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In questi giorni di attesa, attaccato come non mai alla tv per aspettare la soluzione finale, mi accorgo, della incredibile e certo non voluta significanza della pubblicità che interrompe le maratone di Mentana. Tutte si riferiscono a poltrone per anziani e invalidi, altre a sofà di una nota marca. Allora: c’è un significato nascosto oppure la poltrona pubblicizzata crea un sottile rapporto su quel che succede in politica? La poltrona oggetto del desiderio e della comodità.

La mia perfidia intellettuale mi spinge oltre, per esempio ad osservare attentamente le posture, le camminate, gli ingressi e le uscite degli uomini (meno le donne non costrette alla divisa) che forse ci governeranno. Le giacchette (alla toscana) si striminziscono sempre di più fino a formare una specie di sacca nell’unico bottone che si può allacciare; i pantaloni a tubo – si diceva ai miei tempi – lasciano libero sfogo alle ‘fette’ enormi di solito che si muovono a ritmo marziale mentre le delegazioni entrano ed escono a ritmo affrettato con spalluccia in avanti. Lentamente tramontano le barbe che ora scompaiono dalle gote d’Orlando e rigogliosamente s’infoltiscono in quelle di Franceschini. Il Capitano sfoggia le mises più incredibili e il labbrone s’atteggia a ironica sapienza. Si trascinano enormi sacchi e si levano e s’indossano caschi da moto come se fossimo ad una corsa ad Imola. Qualcuno, novità molto apprezzata, arriva in taxi che è segno di democrazia sociale mentre braccato dai giornalisti emette  frasi sibilline prontamente recepite dall’uomo con la penna alle labbra che non ho mai capito chi fosse, o dalla curiosità di un ragazzotto paffuto che ha i capelli come un misto fra quelli di Trump e del premier inglese Johnson.

Sempre più spesso invoco pietà dai comunicati che a ritmo convulso vengono sparati al ritmo di uno al minuto.

Riprendo la cronaca sabato 31 agosto quando dopo le durissime dichiarazioni del cioccolatino Mozart-Di Maio – e lo sconcerto del sempre più frastornato Pd – il Conte corre tra le braccia di Mattarella (poverino!!! Matta naturalmente) a sussurrare e a gridare la sua impotenza. Lo sbuffo della giacchetta si sgonfia; il ciuffetto ribelle viene lisciato e ricomincia “la Ronde” metafora totale della vicenda narrata nel meraviglioso film di Max Ophuls dallo stesso titolo: “La storia è tratta dalla famosa commedia di Arthur Schnitzler ed è un girotondo d’amori che cominciano e si concludono con una piccola prostituta passando per un soldato, una cameriera, un signorino di buona famiglia, una signora, il marito di lei, una sarta, un poeta, una attrice, un ufficiale”. Divertitevi se riuscite a sostituire alcuni personaggi politici con quelli del film ovviamente cancellando la differenza dei sessi.

E così sarà per tutto il giorno mentre immagino il buon Mentana che si strappa le vesti perché non può fare la sua maratona.

Cataclismi ambientali intanto ammorbano l’aria e non solo metaforicamente. La mancanza d’ossigeno getta a riva enormi quantità di pesci morti sui littorali dei Lidi comacchiesi e naturalmente comincia la caccia del popolo scemo che armato di retini si porta a casa cadaveri piscatorii in attesa di farne una bella ‘magnada’. Meno male che ho lasciato le aure non profumate del ‘Laido’ prima dell’ecatombe.

Qui al di là della polemica sulle panchine l’afa rende immobile la città dei Buskers. Tutto tace in attesa degli ‘eventi’ che si concluderanno quando anche questo diario sarà pubblicato ed io dichiarerò pubblicamente che se si andrà al voto sceglierò l’unica persona che ai miei occhi ancora conserva dignità e carisma. Vale a dire Emma Bonino.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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