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Un nuovo progetto lega Bologna, Ferrara e Iringa, città del sud-est della Tanzania. L’estate scorsa, Angela Ravaioli e Marco Tibaldi del Paddock di Bologna sono stati invitati proprio a Iringa dall’associazione Nyumba Ali, per insegnare i rudimenti dell’ippoterapia alla proprietaria inglese di una fattoria e di un maneggio.

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Angela Ravaioli con i bambini della Nyumba Ali

Conosco Angela Ravaioli ormai da più di dieci anni. Seguo quindi da molto tempo la sua passione e il suo impegno ormai trentennale nel campo della riabilitazione equestre. Quello che non sapevo è che la sua esperienza ad Iringa si inserisce e va ad arricchire lo stesso lodevole progetto a cui la nostra città ha aderito già da qualche anno.
Mi riferisco al progetto ideato e promosso dalla Nyumba Ali di Bologna che mira alla formazione di personale locale per la riabilitazione dei bambini disabili delle zone più povere di Iringa, e che si avvale della collaborazione volontaria di varie figure professionali come medici, fisioterapisti e pedagogisti, provenienti essenzialmente da Bologna e Ferrara, che hanno messo a disposizione nel tempo la loro pluriennale esperienza.
Ecco dunque che Angela Ravaioli e Marco Tibaldi dell’associazione Il Paddock vengono invitati ad Iringa per insegnare le tecniche base dell’ippoterapia. Ed ecco dunque che il ferrarese Francesco Ganzaroli del Centro servizi e consulenze per l’integrazione viene invitato ad Iringa in quanto esperto di comunicazione alternativa aumentativa.
Ma mentre la collaborazione sul programma di riabilitazione equestre è agli esordi ed è tutta da costruire, la collaborazione con Ferrara è stata avviata già da qualche anno, tanto da venir ufficializzata nel novembre del 2012 con un protocollo operativo triennale tra il Comune di Ferrara, l’associazione Nyumba Ali e le autorità locali del Disctrict of Iringa [leggi]

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Francesco Ganzaroli durante una lezione

Francesco Ganzaroli, rientrato da poco dal suo quinto viaggio ad Iringa dove insegna “Strumenti di comunicazione aumentativa e alternativa, tecnologie per la didattica”, corso di formazione per insegnanti presso la scuola di Tanangozi (paese nel distretto di Iringa), ci ha raccontato la sua esperienza.
Sono stato invitato la prima volta nel 2009. Bruna Fergnani e Lucio Lunghi, responsabili dell’associazione Nyumba Ali, mi contattarono perché volevano sperimentare l’approccio della comunicazione aumentativa con i bambini disabili del suo centro diurno di Iringa. L’esperienza andò talmente bene che nel 2011 presi ferie e rimasi ad Iringa un mese, per procedere con il progetto e insegnare qualche tecnica agli operatori e ai bambini [leggi]. Tutto questo ebbe una certa eco a vari livelli, infatti successe che il responsabile dei Servizi sociali di Iringa e il responsabile degli insegnanti dei villaggi del Distretto di Iringa andarono in visita alla Nyumba Ali e chiesero a Bruna di realizzare un corso di formazione specifico di comunicazione aumentativa per gli insegnanti. Da lì nacque l’esigenza di formalizzare il mio intervento attraverso un protocollo operativo con il Comune di Ferrara”.

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Francesco Ganzaroli durante la valutazione con un bambino

Per te sta diventando ormai una consuetudine, consolidata da quando operi per conto dell’amministrazione. A chi sono rivolti questi corsi?
Con l’ultimo appena concluso, sono alla quarta formazione. I primi due corsi erano rivolti ad insegnanti di sostegno, gli ultimi due erano per insegnanti di classe.
Continuerai la collaborazione con il Comune?
Molto probabilmente sì, pare ci siano tutte le condizioni per il rinnovo del protocollo.

