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Cosa c’entra il Parco urbano con i Festival? 

Nel primo fine settimana di settembre si è tenuto nella cornice del Parco Urbano Giorgio Bassani il Comfort Festival (Bellezza, Musica e Cibo); produttore organizzativo e partner di Barley Arts, il Teatro Comunale di Ferrara e patrocinatore l’Amministrazione Comunale. A detta degli organizzatori “un nuovo Festival musicale, una rassegna che percorre la direzione della qualità musicale, della sostenibilità, della multidisciplinarietà, della suggestività della location, della cura dei dettagli.”

L’artista Gianluca Grignani, dal palco del Parco Urbano, ha definito così l’appuntamento: “ricorda i festival inglesi ed è in una location bellissima, che potrei paragonare quasi al contesto di Wimbledon”.

Da parte dell’organizzazione si specifica che “elemento portante del Festival è la ricerca del COMFORT, dato dalla bellissima location, dove circa quattromila persone al giorno potranno condividere, oltre alla Musica live anche piccole performance acustiche, letterarie e teatrali a cura di Slow Music, per riscoprire il senso reale di fruizione della bellezza in tutte le sue forme e il benessere intimo che può regalarci quando vissuta adeguatamente.”.

In contemporanea al Comfort Festival, sempre all’interno del Parco Urbano, si è svolta una tappa del Streat Food Truck Festival, “l’originale e più famoso festival di Food Truck d’Italia, che farà assaporare al pubblico l’eccellenza di cibi e bevande di provenienza locale, a filiera corta, biologici ed artigianali che garantiscono una proposta variegata e di qualità”.

Così vengono presentate le due iniziative nelle relative pagine dei siti del Teatro Comunale[Vedi qui] e del Comune di Ferrara [Qui].
Tutto bene quindi … se non fosse che è proprio l’ambientazione (il Parco Urbano Giorgio Bassani) a comportare aspetti problematici, a non essere il luogo adatto a questo e a qualsiasi altro tipo di eventi vengano organizzati.

Come nasce e cosa dovrebbe essere il Parco Urbano

Il Parco Urbano nasce dall’idea, legata al Progetto Mura, di “sistemare a parco un’area comunale quale naturale sviluppo della grande Addizione Erculea che ha fatto della nostra la prima città moderna d’Europa”, e che Paolo Ravenna, allora presidente di Italia Nostra, nell’ottobre del 1978, nell’ambito del Symposium internazionale di architetti e urbanisti tenutosi a Ferrara, aveva battezzato come Addizione Verde.

Si tratta di un’area di circa 13 Kmq posta tra le mura nord della città e il Po, in seguito sviluppata (in particolare da una serie di interventi tra il 1995 e il 2000) attraverso un progetto affidato all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nell’ambito di una convenzione stipulata con il Comune di Ferrara[1].
Nel marzo del 1979 Giorgio Bassani plaudiva alla proposta
che, all’epoca, poteva “apparire come una semplice, deliziosa utopia, di collegare il perimetro dell’antico Barco del Duca sino a contatto col Po“.

Paolo Ceccarelli, già preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, ha avuto occasione di affermare, circa venti anni fa, che “per l’Addizione Verde rimane evidente lo scarto tra volontà progettuale e fatti concreti, che fa di questo parco un progetto incompleto. 

Oggi il Parco Urbano rimane un progetto incompleto e confuso

Scrive l’architetto Giulia Tettamanzi nella sua tesi[2] di dottorato“la pur saggia scelta di tutelare il territorio del Barco, non ha costituito una ragione sufficiente per assegnare al Parco Nord lo stesso successo culturale e sociale del Parco delle Mura, non evolvendo oltre la semplice tutela [subendo] l’operazione di valorizzazione culturale e funzionale un rallentamento”.
“Il nodo della questione – afferma Tettamanzi – rimane la difficoltà contingente di adattare in modo efficace l’area in questione ai modelli di vita attuali”, e se un qualche sviluppo vi è stato, certamente “non con la stessa determinazione e chiarezza di obiettivi, né con gli stessi risultati” ottenuti nel restauro delle mura.

