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Da MOSCA – Qualche giorno fa gli Hoscars 2014, ossia le valutazioni annuali dei migliori ostelli al mondo, realizzati dai clienti di hostelword.com, hanno decretato come miglior ostello europeo il pietroburghese Soul Kitchen, seguito dal Budapest Bubble (Budapest, Ungheria) e dall’Adventure Queenstown Hostel (Queenstown, Nuova Zelanda). I viaggiatori hanno scelto e valutato sulla base dei criteri di atmosfera, pulizia, servizi, personale, posizione, rapporto qualità-prezzo, sicurezza.
I primi ostelli russi sono stati aperti a San Pietroburgo, circa otto anni fa. Inizialmente si trattava semplicemente di grandi appartamenti, dove per una cifra simbolica, potevano fermarsi a dormire i musicisti che venivano in città per suonare ai vari concerti. Poi, col passaparola, questi posti d’atmosfera hanno allargato il giro, fino a diventare degli ostelli a tutti gli effetti.
In Europa ci sono quattro mila ostelli, in Russia solo un centinaio, ma ne vengono aperti di nuovi ogni mese. Nella sola Mosca il numero di ostelli, negli ultimi cinque anni, è aumentato del 900%. Qui, aprire un ostello comporta investimenti abbastanza contenuti, gli ostacoli burocratici sono minimi (basta affittare un appartamento con almeno tre camere da letto e arredarlo) e il recupero delle spese iniziali sta diventando sempre più rapido. Per questa ragione, l’attività sta conoscendo un momento d’oro in Russia e molti giovani vi si stanno lanciando con interesse e creatività.

Ovviamente, è fondamentale l’atmosfera giusta per avere un flusso di visitatori continuo.

A Mosca, il giovane Roman Sabirzhanov ha aperto il Fabrika, nella zona della ex-fabbrica Krasnyj Oktjabr, dove l’ostello viene considerato un vero oggetto d’arte. Ogni ospite può dipingere le sue opere nelle stanze, le cui pareti sono state lasciate intenzionalmente bianche, e gli autori di quelle giudicate buone dallo stesso proprietario potranno soggiornare gratis.
Sempre a Mosca, troviamo anche il primo ostello bike-friendly, il Rezidencija BikeFF, sull’Arbat, dove, oltre a poter parcheggiare la propria bicicletta in camera, si trova un’officina per riparare i cicli e, per dissetarsi, vien offerto tanto kvas (la tipica bevanda russa, poco alcolica, frutto della naturale fermentazione di un qualsiasi vegetale) e mors (bibita a base di mirtillo).
A San Pietroburgo vi è, poi, il Location Hostel, di Nadezhda Makarova, che vanta dipendenti di età media 25 anni, soffitti non intonacati, qualche poltrona francese di Philippe Starck e lampade del designer tedesco Ingo Maurer. L’ostello ha pubblicato una guida gratuita agli angoli più bohemienne di San Pietroburgo e ha organizzato una serie di mostre e performance di artisti russi ed europei. Situato in Ligovskiy 74, questo è l’unico ostello che si trova sul territorio di un ex impianto di produzione di pane, trasformato in spazio culturale. Un modello esemplare.

Ma l’ultima scoperta di San Pietroburgo, grazie alla segnalazione del collega Vittorio, è quella del Kultura Art Hostel, situato al centro della città, all’interno di un nuovo spazio artistico e circondato da gallerie fotografiche, ristoranti, wine bar e studi di designer. Ogni stanza ha un nome legato ad una delle attrazioni dipinte sui muri: quindi sarete al Museo dell’Ermitage, all’Alexander Park…
In ogni camera vi è uno specchio appeso sul muro opposto a quello dipinto, dove l’ospite può fotografarsi, avendo, quindi, sullo sfondo il disegno riflesso. L’artista di questi “affreschi” colorati e spensierati è il talentuoso Igor Yanovskiy, supportato dalla sua squadra. Il design d’interni è fatto come se ci si trovasse per una delle strade cittadine ed è opera degli architetti Arseniy Brodache e Igor Kokarev. Avrete l’impressione di passeggiarvi. Lo stile è semplice, pochi colori basici (nero, bianco, grigio, verde), tanta fantasia. L’idea è, ora, quella di creare anche un gift shop, con una linea di souvenir (tazze, magliette, ombrelli) sulla quale ritrovare i dipinti che illuminano le pareti dell’ostello.

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Kultura Art hostel
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Kultura Art Hostel

Il progetto è nato circa un anno fa dall’amicizia di Tatiana Kapakli e Timofey Karelin. Partiti con l’idea di aprire un negozio di vestiti, mi racconta Tatiana, hanno avuto l’intuzione dell’ostello quando, nell’ottobre 2013, hanno trovato quello spazio. In una settimana hanno preparato il business plan e trovato gli investitori. In due mesi hanno riparato l’area interna di circa 300 m2, dove prima vi era il vecchio ufficio sovietico dell’”Union Jersey.” In poco tempo hanno demolito i muri divisori interni del vecchio ufficio e realizzato il nuovo progetto. Con entusiasmo. L’ecologia è parte degli interessi e della filosofia di Tatiana e Timofey, non solo nei materiali utilizzati ma anche nell’organizzazione di piccoli eventi, quali master class settimanali di cibo vegetariano e Ayurveda. L’esperienza di questi due giovani qui insegna che si può trovare anche spazio in un paese immenso, terra di grandi opportunità e potenzialità per molti.

A loro va il nostro più grande in bocca al lupo.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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