro che si sono vaccinati con ciclo completo e dose booster si contagiano maggiormente dei non vaccinati e di coloro che si sono fermati alla seconda o terza dose. Al 2 novembre 2022, sono state somministrate complessivamente 141,9 milioni di dosi (47,3 milioni di prime dosi, 50 milioni di seconde/uniche dosi, 40,3 milioni di terze dosi e 4,3 milioni di quarte dosi). Solo infatti il 25% degli over 60 e fragili ha effettuato la quarta dose (booster) e mancano ancora all’appello 13 milioni su 19 milioni di cittadini. Pare quindi essersi esaurita la spinta a fare ulteriori dosi, ma è lo stesso report che ne spiega il motivo: chi si fa la quarta dose prende la Covid in maggior misura.
I cittadini non leggono certo i report dell’Istituto Superiore di Sanità – anche perché trovarli sul sito è una vera impresa – ma vedendo ciò che succede in giro si formano questa convinzione.

Se si guardano poi i dati della malattia grave (terapia intensiva e morti) si nota che la dose aggiuntiva booster ha un effetto positivo ma che diventa negativo dopo 6 mesi, al punto tale che insorge il sospetto che, come una minoranza di esperti sosteneva, una continua sollecitazione con dosi aggiuntive di vaccino possa portare ad un indebolimento del sistema immunitario naturale. E ciò spiegherebbe il persistere di un’alta mortalità in eccesso e il numero crescente di morti improvvise e complicazioni varie (miocardite, infarti, sterilità,…). Ma ci potrebbero essere altre cause. Saranno i prossimi mesi ed anni a dirci come stanno realmente le cose.


Commento

  • Il fatto che una popolazione vaccinata per il 90% e più muoia di meno per covid (come del resto dopo 3 anni è normale accada per qualsiasi epidemia, vaccini o meno) e di più per altre patologie dovrebbe indurre – senza per questo saltare alle conclusioni – a un tempestivo e serio approfondimento indipendente

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L’autore

Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimetrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.
Andrea Gandini

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