Siamo poi andati a trovare Angela Ravaioli al Paddock (quartiere Barca di Bologna) e le abbiamo chiesto di raccontarci nel dettaglio la sua avventura: “Siamo stati contattati, a dire il vero, già nell’agosto del 2012. L’associazione Nyumba Ali ci invitava in Tanzania a proprie spese, per insegnare gli esercizi base dell’ippoterapia alla proprietaria di un maneggio con cui avevano preso contatti. Mi è sembrata subito un’occasione entusiasmante, non ho saputo resistere e abbiamo accettato. Così, attraverso un intenso scambio di mail, ci siamo accordati per l’estate successiva.”
Quindi prima del viaggio vi siete sentiti soltanto tramite mail?
No no, a Bologna c’è la sede dell’associazione e tutta una rete di persone con le quali ho avuto i primi contatti e con cui mi sono spesso relazionata. Poi c’è stato l’incontro con Bruna Fergnani: lei è il motore dell’associazione, è una donna molto coinvolgente e di grande coraggio che si è trasferita con il marito ad Iringa nel 2006, hanno adottato tre bambine disabili, messo su una casa famiglia e poi il centro diurno in cui si sviluppano questi programmi di riabilitazione. In uno dei suoi soggiorni in Italia, è venuta a conoscerci al Paddock, da lì ci siamo innamorati del suo progetto e abbiamo deciso di collaborare. Bruna ci spiegò in quell’occasione che ad Iringa erano venuti a conoscenza di una signora inglese, Victoria Philips, proprietaria di un’azienda agricola, che aveva importato cavalli e pecore; l’avevano incontrata ed era nata l’idea dell’ippoterapia.
Avete quindi elaborato un progetto insieme?
Sì, durante l’inverno abbiamo analizzato insieme la situazione, in particolare io ho dovuto capire quali fossero le tipologie di disabilità dei bambini e individuare gli strumenti più utili da portare. Le disabilità di quei bambini sono gravi, tutte esito di paralisi cerebrale infantile da parto, da abbandono o da malnutrizione, che hanno portato a situazioni di spasticità, ipotonia e deformità articolari. Non potevamo portare molto in valigia, quindi abbiamo puntato all’essenziale: ho acquistato per l’associazione un fascione ad una maniglia che si usa normalmente per lavorare i cavalli ma che viene anche utilizzato per il lavoro con i disabili di maternage. Avevamo anche cerchietti colorati e palline morbide che utilizziamo come giochi per proporre gli esercizi in modo stimolante e divertente.

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Al maneggio

Poi nell’estate del 2013 siete partiti, come vi siete organizzati?
Siamo rimasti una settimana e con noi sono venuti anche i nostri figli Virginia ed Enrico (17 e 15) che sono stati di fondamentale importanza sia come aiutanti per le sedute di ippoterapia sia come traduttori per l’inglese. I miei figli ormai cavalcano da anni perché sono nati con il Paddock, quindi abbiamo studiato insieme i compiti: mio marito Marco come medico neurologo valutava insieme agli altri esperti dell’associazione il singolo caso dal punto di vista diagnostico; io come ippoterapeuta spiegavo e mostravo a Victoria gli esercizi di base da far fare ai bambini; Virginia ed Enrico, a turno, montavano insieme ai bambini aiutandoli a tenersi in sella e accompagnandoli nei movimenti.”

Come si svolgevano le vostre giornate e che situazione avete trovato?
Il primo giorno abbiamo fatto visita al centro diurno del Nyumba Ali e abbiamo scelto, insieme agli operatori, i bambini che potevano essere introdotti all’attività e che avrebbero potuto nel tempo trarne beneficio, stando attenti a non coinvolgere casi particolarmente gravi perché appunto là di personale specializzato ancora non ce n’è. Abbiamo scelto bambini capaci di stare seduti in modo che fosse più semplice mostrare gli esercizi e poter far partire il lavoro. Nei giorni successivi, invece, la mattina partivamo con gli operatori per andare a prendere i bambini nelle loro case, case molto misere, di terra e canne, e portarli al maneggio.

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In pulmino per arrivare al maneggio

Com’è stato lavorare con quei bambini?
Ognuno di loro ha alle spalle una storia di vita drammatica, ma da quando sono stati inseriti al centro diurno di Bruna hanno fatto progressi da gigante. Mage, Viki e Ageni sono le figlie di Bruna e Lucio, sono ormai adolescenti e vivono in casa con i loro genitori adottivi. Ageni frequenta la scuola superiore, purtroppo non cammina per una malattia infantile non curata, ma è molto vitale e ha fatto amicizia con Virginia, mia figlia, e alla sera si scambiavano lo smalto all’hennè! Zawadi invece è un ragazzo con una disabilità fisica gravissima ma che, attraverso la comunicazione aumentativa, ha recuperato tantissimo, tanto da superare l’esame di accesso alla scuola pubblica. Imma, Priva, Evodia, Pio e Peter sono bimbi piccoli, con diagnosi per lo più indefinite. Nessuno di loro parla ma i loro occhi comunicano sensazioni splendide.

