Davvero credete che la scienza vi abbia svelato tutto del pianeta su cui camminate?
Davvero pensate che sulla Terra non esistano più creature sconosciute, aliene, o luoghi ancora inesplorati, misteriosi?
Io dico che c’è ancora moltissimo da scoprire… Oltre i confini del sapere ci sono cose inaspettate, strabilianti. Esseri e posti capaci di mettere in discussione le più elementari certezze.
Come oggi, in passato ci furono uomini di scienza che non si accontentarono, che non smisero mai di cercare e che scoprirono cose fino a quel momento confinate nel mondo dell’immaginazione e della fantasia. Cose che dopo divennero elementi tangibili da accogliere definitivamente nel regno dell’esistente.
Nelle prossime righe vi racconterò le gesta di uno di loro, che oltre un secolo fa iniziava la sua avventura al confine tra immaginario e reale. Buona lettura.
Da ʿAppunti di viaggio di J. S. Greenstone: alla ricerca del verdone australeʾ
(Ricostruzione storica di Charles Greenstone)
Premessa
Mi presento: mi chiamo Charles Sewell Greenstone Secondo, sono docente di biologia alla Yale University in California, ho pubblicato alcune importanti ricerche sulla criptozoologia, attualmente sono consulente scientifico per la rivista di divulgazione ‘Archos’, più precisamente sono curatore della rubrica sulla biodiversità.
Tempo fa entrai in possesso di un carteggio del mio bisnonno Joseph Sewell Greenstone, il celebre zoologo scozzese conosciuto per aver scoperto nuove specie animali tra le quali il famoso quanto bizzarro verdone mangiasassi. Si trattava di una serie di diari autografi risalenti al periodo dei viaggi in Sud America, viaggi che egli intraprese tra il 1878 e il 1885.
Facendo un raffronto delle date dei diari, mi resi conto con assoluta certezza che quei venti taccuini con le copertine in pelle e le pagine zeppe di appunti scritti di suo pugno altro non erano che la cronaca dettagliata della sua scoperta più controversa e discussa.
Le pagine che seguiranno sono il frutto della lettura di quei taccuini, un resoconto sommario degli avvenimenti che accaddero immediatamente prima, durante e subito dopo il rinvenimento dell’incredibile creatura che la scienza conosce col nome di smeraldino litofago e che Joseph Sewell ribattezzò verdoux australis, in omaggio all’amico e compagno d’avventura scomparso nel corso di quella spedizione: Jacques Verdoux.
Il mio racconto vuole essere un contributo, seppur modesto, alla memoria di un grande esploratore oggi quasi dimenticato. Un uomo di scienza illuminato e anticonformista. Un appassionato assertore delle proprie idee che osò sfidare lo scetticismo di amici e colleghi; che fu isolato e deriso dai suoi contemporanei, ma che, alla fine, vinse la sua folle scommessa con la scienza passando definitivamente alla storia come il più grande scopritore di specie sconosciute.
Quest’uomo era Sir Joseph Sewell Greenstone, il mio bisnonno.
CAPITOLO I – Una curiosa creatura
Il verdone australe (smeraldino lithofagus), popolarmente conosciuto col nome di verdone mangiasassi, è uno strano animaletto verde e tozzo. Poco più grande di un koala ma col muso che ricorda quello di un ippopotamo. Il corpo è massiccio, con quattro zampe corte e robuste, ciascuna munita di tre lunghi artigli. La pelle è glabra, dura, callosa e di un color verde pallido.
Il verdone è privo di coda ed è invece munito di una spessa cresta coriacea che, posta sul dorso, è capace di mutare colore a seconda dell’umore dell’animale. Le orecchie, dalla curiosa forma a imbuto, sono molto sensibili a qualsiasi tipo di vibrazione e sono in grado di percepire sia gli infrasuoni che gli ultrasuoni a bassa e alta frequenza. Dopo l’udito, il senso più sviluppato del verdone è l’olfatto, capace di avvertire un odore anche a un miglio di distanza. Per contro, il verdone è quasi cieco e distingue a malapena gli oggetti posti a pochi centimetri dal proprio muso.
Esso vive principalmente sottoterra, si sposta scavando gallerie con le possenti zampe anteriori e solo eccezionalmente fa qualche breve apparizione in superficie. È un animale schivo e solitario ed è assai raro riuscire a vederlo perché la sua estrema timidezza lo rende sfuggente alle altre creature, soprattutto all’uomo.
Da un recente studio sui resti fossili del protosmeraldino pristinus, l’antenato dell’attuale verdone, si è ipotizzato che i primi verdoni vivessero in superficie. Nel corso della sua lenta evoluzione il lithofagus si è poi specializzato nella vita sotterranea, al riparo dalla lotta per la sopravvivenza con le altre specie e lontano dal pericolo di eventuali predatori.
