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Josè “Pepe” Mujica arriva nel pomeriggio di ieri, poco prima delle 16, alla Facoltà di Economia di Ferrara, ed è accolto da grida e applausi degni di una rockstar. D’altra parte come lui stesso dice: “Sono come i Rolling Stones: sono vecchio ma attraggo tanti giovani”.
Sono centinaia le persone che si accalcano lungo la scalinata e nell’androne della facoltà e acclamano a gran voce una conferenza in piazza, tanti coloro che aspettano di sentire Pepe. Tantissimi giovani, a riprova che il pensiero controcorrente, rispetto alla società capitalista e tecnologizzata di cui sono i figli, trova anche in loro terreno fertile. Pensiero controcorrente di un ex Presidente dell’Uruguay sicuramente diverso da qualsiasi idea si abbia di un Capo di Stato. Mujica, ex guerrigliero e carcerato per motivi politici, è diventato famoso come il ‘Presidente più povero del mondo’, avendo deciso di rinunciare all’80% del suo stipendio per donarlo a numerose associazioni non governative e a tante persone bisognose.
Allo stesso modo decise di continuare a vivere nella sua fattoria poco fuori Montevideo invece che nella residenza presidenziale.

Josè Mujica è in Italia per una serie di conferenze e per promuovere il libro di Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz ‘Una pecora nera al potere’. L’accoglienza del pubblico ferrarese è calorosa e oltre l’Aula Magna, e le tre sale messe a disposizione per il collegamento streaming, è stato organizzato anche un mega schermo nell’androne della facoltà, per cercare di non scontentare le tantissime persone che non erano comunque riuscite a trovare posto a sedere.
Pepe Mujica parla ed incanta la platea con parole semplici che vanno dritte al punto della questione : L’uomo, come lo definiva Aristotele, è un animale politico. Come esseri umani abbiamo bisogno gli uni degli altri ed è per questo motivo che l’uomo si è riunito a formare una società, che a sua volta ha creato la civiltà. Le civiltà cambiano a seconda del periodo storico, dal feudalesimo alla rivoluzione francese fino alla borghesia industrializzata, fino ai nostri giorni: la civiltà del consumismo. La nuova religione è il mercato e noi siamo drogati di consumismo, anche se si tratta di una droga leggera e dolce”. Mujica è fermo nel suo ragionamento: “Più aumentano le nostre necessità, più aumenta il bisogno di guadagnare per soddisfarle. La roba costosa la compriamo pagandola con il nostro tempo. Non si tratta di una apologia della povertà ma di chiedersi chi siamo e cosa vogliamo”.

Mujica ci invita a considerare che il tempo libero non più sacrificato sull’altare del materialismo ci servirebbe per coltivare ciò che nella vita ha reale valore: gli affetti. L’amore, l’amicizia, la vita. Insiste: “Quale sarà il nostro premio finale? Il buco nero dove finiremo tutti? Il premio è la vita. Non possiamo comprare la vita al mercato. Dobbiamo lottare per la nostra felicità, come gli uccelli che si svegliano al mattino e sono pronti a lottare fino allo sfinimento per una briciola di pane. Noi dobbiamo lottare per una vita felice. Le condizioni esterne non possono determinare il corso della nostra vita: dobbiamo vivere come pensiamo e non viceversa”.
Piovono applausi diretti a questo uomo, nonno dei giovani come si definisce lui stesso, dall’aspetto mite ma dal grande carisma. Chiara e diretta è la disamina storica e sociale: “I robot, le macchine, sostituiranno le persone. Potrebbe sembrare un’idea felice pensando che avremo più tempo libero mentre qualcun’altro lavora per noi. Ci sarà più ricchezza perché i robot, a differenza dei lavoratori, producono ma non consumano. Non sarà così: i robot lavoreranno per i loro padroni. Il progresso è inevitabile ma non è esente da drammi: penso sempre ai lavoratori di Chicago che, nel secolo scorso, morirono per difendere il diritto alle otto ore di lavoro. Ora il lavoro è dato per scontato, ma per tante cose ora scontate le persone hanno lottato e perso la vita. La Repubblica si fonda sul concetto che i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, ma ora dobbiamo essere tutti uguali anche a casa propria”.

Per Mujica gli uomini devono riscoprire il senso di comunione sociale in un periodo storico che vedo il ritorno di antichi nazionalismi:”L’America ha scelto Trump? Aiuto! E in Europa si sente dire la Francia ai francesi da Marine Le Pen.La Germania invece ha aperto le porte all’immigrazione: la Merkel non è certo una benefattrice ma ha giustamente pensato ad evitare la crisi dello stato sociale”.

Cambiare se stessi per cambiare il mondo. Ecco il messaggio con cui Pepe Mujica si congeda dal suo pubblico, e nel volto delle persone che alla fine della conferenza si riversa in strada sembra quasi di vederlo uno sguardo nuovo. Forse un inizio di cambiamento.

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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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