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Enrico e il piccolo Pio in pulmino

Durante il tragitto in pulmino per raggiungere il maneggio scherzavamo con loro e ci siamo fatti tante risate! Ci siamo molto affezionati e sono anche nate delle “simpatie”: Virginia si è innamorata di Evodia e Enrico aveva un debole per il piccolo Pio. Imma, infine, è il più confusionario del gruppo, la sua vivacità e la voglia di fare sono esemplari! In generale la cosa che ci ha colpito di più sono stati i loro sorrisi, nonostante i grandi disagi fisici e mentali, nonostante le condizioni familiari (il 90% dei bambini disabili viene abbandonato dai genitori perché considerato “figlio del demonio”), donano sorrisi di una dolcezza disarmante.

Che tipo di esercizi hai insegnato e quali sono stati i risultati?
L’arrivo al maneggio, il primo giorno, è stata un’esplosione di gioia. Con ogni bimbo abbiamo fatto l’avvicinamento che consiste nell’accarezzare il corpo del cavallo per avere un primo contatto fisico con l’animale, tra l’altro sconosciuto in quella zona dell’Africa. L’avvicinamento è un momento delicato perché il ragazzo viene investito da sensazioni molto forti che stimolano il tatto, l’olfatto, a volte anche la paura che viene poi superata con l’aiuto dell’operatore. La tecnica che prediligo per l’ippoterapia è il volteggio, in quanto permette al bambino di ricevere stimoli particolari senza coercizioni. Anche ad Iringa ho utilizzato questa tecnica ma per gradi: inizialmente abbiamo fatto maternage che consiste nel far montare il bambino con l’operatore seduto dietro, evitando l’uso della sella per permettere un maggiore contatto con il corpo del cavallo.

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La felicità durante una seduta di ippoterapia

Siamo partiti col far accarezzare l’animale sul collo con il palmo della mano ben aperto, cosa affatto semplice per alcuni dei bambini che hanno gli arti atrofizzati. Poi abbiamo invitato i bambini a sdraiarsi sul dorso dell’animale, a fare leggere torsioni del busto per andare a toccare la schiena dell’animale, da una parte e dall’altra, esercizi questi utilissimi per l’equilibrio. In un secondo momento abbiamo inserito cerchi e palline come stimolo alla prensione degli oggetti, per imparare a riconoscere forme e colori, come scambio di relazioni. Preso confidenza con l’animale, siamo partiti in sicurezza con una persona a piedi che guidava il cavallo, una per lato per sostenere la schiena e le gambe del disabile, e una dietro. Alla fine della settimana tutti i bambini montavano da soli e senza che noi li tenessimo. E’ stata una grandissima soddisfazione [vedi video].

E com’è andata con la signora inglese? è riuscita a imparare in una sola settimana le tecniche base?
Sulle prime la signora era molto titubante sulla riuscita del progetto: i bambini erano disabili gravi e lei non si sentiva in grado di gestire le sedute di ippoterapia con loro. Ma poi, dopo qualche giorno, ha superato ogni remora, ha imparato le tecniche base, si è appassionata e da allora tiene regolarmente le sedute di riabilitazione. Bruna è stata in Italia poco tempo fa, è venuta a trovarci qui al Paddock e ci ha confermato che il lavoro sta continuando con grande successo, che i bambini vengono portati al maneggio ogni sabato pomeriggio e hanno fatto grossi miglioramenti. Ci ha invitato di nuovo a Iringa per proseguire nella formazione di personale specializzato.

Concludiamo il racconto con le parole del presidente dell’associazione Nyumba Ali, Mario Pinotti, a cui abbiamo chiesto come intendono proseguire in futuro: “Oltre a continuare con la formazione in loco, stiamo lavorando ad un nuovo progetto. Si tratta di realizzare qui a Bologna corsi di formazione per operatori specializzati in campo paramedico, psicopedagogico e di riabilitazione equestre, aperti a giovani laureati o laureandi, a cui poi offrire borse di studio per fare il tirocinio ad Iringa presso il nostro centro diurno e presso il centro di equitazione che abbiamo avviato con Angela. Realizzare questo programma sarebbe un grosso passo avanti per noi, perché ci permetterebbe di avere personale preparato e spendibile sia in Italia che in Tanzania, garantendoci di dare continuità all’intero progetto.

Per maggiori informazioni:
Associazione Il Paddock [vedi]
Associazione Nyumba Ali [vedi]
Centro servizi e consulenze per l’integrazione (ex CDIH) del Comune di Ferrara [vedi]

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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