Giorno: 15 Marzo 2020

IL SORRISO AI TEMPI DEL COLERA

Respiro ancora i balsami che emanano dagli ultimi fiori che al mercato sotto la statua di Savonarola i commercianti veneti portarono prima della chiusura totale. Delicati odori di fresie bianche e di gigli rosa con la nota acuta dei giacinti blu che oggi hanno esalato l’ultimo respiro. Al computer ascolto il disco con tutto Verdi diretto da Riccardo Muti e mentre qui in città si viola ogni convivenza civile tra piatti che volano, silenzi e urla, richieste di dimissioni, risposte di “ma quello/a chi è ?”, ripenso al termine eleganza che fino a poco tempo fa era, al di là di chi governava la città, una cifra stilistica, etica, storica della vita di Ferrara. Di una cara amica, importante rappresentante delle amministrazioni passate, rudemente attaccata da un noto critico e polemista, mi viene alla memoria la classe e la gentilezza.

Lei, erede della famiglia Tambroni la cui moglie giacque, immortale Grazia – quella di mezzo – tra le braccia di Antonio Canova che la scolpiva. La famiglia si limitò all’uscita della stampa del Gruppo a strapazzarne l’immagine, amorevolmente conservata poi, dalla stessa famiglia. Non dimentichiamoci che il padre della suddetta signora fu tra i più straordinari cultori della memoria e della forza culturale della città e a lui, Luciano Chiappini, la città intera deve – come nell’immediato ultimo Dopoguerra a Carlo Bassi, a Giorgio Franceschini , a Claudio Varese –  la memoria gentile, la qualità della cultura ferrarese. A questo non ci si può sottrarre se non negando quel poco o tanto che Ferrara ha saputo esprimere nel Secolo Breve e, in conseguenza, nell’oggi così poco gentile e pacato.

Mentre si svolge questo tempo oscuro dell’oggi, mi sovviene non l’eterno ma la declinazione della bellezza tra giardini e paesaggio, Dante, i poeti ferraresi e anche talvolta la rischiosa avventura sul terreno mobile della storia dell’arte di cui sono adepto e incurabilmente seguace.
Così, dopo il soggiorno ai Tatti o alle università americane a Firenze, Oxford, Harvard, San Francisco. Seattle, Smith College le Seven Sisters sino alla Julliard School, dove tenni la lectio magistralis per la laurea dell’amico Muti tornavo a Ferrara. Potevo dire tra me e me: “Sono qualcuno”, ma prevaleva la vita, l’eleganza dell’essere e del fare; poi, anche se le amministrazioni ferraresi mi davano lo sfratto dalle associazioni e luoghi che avevo fondato, a chi importava? Non certo a me che passavo nel giro di una settimana dall’abitare in una delle case più belle del mondo a Firenze, ritornando poi felice nei miei 80 metri quadrati in affitto, a fare i conti della spesa e, se me lo potevo permettermi, il cinema. Conclusione. Vale la pena sbraitare? Vale la pena di accapigliarsi se non pensando alla qualità della vita che puoi condurre con eleganza e civiltà? Molto spesso è quel che manca nelle dispute ‘fraresi’ odierne. L’urlo e la canea non dovrebbero risuonare nella la città del silenzio.

