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L’orrore di Gaza contiene il germe della fine della tirannia sionista 

Quella che ormai non può che essere vista come la “Soluzione Finale” di Israele per i Palestinesi affonda le proprie radici nella storia di ieri. La guerra del 1948, chiamata in Israele “Guerra di Indipendenza”, ha comportato la nascita dello Stato di Israele e ha significato la morte del popolo palestinese.

La Dichiarazione di Indipendenza israeliana ha comportato la Nakba (catastrofe) in Palestina.

Per via di una beffarda coincidenza storica, anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è stata adottata in quello stesso anno, quando un’ondata di violenza e terrore contro una popolazione inerme di 1.3 milioni individui causò la distruzione di 524 città e villaggi e una fuga di massa di 780mila palestinesi. Due milioni e trecentomila discendenti di quei primi profughi fuggiti di casa nel 1948, sono coloro che oggi risiedono nell’inferno della Striscia di Gaza, vittime di una nuova devastante catastrofe umanitaria.

La mentalità terrorista attraverso la quale Israele è stato concepito, costruito e sostenuto, è stata un fallimento fin dall’inizio, eppure Israele ancora si rifiuta di accettare ciò che risulta ovvio: fintanto che la sua esistenza sarà imposta con l’uso delle armi, non vi sarà uscita dal tunnel degli orrori.  Chi continua a fare affidamento sulla narrazione israeliana imposta dall’ideologia sionista viene ingannato dal potere  economico militare degli Stati Uniti e dalle influenze delle lobby israeliane.

L’insensata propaganda della versione sionista della storia, tesa a convincerci che non ci sarebbe stato nessun genocidio dei palestinesi, è già crollata sotto il peso degli studi condotti dal movimento della Nuova Storiografia Israeliana, un gruppo di ricercatori e docenti israeliani che ha sfidato le versioni tradizionali sul reale ruolo assunto dal proprio Paese nella guerra del 1948. Oggi, quella stessa visione negazionista rischia di disintegrarsi sotto il peso morale della guerra di Gaza.

La soluzione finale per i palestinesi che sta avvenendo nell’inferno di Gaza è speculare a ciò che sta avvenendo nell’inferno di Israele: la risoluzione finale dell’ideologia sionista. L’attacco militare non può più essere raccontato come una missione necessaria per “eliminare il terrorismo di Hamas” in contrapposizione a ciò che realmente è: una vera e propria guerra, tra le più distruttive e letali del 21°secolo, per entrambe le parti.

Haytham Manna, presidente dell’Istituto Scandinavo per i Diritti Umani (SIHR), ha osservato che la guerra in corso ha già mietuto il doppio delle vittime civili rispetto ai due ultimi anni di guerra in Ucraina (2022-2023), e che il numero dei medici e del personale delle agenzie delle Nazioni Unite uccisi durante l’esercizio delle loro funzioni è infinitamente superiore a quello registrato in 20 anni di guerra del Vietnam (1955-1975) o in 8 anni di guerra in Iraq (2003-2011). Anche i 90 tra giornalisti, fotografi e operatori rimasti uccisi vanno ad aumentare il tragico conto delle vittime.

I 365 chilometri quadrati della Striscia di Gaza, cioè la prigione più grande del mondo per 2.3 milioni di profughi e figli di profughi di guerra, sono stati ridotti a un terreno di caccia di esseri umani che vengono uccisi in maniera indiscriminata. Oltre 12.000 tonnellate di bombe sono state sganciate nelle prime due settimane di guerra per incenerire almeno il 45% delle unità abitative nei territori dell’Autorità Nazionale Palestinese, secondo l’Ufficio Umanitario delle Nazioni Unite.

Coloro che non sono morti sotto le macerie delle proprie case e non sono stati uccisi dagli elicotteri, dai droni o dai carri armati mentre tentavano di fuggire da una regione all’altra, stanno ora morendo di malattie, di fame e di sete. Carl Skau, vicedirettore del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ha confermato: «La metà della popolazione muore di fame, nove su dieci non mangiano tutti i giorni». Richard Peeperkorn, rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato che “in soli 66 giorni il sistema sanitario è passato da 36 ospedali funzionanti a 11 parzialmente funzionanti”. Secondo un dettagliato rapporto della ong Euro-Med Human Rights Monitor, con sede in Europa, circa 25mila bambini di Gaza hanno perduto uno o entrambi i genitori. Il numero totale di bambini e di adolescenti uccisi potrebbe superare i 10mila, perchè non è stato possibile estrarre dalle macerie i corpi di tanti di loro. 640.000 persone non hanno più una casa.  Non una sola categoria di civili palestinesi è stata risparmiata da questo orribile destino: ospedalizzati, malati, vecchi, bambini, donne, insegnanti, medici, infermieri, soccorritori, artisti, poeti, giornalisti, cameramen. L’elenco delle vittime è in continua crescita. Quotidianamente contiamo le uccisioni e i ferimenti subiti da entrambe le parti, correndo il rischio che la perdita vera, per tutti noi lontani dal conflitto, sia tutt’altra: la perdita della nostra umanità.