E continua Tettamanzi: “è mancata una politica di valorizzazione capace di proporre una funzione sostenibile per il territorio, che, dalle mura al Po, oggi alterna campi coltivati a terreni incolti, campi da golf a zone grossolanamente attrezzate a parco urbano, aree con aspetto di naturalità, a un depuratore, a un ex inceneritore” e, si può aggiungere, a un campeggio comunale attualmente in disuso.

In un articolo del 2003[3] Stefano Lolli, oltre a descrivere questa situazione, ricordava come Bassani definisse la prospettiva di collegare le mura Nord e il Po “una risposta morale ed estetica della città”, e come chiedesse a Ferrara, alle sue associazioni culturali e alle istituzioni, non tanto coraggio, ma soprattutto idee chiare: perché “se saranno chiare le idee in proposito, penso che abbastanza rapidamente troveremo i soldi – i dannati quattrini – per realizzare l’opera”.
Le idee, non dunque le utopie, in realtà erano già precise, per Italia Nostra e la determinazione del suo presidente Paolo Ravenna; per i “dannati quattrini” si doveva invece attendere ancora qualche anno.

1986: Il Parco Urbano comincia a prendere forma senza un chiaro indirizzo.

Mentre si stava definendo il Progetto Mura, scrive Lolli, dal 1986 iniziò a prendere corpo la sistemazione a parco dell’area comunale di cento ettari che rappresentava il primo nucleo dell’Addizione Verde, come l’aveva battezzata Ravenna, l’area ad uso pubblico limitrofa al Parco delle Mura che oggi vede una destinazione e un utilizzo probabilmente non previsti nei progetti originari.

In questa fascia sono insediate diverse ‘funzioni’: gli orti, il campo da golf (ampliato in questi ultimi anni verso nord), gli impianti natatori, il centro per il tiro con l’arco, il centro sportivo dell’Università, il campeggio. Funzioni, scrive ancora Lolli, “per le quali è mancato un progetto coordinatore, che, proponesse chiari indirizzi quale luogo di interfaccia tra la città murata e la campagna coltivata”.
A cominciare, scrive Giulia Tettamanzi, dall’attraversamento ciclo-pedonale a raso, a controllo semaforico, unico collegamento tra il Parco delle Mura e il Parco Urbano Bassani. “La cesura paesaggistica che genera questa infrastruttura è tragica e denuncia palesemente (assieme a tutto ciò che non è stato realizzato rispetto al progetto e all’idea originari) l’assoluta mancanza di un progetto di paesaggio”.

Molte altre sarebbero le considerazioni da fare sulle finalità che questa area avrebbe dovuto svolgere.
A cominciare da quanto affermato nell’ambito dell’incontro Verde Ferrara promosso dall’Istituto Gramsci e dal Legambiente nel 1985, e cioè che il Parco Urbano “dovrà essere un luogo dove la gente abbia una immagine della natura”, o dalla definizione, contenuta nel Piano Paesistico Regionale della fine degli anni ’80 che tutela l’area del Parco come “zona di particolare interesse paesaggistico-ambientale”.