Struttura fisica e peso lo rendono assai lento e impacciato, eppure il verdone mangiasassi è forse la creatura vivente più longeva del regno animale, in grado di sopravvivere più di ogni altra specie a qualsiasi avversità.
Ma la peculiarità che più lo contraddistingue da ogni altra creatura, rendendolo forse l’animale più bizzarro al mondo, è la sua dieta: esso infatti si ciba prevalentemente di sassi! (*)
La struttura ossea robustissima, costituita da un mix di calcio alluminato e carbonio concentrato, e l’apparato digerente, in grado di sintetizzare qualunque composto minerale disgregandone le molecole attraverso processi chimici/metabolici unici in natura, danno al verdone mangiasassi l’eccezionale capacità di mangiare e soprattutto digerire la pietra e i minerali più duri. Il suo stupefacente apparato masticatore, costituito da possenti fasci muscolari ultra fibrosi e da ossa craniche e mandibolari dure come il metallo, è in grado di sbriciolare qualunque roccia, sedimentaria o lavica che sia.
È chiaro che siamo di fronte a un animale unico nel suo genere, una bizzarria della natura che ha ispirato la fantasia dell’uomo fin dall’antichità.
(*) A questo punto sarà bene fare una precisazione: la dieta del verdone è oggetto di un’annosa discussione tra gli studiosi di tutto il mondo, divisi tra “radicali” e “moderati”. I primi sostengono l’unicità della dieta del litofago, teorizzando che l’animale si sia biologicamente ed eccezionalmente evoluto per assimilare nutrimento dall’assunzione esclusiva di minerali di vario genere. I secondi, invece, affermano che l’alimentazione del litofago sia essenzialmente organica, ipotizzando che la dieta a base di minerali (pietre e sassi) sia soltanto una componente marginale, seppure eccezionale, di un regime alimentare molto più ampio e variegato. In sostanza, la corrente moderata, ritenuta più attendibile, descrive il verdone mangiasassi come un animale onnivoro.
I primi a testimoniare l’esistenza del verdone furono i Nazca che già in periodo litico e preceramico lo rappresentavano nei loro graffiti, e più tardi anche nelle decorazioni su vasellame e in riproduzioni di feticci in pietra e osso. Gli esempi più eclatanti della familiarità del popolo Nazca con il verdone rimangono comunque i famosi geoglifi zoomorfi della Pampa di Ingenio e di Nazca in Perù e a Cerro Pintado in Cile.
Secoli più tardi, testimonianze del culto del verdone si hanno a Vilcas, villaggio inca nei pressi di Macchu Picchu, dove si trovano incisioni su pietra con raffigurazioni di sacrifici umani a divinità con sembianze di enormi lithofagus.
In genere, in tutta l’America precolombiana, le antiche civiltà hanno dato prova di conoscere l’esistenza dell’insolito animale. Esso peraltro, probabilmente originario della Patagonia, ha via via allargato il suo habitat sotterraneo colonizzando il sottosuolo di tutta l’America Latina.
E fu soltanto durante e dopo la scoperta dell’America che in Europa giunsero le prime sparute voci sulla sua esistenza.
In proposito, sarà bene segnalare un episodio risalente all’epoca della conquista spagnola del Perù.
In un passo del diario di Pablo Armando Castillo, luogotenente al seguito di Hernando Pizarro durante l’assedio di Cuzco nell’estate del 1536, il soldato spagnolo narra del suo incontro con una strana creatura: “… All’alba di stamane mi trovavo con la mia guarnigione nella radura rocciosa nei pressi del Picco di Watzaclan, portavo il mio cavallo a bere al torrente a monte del Rio Matako quando mi accorsi della presenza di una creatura del demonio. Era appoggiata su un gruppo di pietre e pareva fissarmi, in attesa e pronta ad attaccare. Mi voltai indietro e urlai ai miei compagni di accorrere, ma nessuno di loro udì e rimasi solo con quel drago temendo il peggio. Fu allora che avvenne una cosa che tuttora stento a credere: la bestia cominciò a divorare le pietre che aveva intorno, una ad una, e il rumore che emettevano le sue fauci era terrificante. Distratta dal suo pasto non faceva più caso a me, dandomi il tempo di raggiungere il cavallo e afferrare l’archibugio. Caricai lo schioppo e mi voltai verso di essa per prendere la mira e sparare, ma la bestia era scomparsa. Al suo posto era rimasta soltanto una voragine senza fondo…”
Il resoconto di Castillo non fu preso in grande considerazione dai suoi contemporanei, e, anche se poi si ebbero notizie di altri avvistamenti, tutto quanto cadde ben presto nell’oblio, alimentando per lo più dicerie a uso e consumo dei nativi.
Gli Europei, tuttavia, poterono avere prove inconfutabili dell’esistenza del lithofagus solo molto più tardi, quasi quattro secoli dopo, e proprio grazie alle scoperte di Joseph Sewell Greenstone.
Le illustrazioni del litofago sono di Carlo Tassi
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it