Esco pertanto nei dieci minuti concessi alle mie compere giornaliere nel breve tragitto tra casa mia, gli alimentari e la farmacia, bardato secondo le esigenze dettate dal maledetto morbo: palandrana scura, cappello avvolgente, occhiali e sciarpona che mi copre bocca e naso. A 20 metri, mia moglie cammina svelta, avvolta nella stessa mise ma con sciarpa bianca. Qualche breve notazione rompe il silenzio irreale. Arriviamo agli alimentari e scopriamo una discreta folla che s’aggira prudente, coperta da una, due, a volte tre mascherine. Ci si guarda un po’ in cagnesco, mentre i più sembrano inghiottire il cellulare per non sgarrare dalle inflessibili leggi. Dopo paziente attesa, dall’interno esce l’inappellabile grido scandito col nome di battesimo che uguaglia tutti, e quindi, con fare sottomesso e umile, raccogliamo la spesa. In breve raggiungiamo le fruttivendole. Compongo un inno con accenno di balletto alla loro insuperabile uva e quindi mi metto in fila lunghissima di fronte alla farmacia. Non più grida ma sussurri, mentre smarriti teniamo il doppio della distanza. Commentiamo seccamente l’atteggiamento inopportuno di chi non la tiene, mentre ectoplasmi che non rivelano il gender, guardano sospettosi i chiamati all’Eliso farmaceutico. Infine torniamo sempre a distanza dondolando borse e borsette per infilarci alla fine nel portone di casa che rivela, al di là dei vetri del giardino, la più bella fioritura di camelie che ricordi da decenni. Rispettosamente mi allontano per lasciar vivere il loro trionfo, breve ma indice di una bellezza indistruttibile.

Ed ecco, mentre svogliatamente mi aggiogo al carro del lavoro – due saggi uno su Magris, l’altro sulle Delizie ferraresi– scopro che alla sera verrà proiettato Il grande Caruso con Mario Lanza. Finalmente! Dopo anni ho la forza di rivedere quell’orrendo film che mi ha fatto sognare. Ecco allora risuonare la voce mediocre, ecco i vestiti strepitosi, ecco quel lusso pacchiano delle migliori produzioni hollywoodiane, ecco apparire Gatti che con un sussulto ricollego al sovrintendente Gatti Casazza che fece la fortuna di Caruso e del Metropolitan e che, ‘naturalmente’, era ferrarese. Un teatro mediocre e che, appunto,per la sua mediocrità mi affascinò nel 1982 quando lo frequentai.
E per finire,tra gli innumerevoli auguri ricevuti nel giorno del genetliaco, ecco il regalo più gradito tra gentilezza e nobiltà. Una delle mie pronipotine compie gli anni in questi giorni, il padre Francesco arriva a casa e viene abbracciato dalla figlioletta che gli si attacca al collo e comincia a urlare “Auguri!  Auguri!”. Le si viene fatto notare che domani sarà il suo compleanno. Risponde, la piccola Martina, che è sbagliato, poiché in quel giorno si celebrava la festa di San Francesco Rom. Da gran filologa, aveva fatto il maschile di Santa Francesca Romana e quindi progettiamo di fornire al padre un mantello/lenzuolo, cappello e piattino d’ottone per raccogliere soldi per i poveri. E da ora, Franz si chiama Francesco Rom.

La cupezza di questa città sembra irreversibile: non più indugiare in mirabili piazze, non più vivere in socialità. Solo reclamare nel silenzio irreale degli IO che attestino un valore. Quale valore? Certo, ci sarà, ma privo di eleganza, di discrezione.
Ma è questo che vogliono e pretendono gli ‘itagliani’. Quasi tutti.
Comunque da elogiare il comportamento dei miei concittadini, dei miei connazionali che hanno saputo e sanno aderire con matura civiltà alle dure leggi imposte per il bene di tutti.

 

