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Qualche giorno fa Benigni, intervenendo in un noto talk show televisivo, ha invitato ad avere fiducia nel futuro. Penso che un tale messaggio sia giunto come rassicurante, supportato dalla buona reputazione di un personaggio che ha saputo costruirsi un’immagine positiva anche dosando la sua presenza sulla scena mediatica.
Credo che la prima condizione per guardare al futuro con fiducia sia quella di restare in sintonia con il tempo presente, non per assecondarne ogni piega, ma per comprenderlo. Non vi è dubbio che questa condizione è più difficile oggi, perché il salto che distingue questo tempo da quello che hanno abitato le generazioni mature è rilevante. La differenza investe non ‘banalmente’ questioni di valori, quanto nodi strutturali, a partire dal fatto che viviamo in uno scenario globale che amplifica la competizione tra Paesi e culture e produce nuovi conflitti.
La seconda questione, che amplifica gli effetti della prima, è rappresentata dalle tecnologie della comunicazione che fanno del mondo un piccolo villaggio interconnesso. Gli effetti delle tecnologie vanno ben oltre la diffusione rapida delle informazioni, ma investono tutti i nostri ambienti di vita, mettono in crisi tecniche e competenze, con i ben noti effetti sulla occupazione, sfidano schemi di pensiero, modelli di trasmissione del sapere e contesti dell’apprendimento e molto altro. Le tecnologie generano un’attesa di strumenti di previsione e nel frattempo enfatizzano la delusione circa la stessa di possibilità di controllare quanto accade. Cresce l’incertezza, paradossalmente fondata proprio sul mito prometeico del controllo.
Intanto, in primo piano gli individui con il loro carico di attese soggettive, di desideri di protagonismo, di istanze di visibilità e che talvolta scambiano la possibilità di esprimere opinioni e di partecipare al mondo della chiacchiera in rete, con la capacità di interpretare gli accadimenti. I commenti sul referendum in Scozia ne sono un esempio. Galleggiamento e pressapochismo non ci aiutano a ricostruire la fiducia in un futuro che davvero non è quello di una volta, per riprendere una vecchia battuta.
La percezione di una discontinuità con il passato credo che sia stata sempre vissuta: tutte le generazioni probabilmente hanno avuto una percezione simile del cambiamento intervenuto durante il loro tempo di vita. Tutte hanno considerato il cambiamento come espressione del degrado intervenuto rispetto ad un’età migliore (quella della loro infanzia). Persino Socrate tuonava contro la scrittura in quanto imbrigliava la capacità del pensiero di esprimere, in quanto vivo e non solidificato nel linguaggio scritto, tutto lo spessore di una riflessione che deve restare aperta.
Oggi, però, è vero che il futuro non è più quello di una volta, forse come poche altre volte è accaduto nella storia. Il web è diventato il nostro nuovo ambiente di vita. Non è una faccenda che riguarda il tempo libero, né solo il lavoro, ma investe il rapporto tra immaginazione e funzioni cognitive, tra tempo e spazio e molto altro. Di questo cambiamento almeno gli educatori dovrebbero avere consapevolezza.

Maura Franchi (sociologa, Università di Parma) è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano: i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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