I progetti accantonati

A questo proposito può essere utile citare quelli che erano i progetti più rilevanti rispetto al progetto originario e che non sono stati realizzati.
In primo luogo la rinaturalizzazione dell’ex-discarica e relativa trasformazione a parco pubblico; poi la messa a dimora di alberi e vegetazione arbustiva molto più numerosa di quella attuale (scrivevo già una decina di anni fa) necessaria in quanto elemento capace di “contribuire ad abbattere i livelli di inquinamento dell’aria che incombono su Ferrara”, ma anche “la piantumazione di alberi da frutto al fine di dare all’area una valenza di orto o giardino, in sintonia con le radici storiche del Parco”; l’acquisizione, a nord dell’attuale spazio pubblico, tra via Canapa e via Gramicia, della fascia di terreno e dei fabbricati presenti, conosciuti come possessione Sant’Antonio, che avrebbe dovuto diventare, in seguito ad opportuna ristrutturazione, il Centro Servizi del Parco (con punto informazioni, ristorante agrituristico, noleggio biciclette, ecc.), dotato di personale (un direttore e due operatori, con funzioni di manutenzione e custodia, supportati da volontari quali guardie ecologiche e membri di associazioni ambientaliste e naturalistiche) per la gestione delle strutture e delle attività tra cui la riconversione del terreno ad agricoltura biologica e rimboschimento.
Infine la realizzazione, in diversi punti, di torrette di avvistamento della fauna e di osservazione del Parco. Un vero e proprio progetto orientato alla fruizione naturalistica del Parco. Ma tutto ciò non ha visto alcuna realizzazione, anzi lo spazio del Parco è stato utilizzato oggi, e per lungo tempo, per tutt’altre finalità, in continuità con una consuetudine che dura ormai da più di 15 anni.

Il riferimento è in particolare a quelle iniziative a carattere ludico quali la Vulandra (nel tempo sempre meno festa degli aquiloni e sempre più una sorta di sagra, con tanto di giochi gonfiabili, stand di vario genere tra cui, ovviamente, quelli gastronomici con relativi tavoli per il consumo del cibo), i festival e le feste musicali, e, infine i Balloons (che “sequestrano” per quasi un mese il parco alla fruizione dei cittadini a causa della presenza di strutture particolarmente ingombranti, tra allestimento, svolgimento del festival, e relativo smontaggio delle strutture e liberazione degli spazi) e che sempre più sono andate mostrando la loro “non sostenibilità” ad essere ospitati nelle aree verdi del Parco Urbano in quanto fortemente impattanti su quell’ambiente naturale (costituito da flora ma anche fauna) che dovrebbe esserne la peculiare caratteristica.

Il Parco così come si presenta oggi non piacerebbe né a Giorgio Bassani né a Paolo Ravenna. Oggi non assomiglia per niente a quel “parco-campagna”, un laboratorio di integrazione fra ambiente, inteso come preservazione e uso pubblico, attività sociali, turistiche e agricole di cui in tanti abbiamo scritto in questi anni.
La decisione della Amministrazione Comunale, di concentrare nel Parco Urbano Bassani iniziative con un impatto “pesante’ come i festival e i concerti pop, ci allontana sempre più dalla visione rivoluzionaria di chi aveva pensato per la città di Biagio Rossetti ad un’ultima addizione, l’Addizione Verde.

[1] Ferrara, Progetto per un parco”, Cluva Università, 1982.
[2] Giulia Tettamanzi, “Il Parco Nord a Ferrara. Un progetto aperto”, Quaderni della Ri-Vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio, Firenze, University Press, n. 4, vol. 1, 2007.
[3] Stefano Lolli, “Il Parco Bassani”, in “Ferrara, Voci di una città”, n. 19, 2003.

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Gian Gaetano Pinnavaia

Ho lavorato come ricercatore presso l’Alma Mater Università di Bologna nel settore delle Scienze e Tecnologie Alimentari fino al novembre 2015. Da allora svolgo attività didattica come Docente a Contratto. Ferrarese di nascita ma di origini siciliane. Ambientalista e pacifista fin dagli anni degli studi universitari sono stato attivo in Legambiente e successivamente all’interno di Rete Lilliput di Ferrara fin verso il 2010. Attualmente faccio parte della Rete per la Giustizia Climatica di Ferrara. Sono socio dell’Associazione culturale Cds OdV – Centro ricerca Documentazione e Studi economico-sociali, del cui direttivo faccio parte e collaboro da anni all’Annuario socio-economico ferrarese. Nel 1990 sono stato eletto con la lista “Verdi Sole che ride” nel Consiglio Comunale di Ferrara fino al 1995; in seguito, dal 1999 al 2004 consigliere della Circoscrizione Nord per la lista “Verdi”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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