GAME OVER
Ascesa e caduta (rovinosa) di Familia Christi

Lo scorso 28 febbraio l’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio emette un comunicato col quale si annuncia che la Santa Sede ha soppresso la Fraternità Sacerdotale Familia Christi.
Il decreto emesso dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Luis Ladaria Ferrer, è del 13 dicembre 2019 e mette la parola fine a una vicenda iniziata nel 2014, quando l’allora arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Luigi Negri, la eresse come Associazione pubblica di fedeli, diventata nel 2016 Società di vita apostolica o Fraternità.
Formata da cinque preti – Riccardo Petroni, Matteo Riboli, Lorenzo Mazzetti di Pietralata, Emanuele Leonardi e Enrico D’Urso (segretario di Negri) – a Familia Christi fu affidata la parrocchia di Santa Maria in Vado e, dal febbraio 2016 la Rettoria del Santuario del Prodigioso Sangue, sempre in città.
Molto articolato è stato il percorso conclusosi con la soppressione.
Lo stesso comunicato dell’arcidiocesi informa che dal 20 al 22 febbraio 2018 si è svolta la visita canonica alla Fraternità, cui si è aggiunta una visita pastorale e successive indagini. Gli esiti sono stati trasmessi alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Sulla base dei responsi, e di una relazione firmata dal successore di Negri, Giancarlo Perego, il presidente della Congregazione vaticana ha nominato l’1 dicembre 2018 Daniele Libanori (ferrarese, studi in teologia morale, rettore del seminario diocesano negli anni in cui vescovo era Luigi Maverna, diventato gesuita e ora vescovo ausiliare di Roma), Commissario plenipotenziario delegato della Santa Sede sulla Fraternità di Familia Christi.
Tre i compiti di Libanori, si legge in un precedente comunicato della diocesi (3 dicembre 2018): assumere il commissariamento di Familia Christi, verificare la fondatezza dei risultati della visita canonica e determinare, in collaborazione con Ecclesia Dei, eventuali percorsi futuri per la Fraternità sacerdotale.
Al termine della verifica compiuta, lo stesso vescovo ausiliare di Roma, il 20 giugno 2019 – dice il comunicato diocesano del 28 febbraio – “avendo verificato le difficoltà oggettive, ha disposto dal 1 luglio 2019 la chiusura dello studentato e del noviziato”, entrambi nel complesso dei Gesuati in via Madama. Nel frattempo, dal 6 giugno 2019 la Congregazione delle Cause dei Santi ha deciso per don Riccardo Petroni (il parroco) la revoca dell’ufficio di postulatore per le cause dei santi.
Il decreto di soppressione dell’ex Sant’Uffizio, confermato dal pontefice il 6 febbraio scorso, è quindi l’ultimo passo di un procedimento in piedi da un paio d’anni, iniziato dopo pochi mesi dall’ingresso a Ferrara del nuovo arcivescovo Perego (3 giugno 2017).

A qualcuno Oltretevere deve essere ‘andata giù la catena’, se la gravità del provvedimento si è spinta fino all’applicazione del canone 701 del Codice di diritto canonico, cioè la proibizione per i cinque preti di celebrare messa, confessioni e matrimoni. Salvo che un vescovo, dopo un conveniente periodo di prova (canone 693), non decida di riammetterli all‘esercizio degli ordini sacri.
Fin qui, più o meno, la cronaca, o almeno quello che è dato sapere, visto che le fasi informative, compresa la relazione di Perego, sono coperte da riservatezza. Eppure qualcos’altro si può comprendere della vicenda.
Per prima cosa, l’ex arcivescovo Negri, come principale sponsor di Familia Christi si può dire che esca ammaccato da questa storia. Non è dato sapere quanto sia stato convinto sostenitore, o se abbia prestato il fianco con leggerezza a un’iniziativa ascrivibile in pieno al campo del tradizionalismo cattolico. Di sicuro la scelta si è dimostrata un disastro su tutta la linea.
Nel comunicato della diocesi del febbraio scorso, poi, le parole meditate dell’arcivescovo Perego, a commento dell’articolato iter, meritano attenzione. Da una parte, esprime la preghiera perché non vengano mai meno i “doni carismatici per la vita e la missione della Chiesa”, dall’altra richiama l’attenzione sui “criteri per il loro discernimento”. Come dire: ben venga la diversità nei modi di essere chiesa, ma attenzione a distinguere fra doni e altro.
Già qui, chi ha orecchi per intendere, intenda.

