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Passeggiare lungo la Riviera di Ulisse, e fermarsi a visitare il Museo archeologico di Sperlonga. Gioiellino del sud pontino, che racchiude reperti archeologici venuti alla luce dopo gli scavi del ’57. Quegli scavi che con la costruzione della Litoranea, lungo l’antica via Flacca Valeria, hanno reso più agevole ai turisti del post boom italiano, il collegamento da Terracina a Gaeta. Mio nonno materno contribuì nel ritrovamento dei reperti, da semplice capo-cantiere con la sensibilità che un ingegnere, non avrebbe mai avuto. Neppure a quei tempi. L’ignoranza di molti restauratori improvvisati, impedì un più attento risanamento dei reperti. Tra le perle recuperate: oggetti d’arte, gruppi marmorei, vasellame, teste, busti, ornamenti dell’allora villa dell’imperatore Tiberio. I temi richiamano la storia di Ulisse, in accordo con le leggende legate al luogo; in lontananza si scorge il promontorio del Circeo (si credeva fosse l’isola della maga Circe).

Questo sito è tenuto molto bene, ma fa pensare anche a tutto il resto. Un’Italia che prima di essere guerrafondaia è piena di cultura; di buona o cattiva manutenzione del nostro patrimonio storico-artistico. E benché di tutto questo ne abbiano da tempo più prove, resta l’amarezza di quello che si sarebbe potuto fare e che si potrebbe ancora fare. Come sempre. Ma le sovvenzioni più spesso vanno ad aziende e a progetti dal profilo poco chiaro. Che dire se ultimamente si preferisce incentivare la produzione di armi invece che di strutture del genere? Se neppure invertire la rotta della disoccupazione e della crisi rimane tra le priorità del governo Draghi?

Nulla di nuovo. Ormai è quello a cui noi tutti siamo abituati da anni. Tra un governo tecnico e l’altro. Un’infinita partita di calcio, il rimpallo continuo, con un solo buon allenatore: Mattarella. Però in tutto ciò balza agli occhi un’altra bruttura, come se non ce ne fossero abbastanza. Le transenne, le inferriate, i cancelli, i lucchetti, le recinzioni, le aree videosorvegliate, i sorveglianti, a delimitare gli spazi, a organizzarli, a restringerli, a ordinarli, a chiuderli, a privatizzarli, ancora e ancora una volta. Come in questa foto, c’è una vista stupenda di un paesaggio marino inquinato da una prigione di ferro; la segregazione delle menti, della vista e della cultura. Sarebbe bello se bastasse questo a conservare e preservare. Fosse così, si riuscirebbe anche ad accettarne la bruttura.

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Ambra Simeone

Ambra è nata in un paese di mare e ogni volta che si trova in un posto nuovo, lì lascia qualche goccia salmastra. Quando scrive si lascia trasportare dalle brezze marine, quando disegna non usa squadre o righelli, e per entrambe le cose la bussola fa più di un giro. Quello che legge e ascolta non è assimilabile ad un solo genere, perché per lei le parole e la musica non seguono nessuna corrente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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