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All’inizio era il Selfie, che la Treccani definisce “autoscatto fotografico generalmente fatto con uno smartphone o una webcam e poi condiviso nei siti di relazione sociale”.
Definita “parola dell’anno 2013dall’Oxford english dictionary, il fenomeno fa emergere un problema sociale a livello di relazioni, appartenenza e disagio. Spesso testimonia un costante bisogno di apparire, di nascondere i difetti, di mostrare quanto si è belli e felici, di ricevere conferme, apprezzamento, complimenti e riconoscimenti dagli altri.
Uno scatto davanti a una cattedrale, a un monumento o in un bel giardino fiorito può essere innocuo ma quello preso in abiti succinti o provocatori resta per sempre e può fare grandi danni, in un mondo che ci vuole tutte magre, prosperose o con la pelle perfetta, gli occhi cerulei e le labbra carnose e provocantemente dipinte. E che non dimentica.

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I Simpson mentre si fanno un Selfie

Era (ed è) una moda che dilagava e impazzava, facce di amici spesso irriconoscibili, perché gli autoscatti li deformavano, nelle bocche, nelle linguacce, nelle rughe che si vedevano perché presi troppo da vicino. Faccioni e faccini che sorridono a sé stessi. All’inizio, quando ero in un ristorante o in un museo e vedevo persone armeggiare con i telefonini cercando di riprendersi, non capivo. Poi fra Facebook e Instagram ho capito. Mah, mi sono detta. Subito dopo, sono arrivati i Lelfie, gli Artfie e tanti amici-cugini-fratelli di quel Selfie iniziale che si evolveva e si trasformava. Non sempre in meglio. Ma mutava, come richiede la tecnologia e la fantasia degli esploratori e frequentatori del web.

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Lelfie

Un giorno, infatti, hanno cominciato ad apparire, sui social network, fotografie di gambe, abbronzate, affusolate, strette in improbabili leggins, nei negozi, in spiaggia, distese sui lettini, allungate su prati d’erba verde avvolta da fiori. Erano arrivati i Lelfie (legs/selfie), una novità che, anche questa, non mi piaceva troppo ma m’incuriosiva. Mi chiedevo, ma la gente non ha proprio nulla di meglio da fare che fotografarsi le gambe?

Poco dopo apparivano gli Artfie, immagini scattate nei musei, dove spettatori dall’aria più o meno intelligente, passeggiavano fra i corridoi, facendosi immortalare di fianco a quadri, sculture, opere d’arte. Meno peggio dei Lelfie, mi dicevo. Spesso da qui partivano anche i Velfie, o video Selfie. Tutti immancabilmente e rumorosamente postati sui social network. Ecco, però, che una sera sento una ragazza dire al fidanzato, “amore, scattiamoci un Relfie!”. Avevo sentito bene, un Relfie. La parola deriva dalla fusione di ‘relationship’ (qui, di coppia, ovviamente) e Selfie. Non ci sono dubbi, dunque, sul fatto che mi trovavo di fronte all’autoscatto di una coppia sorridente di fidanzati o di coniugi delle più svariate età che decide di immortalare diversi momenti della giornata da condividere immancabilmente sui social, magari con una citazione romantica. Per far vedere quanto si è felici. Forse.

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Smelfie

Ma non avevamo ancora visto tutto. Il peggio doveva ancora venire. Oggi, arriva lo Smelfie (terribile…), il Selfie del momento, che spopola sul web, l’autoritratto dei papà con in mano i pannolini maleodoranti dei loro adorati bambini. Nasce dalla fusione di Selfie e smell (puzza). Sta diventando l’hashtag più famoso su Twitter. Molti papà hanno imitato l’esempio del comico australiano Adam Hills, che lo ha lanciato.

varianti-selfieNel frattempo, si vedono persone girare con bastoncini per fare meglio i Selfie e la moda non ha più limiti. Il passo dalla faccia al lato B è breve (eviteremo battute sconce scontate ma trattenersi è davvero difficile). Nasce il Belfie (il Selfie del lato B). Se pensavate di avere visto tutto, e il peggio, vi sbagliate. Per riprendere meglio il proprio sedere nasce pure un dispositivo che lo immortala e lo rende un’opera d’arte, il Belfie stick. Incredible!

varianti-selfieL’ultimo arrivato (temiamo non sia l’ultimo), è il Felfie (‘farmers selfie’), l’autoscatto di chi lavora in campagna. Davanti a mucche, pecore, cavalli, con maialini o galline in braccio, a bordo di trattori, falciatrici e trebbiatrici. Fra alberi, piante e animali. Contadini e allevatori si mettono in mostra a suon di farmers selfie. Il blog Farmingselfie.com [vedi], creato dal un allevatore dell’Essex (@willwilson100), li raccoglie tutti. Il risultato è una collezione di scatti provenienti da tutto il mondo.

Non c’è più alcun limite, in questo mondo globalizzato e costantemente connesso. Fino a quando e fino a dove?

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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