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31 Luglio 2014

Il profugo senegalese

Tempo di lettura: 2 minuti


Spesso ho avuto occasione, a Ferrara, di incontrare un profugo proveniente dal Senegal, una persona estremamente cortese e profondamente triste. Ogni giorno lo trovo, in piedi, all’angolo del nostro bar abituale, gestito da una meravigliosa famiglia che si impegna molto a favore dei profughi giunti dall’Africa. Tanto che una famiglia somala considera e rispetta Adriano, il proprietario del bar, come fosse il suo “nonno”. Lamin, il profugo senegalese che, giorno dopo giorno, sta all’angolo del bar di via Garibaldi, ha dovuto lasciare in Africa sua moglie e i tre figli piccoli, a cui invia regolarmente soldi – ma da dove li prende? Da quello che gli mettono in mano in una giornata? Certo, bisognerebbe “verificare” la sua versione, ma io credo che sia veritiera. Si rivolge con grande rispetto ad ogni passante, parla anche con gratitudine di molti di essi ma, dice, a volte il razzismo di alcuni degli italiani che passano è difficile da sopportare. All’ora di pranzo, quando quasi tutti i negozi sono chiusi, l’ho visto spesso da solo, in un angolo d’ombra vicino al Duomo di Ferrara. Con una bottiglia d’acqua, un pezzo di pane e una qualche verdura in mano… Nel pomeriggio, poi, si rimette per qualche ora all’angolo del solito bar. Ma cosa c’è di tanto particolare in questa storia del profugo senegalese a Ferrara? mi chiedono giornalisti italiani e tedeschi. Posso solo rispondere: appunto, proprio questa domanda. La presenza dei profughi da tutto il mondo è diventata normalità nella nostra vita quotidiana. Un bel segno della vita globale di adesso, dicono alcuni amici. No, un brutto segno dell’aumento della povertà globale dicono altri. Cosa si può fare? Resta solo il riferimento alla Bibbia e alla storia del buon samaritano, o di Lazzaro? Abramo disse all’uomo ricco: “Figlio, ricordati che nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Sì, sono tormentato anch’io, non per la mia ricchezza personale ma per dare una risposta giusta alla domanda: che fare nei confronti della povertà che si vede dappertutto e che aumenta, in Germania (sì, anche in un paese insomma ricco), in Italia, all’angolo di una Bar a Ferrara?

Brano tratto da “Diario della Pianura” di Carl Wilhelm Macke

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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