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di Sergio Foschi

Ferrara e il suo Petrolchimico, volume secondo, edito da CDS Cultura Edizioni, di Ferrara è un volume che illustra, attraverso una rappresentazione giornalistica, temi di attualità che, partendo dall’esperienza del Petrolchimico ferrarese, si irradiano in tutto il territorio.

La crisi del Covid 19 ha impedito la presentazione del libro, già programmata per il 27 febbraio u.s. presso il ristorante aziendale del Petrolchimico e riproposta per il prossimo autunno, mentre nel frattempo, allo scopo di coprire lo spazio temporale CDS Cultura ha avviato il Blog Voci dal Petrolchimico [Qui] che ripropone i temi del volume.

Lo Spheripol in costruzione – lo Splitter – 1983

Il volume, circa 600 pagine formato A4, è presentato dal Prof. Patrizio Bianchi (già Rettore di UNIFE), dal Dott. Alessandro Bratti (Direttore generale di ISPRA) e dall’Ing. Alan Fabbri (Sindaco del comune di Ferrara) ed è realizzato da circa 150 autori.
Fra gli autori 40 sono i dipendenti del Petrolchimico, 70 gli ex dipendenti e la restante quota è rappresentata da professionisti, docenti, giornalisti, amministratori, ecc.
Una numerosa gamma di interventi, oltre il 30%, è fornita da autori di genere femminile che svolgono attività professionali sia all’interno che all’esterno del Petrolchimico.
Obiettivo del libro, il secondo dopo quello uscito nel 2006, è la messa in evidenza delle diverse ‘buone pratiche’ sperimentate e adottate nel Petrolchimico di Ferrara (il primo stabilimento con tale tipologia di produzioni nato in Europa), grazie anche alle propizie relazioni stabilite, pure con un confronto spesso serrato, fra le aziende e i lavoratori, sui temi cruciali dello sviluppo industriale (innovazione e ricerca, formazione continua e rapporti con la scuola e la cultura, riorganizzazioni, valorizzazione del lavoro e livelli occupazionali, risanamento ambientale) e il contributo fornito dalle Amministrazioni pubbliche e dall’Università.

E’ appunto la storia il filo conduttore del libro poiché, come comincia il manifesto sottoscritto lo scorso anno da uno storico, Andrea Giardina, una senatrice a vita, Liliana Segre e uno scrittore, Andrea Camilleri, la storia è un bene comune.

L’impianto Catalloy MPX – il primo al mondo – 1990

La storia è un bene comune vuol dire che è come l’aria, il lavoro, la democrazia e questo bene se non viene continuamente alimentato è in pericolo. Chi non conosce la storia è destinato a ripeterne gli errori, così recita un proverbio ormai dimenticato, perché la storia è anche memoria di quel che siamo stati e quel che possiamo essere. Pertanto conoscere la storia significa soprattutto non dimenticare né gli errori di chi ci ha preceduto, né i loro insegnamenti e i loro successi o le loro “buone pratiche”. È sapere da che punto siamo partiti per misurare quanto ci siamo emancipati… o quanto siamo regrediti. È una categoria dello spirito che ci ricorda quanto sia precaria, incerta e non permanente la nostra condizione. È riconoscere dove va il futuro imparando dal passato.

Queste brevi considerazioni si adattano perfettamente ad un Petrolchimico, come quello di Ferrara, che ha visto trascorrere fra le sue mura decine di migliaia di lavoratori provenienti da ogni parte d’Italia e non solo, che ha prodotto ricchezza e benessere per diverse migliaia di famiglie, ha creato mestieri, competenze, sogni e delusioni, aspri conflitti e deficit ambientali nei primi anni di vita, momenti di intensa vita democratica e culturale, ha contribuito a valorizzare il lavoro indipendentemente dal genere di chi lo esercita, a rispettare l’ambiente nel posto di lavoro e nel territorio che lo accoglie, ha concorso sostanzialmente a trasformare in positivo il territorio ferrarese, immobilizzato da secoli in un destino di drammatico sottosviluppo.

Sergio Foschi è coordinatore del progetto “Ferrara e il suo Petrolchimico” per CDS Cultura

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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