Ma quali sono questi criteri? Ora Perego cala l’asso. Sono esattamente quelli richiamati dallo stesso ex Sant’Uffizio, fra cui: il primato della vocazione di ogni cristiano alla santità, la testimonianza di comunione con tutta la Chiesa e il riconoscimento e la stima verso tutti gli altri carismi. Grattando la superficie felpata del linguaggio, si possono intuire alcuni motivi che hanno portato a usare la mano pesante.
Il ripristino del latino nella celebrazione della messa è avvenuta legittimamente grazie al motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, con il quale papa Benedetto XVI riconobbe la cosiddetta messa di san Pio V come “forma straordinaria” della liturgia latina. Certamente, nel caso ferrarese, la messa in latino è stata scrupolosamente celebrata in “forma straordinaria”, ma lo spazio dilatato tra la zona dell’altare e i banchi dei fedeli nella vita liturgica e una serie di misure rigidamente introdotte, hanno di fatto solcato in Santa Maria in Vado un’ordinaria distanza tra l’area sacra, nella quale si compiono i santi misteri, e quella dei fedeli che vi assistono. Tra la Chiesa docente e quella discente.
La stessa lettura guidata per alcuni lunedì sera della Sacrosanctum Concilium, ossia la costituzione sulla liturgia approvata dal concilio Vaticano II il 22 ottobre 1963, va ascritta nel tentativo di catechizzarne una recezione funzionale a un’ecclesiologia chiaramente gerarchica. Ricordo personalmente che, in alcuni di quei confronti serali, erano attentamente scelti brani del testo tesi a sottolineare la postura giuridica e gerarchica della Chiesa.

Si sa che i documenti conciliari sono frutto di un equilibrio, spesso sofferto e combattuto, ma è altrettanto assodato che Sacrosanctum Concilium è stata la porta principale d’accesso verso un’ecclesia che ha inteso lasciarsi alle spalle il modello di societas perfecta. Ad esempio, la formula “attiva partecipazione” ricorre nel documento conciliare ben undici volte, esattamente quella partecipazione ai santi misteri che Familia Christi ha riservato al personale gerarchicamente sacro-separato. Per questo motivo, il ripristino del latino (comprensibile solo agli addetti ai lavori), il ritorno del sacerdote spalle ai fedeli e la dilatata separazione-distanza fra clero e laici, sono stati i segni sistematici della volontà di restaurare, anche visibilmente, uno spazio ecclesiale che sottende una linea teologica ben più complessiva e che fa perno su un’idea marmorea della tradizione, senza alcuna prospettiva evolutiva.
Appaiono così più chiari i richiami del vescovo Perego alla vocazione di “ogni cristiano” alla santità e al termine “comunione”, per una Chiesa che, a partire dal Concilio, riscopre le proprie radici di comunità, ben più che una piramide.

Operazioni come quelle di Familia Christi non si limitano, quindi, alla folkloristica riedizione del latino, ma celano in realtà il tentativo di mettere il Concilio Vaticano II sul banco degli imputati, visto da un rinvigorito tradizionalismo come un grande errore, sul crinale dell’eresia.
Rispetto al ‘balzo innanzi’ invocato da papa Roncalli, è una lettura riduzionista, tuttora poderosamente in auge, cui hanno prestato il fianco anche i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con la loro lettura del Concilio in ‘continuità’ con la tradizione della Chiesa.

 

PER CERTI VERSI
La nuvola della libertà

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

LA NUVOLA DELLA LIBERTÀ

La nuvola
Sosta sul confine
Dei nostri denti
La nebbia è un mare pallido e grigio
Ovatta che si strappa e di ricuce
Nei nostri ricordi
Io non so più come sei
A tratti mi dispero
Non esce dal mio pugno
Il sugo della nostra vita
A volte sogno
Di infilare
i pantaloni insieme a te
Dopo colazione
Tenere i pigiami
E andare nel mondo svuotato
Che si svela
Alla ricerca
di un ristoro
Di una cena
al lume
di candela

QUOTIDIANO INDIPENDENTE l'informazione verticale

CONTATTI
Articoli e informazioni a: redazione@periscopionline.it
Lettere e proposte di collaborazione a: direttore@periscopionline.it
Amministrazione:
Periscopio
Testata giornalistica online d'informazione e opinione, registrazione al Tribunale di Ferrara n.30/2013
Sede
Via Borgo dei Leoni 88, 44121 Ferrara.

Seguici: