Opporsi alla pulizia etnica praticata da Israele non è antisemita: è antifascista
Tempo di lettura: 6 minuti
Opporsi alla pulizia etnica praticata da Israele non è antisemita: è antifascista
Il suicidio del “sogno” ebraico si trascina dietro i lampi e i tuoni dell’antisemitismo di ritorno. L’antisemitismo è, alternativamente, il terreno calcato dagli idioti, dai fanatici o dagli analfabeti funzionali per insultare gente con la kippah all’autogrill o ammazzare a sangue freddo giovani diplomatici (per adesso); oppure è l’accusa, buona per tutte le stagioni, con cui mettere all’indice chi critica le politiche attuali o passate o la stessa genesi dello Stato di Israele. E funziona sempre, perché essere etichettato come antisemita è come essere accusato di nazismo. Ma per individuare genuinamente un antisemita, credo occorra rispondere con precisione alla domanda su chi sia, esattamente, il bersaglio del suo odio: ovvero, chi è colui o colei che può essere definita con esattezza una persona semita?
Semita: agg. e s. m. e f. [der. dal nome Sem del figlio di Noè, il quale, secondo la tradizione biblica, sarebbe stato il progenitore dei popoli semitici] (pl. m. -i). – Appartenente alle popolazioni semitiche, a un popolo, antico o moderno, semitico (v. semitico). (Encicl0pedia Treccani) Approfondendo il contesto linguistico: “… le lingue semitiche comprendono, tra gli altri: arabo, ebraico, cananaico, accadico, aramaico ed amarico. Alcuni dei popoli che parlarono queste lingue erano discendenti dei Fenici, nome con cui i Greci identificavano i Cananei. Al culmine della potenza cartaginese, i linguaggi semitici erano largamente parlati in tutta l’area del Mediterraneo meridionale fino all’Oceano Atlantico, dato che Cartagine era originariamente una colonia fenicia. Il termine antisemita è spesso usato nell’accezione impropria di anti-ebraico.”(Wikipedia).
Benjamin Netanyahu è un semita? Leggo dalla sua biografia che il padre, Benzion Mileikowsky, era un polacco aschenazita, originario di Varsavia. La madre era di ascendenze lituane e bielorusse. Quindi il primo ministro israeliano si è cambiato il cognome per darsi da solo una patina biblica. Aschenaz è una regione del Reno franco-tedesca, dove si parlava yiddish che è una lingua prevalentemente germanica. Se Netanyahu (Mileikowsky) è un discendente di Sem allora io, ferrarese, sono bizantino: come l’originario castrum su parte del quale poi venne edificata la Ferrara medioevale. Dopo arrivarono i longobardi, poi gli amici dei guelfi, quelli dei ghibellini, i veneti (Este), lo Stato Pontificio, Napoleone, il Regno di Sardegna, poi la classe agraria (molta di origine ebraica). Se il primo ministro israeliano ha il diritto (per lui divino) di sentirsi figlio di Sem, io rivendico il diritto (per me laico) di sentirmi figlio di Giustiniano.
Israel Katz, attuale ministro della difesa, ha il padre transilvano. Sarebbe molto più affine al Conte Dracula che al figlio di Noè. Bezalel Smotrich, il ministro delle finanze, è nato in Cisgiordania (occupata) ma il suo cognome è ucraino. Itamar Ben-Gvir, ministro della sicurezza nazionale, è nipote di un iraqeno, sua madre è curda (nota: pare che il nostro, al tempo, abbia scampato il militare perchè troppo di destra. In Israele, chi studia molto i testi sacri e chi è molto fascista può permettersi di fare ammazzare gli arabi senza sporcarsi le mani). Daniela Weiss, leader dei coloni, è nata nel mandato palestinese britannico da genitori statunitensi e polacchi affiliati a Lehi,(qui) organizzazione terrorista che si proponeva di sfrattare gli arabi fin dal 1940 per instaurare in Palestina lo stato ebraico, alleata inizialmente con nazisti e fascisti sulla base del comune odio verso gli inglesi(sic).
Questi sarebbero i semiti. Adesso scorriamo insieme un elenco di alcuni antisemiti, almeno secondo il governo israeliano e buona parte dell’opinione pubblica interna:
Omer Bartov: israeliano, nato in Israele, da genitori polacco e ucraina immigrati nella Palestina mandataria. E’ stato soldato nell’IDF. Uno dei principali storici dell’Olocausto, ha insegnato ad Harvard e Princeton. Sul New York Times ha di recente pubblicato un saggio nel quale tra l’altro afferma, lapidario: “Insegno corsi sul genocidio da un quarto di secolo. Riesco a riconoscerlo quando ne vedo uno”.
Amos Goldberg: nato a Gerusalemme, israeliano, storico dell’Olocausto, professore all’università di Gerusalemme. Afferma Goldberg in una intervista: “il 7 ottobre è stato uno shock, una tragedia, un attacco orribile. … Circa 850 civili sono stati uccisi in un giorno. Uomini, donne, bambini, persino neonati e anziani sono stati presi in ostaggio. Alcuni kibbutz sono stati completamente distrutti. E hanno iniziato a fluire testimonianze di crudeltà, violenza sessuale, distruzione da parte di Hamas. Conosco personalmente persone, alcune molto vicine, colpite dall’attacco. Alcune sono state uccise, altre sono state prese in ostaggio, altre sono sopravvissute a malapena”. Però poi afferma, a proposito della reazione dello Stato: “Se guardi al quadro generale, ci sono tutti gli elementi di un genocidio. L’intento è chiaro: il presidente, il primo ministro, il ministro della difesa e molti ufficiali militari di alto rango lo hanno espresso molto apertamente. Abbiamo assistito a innumerevoli esortazioni a ridurre Gaza in macerie, affermazioni secondo cui non ci sono persone innocenti lì, ecc. Appelli popolari per la distruzione di Gaza si sentono da tutti i settori della società e dalla leadership politica. Nella società israeliana prevale un’atmosfera radicale di disumanizzazione dei palestinesi in una misura che non riesco a ricordare nei miei cinquantotto anni di vita in questo paese”(intervista integrale qui).
Lee Mordechai, israeliano, ricercatore all’università di Gerusalemme, afferma in un rapporto che cita episodi raccapriccianti con tanto di fonti verificate: “Le azioni condotte da Israele nella Striscia soddisfano le condizioni che in base alla Convenzione di Ginevra identificano i reati di genocidio, pulizia etnica, punizione collettiva”.
David Grossmann, nato a Gerusalemme, ebreo figlio di un transfugo dalla Galizia, scrittore famoso, che ha perso un figlio di vent’anni, soldato di leva, durante una spedizione nel sud del Libano, e che finora non aveva mai varcato un limite terminologico, oggi afferma in un’intervista a Repubblica: “per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola. Ma adesso non posso trattenermi dall’usarla, dopo quello che ho letto sui giornali, dopo le immagini che ho visto e dopo aver parlato con persone che sono state lì. Ma vede, questa parola serve principalmente per dare una definizione o per fini giuridici: io invece voglio parlare come un essere umano che è nato dentro questo conflitto e ha avuto l’intera esistenza devastata dall’Occupazione e dalla guerra. Voglio parlare come una persona che ha fatto tutto quello che poteva per non arrivare a chiamare Israele uno Stato genocida. E ora, con immenso dolore e con il cuore spezzato, devo constatare che sta accadendo di fronte ai miei occhi. “Genocidio”. È una parola valanga: una volta che la pronunci, non fa che crescere, come una valanga appunto. E porta ancora più distruzione e più sofferenza”.
Evito appositamente di citare le affermazioni di illustri studiosi ebrei o di origine ebraica che per Israele non sono credibili perchè “comunisti”, come Ilan Pappé, o perché “persona non grata”, come Norman Finkelstein, professore statunitense figlio di ebrei sopravvissuti ad Auschwitz, da decenni critico verso la cosiddetta “industria dell’Olocausto”. Non li cito perchè sulle loro opinioni (peraltro accuratamente documentate e argomentate) la controversia è datata. Mi sono limitato a citare studiosi e intellettuali che non possono essere accusati di avere una posizione preconcetta contro lo Stato di Israele, al punto che qualcuno di loro, in alcune fasi della sua sanguinosa storia, ha giustificato il suo atteggiamento.
Delle due l’una: viste le origini, se gli appartenenti al primo elenco sono qualificabili come “semiti”, gli appartenenti al secondo elenco sono semiti esattamente allo stesso modo. In questo caso, saremmo di fronte a dei semiti che sono antisemiti, visto che manifestano opinioni bollate come antisemite. Il popolo perseguitato da tutti nella storia dell’umanità starebbe subendo l’ennesimo assedio, stavolta ad opera di una parte stessa del suo gruppo etnico. La seconda ipotesi è che come gli appartenenti al primo elenco non sono tutti figli di Sem, ma figli della tribolata storia dei loro antenati, altrettanto si può dire degli appartenenti al secondo elenco: i quali, pur figli della tribolata storia dei loro avi, hanno sviluppato una coscienza acutamente critica nei confronti della condotta del loro governo, al punto da arrivare a pronunciare la parola che mai avrebbero pensato di dover utilizzare come atto d’accusa nei confronti di loro connazionali: genocidio. Seguire questa seconda ipotesi, che personalmente prediligo, significa collocare queste – minoritarie ma crescenti – opinioni, come fossero piccole scialuppe di salvataggio intellettuale e morale, dentro un torrente politico, non etnico. Criticare il fascismo di uno Stato non ha niente a che vedere con un pregiudizio razziale. Significa inquadrare il problema nella giusta prospettiva. Il cileno che lottava contro il regime di Pinochet non era antiandino, lo spagnolo che combatteva contro Franco non era antiispanico, un desaparecido non era antiargentino, il partigiano che combatteva Mussolini non era un antiitaliano (ricordi Sandro Pertini?). Allo stesso modo, un ebreo o un non ebreo che grida l’orrore contro le gesta atroci dello Stato israeliano non è un antisemita. Più che di un improbabile e chiaramente strumentale antisemitismo dei semiti, parlerei di antifascismo nei confronti di uno stato fascista.
photo cover tratta da nena-news.it
Il tuo articolo mi sembra talmente chiaro da non avere bisogno di commenti. Sono d’accordo con te, chi critica il governo di Israele e rivendica l’utilizzo del termine genocidio non è anti semita, ma anti fascista.
Chiaro e fulminante, come spesso sono gli scritti di Nicola Cavallini.
Fulminante, giusto. Hai dato parole chiare incontrovertibili a quello che pensiamo. Ci voleva.