Da quando l’esercito israeliano ha sottoposto i civili palestinesi di Gaza al più intenso bombardamento di sempre – distruggendo case, ospedali, asili, scuole, università, centri culturali, moschee, chiese, mercati,  pozzi, panetterie, punti di distribuzione alimentare delle Nazioni Unite, centrali elettriche, edifici pubblici, sedi governative, infrastrutture civili, provocando 18.800 morti e 8.000 dispersi sotto le macerie, 35.000 feriti, 1.9 milioni di sfollati ammassati nel settore meridionale della Striscia in rifugi di fortuna, senza acqua potabile né cibo, né servizi igienici-  amare la Palestina consiste nel lanciare allarmi su una catastrofe umanitaria senza precedenti.

Da quando, dopo alcuni giorni di tregua, è poi ripresa la preannunciata offensiva, essa non può più nemmeno essere raccontata agli occhi del mondo come la missione finalizzata ad ottenere il rilascio degli ostaggi: l’esercito israeliano si è ufficialmente assunto la responsabilità dell’uccisione involontaria di tre ostaggi israeliani avvenuta mentre si avvicinavano alle forze israeliane senza maglietta, sventolando una bandiera bianca e invocando aiuto in ebraico, dopo che erano stati liberati o sfuggiti ai carcerieri di Hamas. Nell’attacco, avvenuto per mano di un cecchino, alla parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di Gaza sono state uccise due donne e altri sette fedeli sono rimasti feriti mentre tentavano di soccorrere le persone bombardate dentro la chiesa. Nahida e sua figlia Samar, questi i nomi delle vittime cristiane, sono state colpite a sangue freddo mentre camminavano all’interno della parrocchia per recarsi nel convento.

Il corrispondente arabo di Al Jazeera Wael Dahdouh – che ha perso moglie, figlio, figlia e nipote in un precedente bombardamento israeliano – è rimasto ferito da un attacco di droni mentre stava documentando gli effetti di un precedente attacco aereo contro la scuola Farhana di Khan Younis dove i civili avevano invano cercato rifugio. Il cameraman Samer Abudaqa è stato lasciato morire dissanguato,  poiché le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze e ai soccorritori di raggiungerlo.

Non tutti gli ebrei sono sionisti

I drammatici dati ufficiali espressi da entrambe le parti coinvolte; i disperati allarmi lanciati da tutti gli organismi umanitari dell’ONU; la ferma denuncia da parte di ogni tipologia di associazioni pacifiste; l’aperta condanna dei manifestanti di tutto il mondo; la crescente preoccupazione delle associazioni religiose cristiane, musulmane ed ebraiche; i sofferti appelli di Papa Francesco e le infinite voci che denunciano come si stia consumando una crisi catastrofica, prodotta da una violenza senza limite né controllo, rivolta contro tutto e tutti, vengono messe a tacere. Si cerca di convincere la pubblica opinione che il sionismo israeliano sia una forma di nazionalismo apprezzata da tutto il popolo ebraico.

In realtà, non tutti gli ebrei sono sionisti e molti, moltissimi, non sono nazionalisti e ancor meno  israeliani. Gli ebrei in Palestina sono circa cinque milioni, ma la popolazione ebraica supera i venti milioni. E’ anche per questo che Israele non ha mai potuto essere la Nazione di tutti gli ebrei, tanto meno della maggioranza di coloro che hanno preferito vivere e vivono tuttora in Europa, in Russia, negli USA, in Latino-America, in India, in Australia e altrove.

Non solo: moltissimi di costoro non accetterebbero di andare a vivere nello stato di Israele. In base a quali motivazioni personali si dovrebbe andare a vivere in una regione piena di armi, muri e conflitti senza fine? Per aderire forse ad una idea di “israelizzazione”? Dal 7 ottobre sono stati circa 470.000 gli israeliani che hanno lasciato il Paese per trasferirsi in Canada, Australia, Regno Unito o Stati Uniti. La Germania nei primi due decenni di questo secolo ha visto un afflusso di circa 20.000 israeliani.

Il mondo descritto dall’ossessionante narrazione sionista, un mondo in cui i popoli del pianeta aspetterebbero solo l’occasione buona per scatenare nuovamente antisemitismo e persecuzione contro gli ebrei, non esiste più. Lo dimostra il fatto che la maggior parte degli ebrei, fuori da Israele, vive liberamente e, molto spesso, in prosperità materiale e spirituale. Lo stato di Israele si presenta come uno stato democratico a favore dei suoi cittadini ebrei, ma nella realtà, anche contro i suoi propri cittadini, si sta dimostrando una vera e propria dittatura militare.

E’ prima di tutto per questi motivi che amare Israele consiste nel denunciare lo Stato di Israele.

Perché da oggi Israele sarà per sempre il responsabile morale della ferocia dei suoi crimini e gli ebrei di tutto il mondo che soffriranno molto più degli altri, saranno proprio gli ebrei di Israele: non per via dell’antisemitismo, ma a causa dell’ignobile, ributtante e atroce crimine di genocidio che stanno perpetrando contro i palestinesi. Oltretutto Israele, con la sua insensata propaganda di guerra, si rivolge all’Occidente – cioè al contesto geopolitico nel quale si è prodotto l’Olocausto – attribuendo la minaccia di persecuzione e di sterminio ad un Oriente arabo e musulmano che in tutto il suo passato non ha mai perseguitato gli ebrei e non ha mai compiuto olocausti. Gli storici hanno dimostrato che è proprio nel mondo arabo e musulmano che è fiorito il meglio della cultura ebraica: in Spagna prima del 1492, nell’impero Ottomano, in Turchia, a Baghdad, a Damasco, in Marocco. La storia dice anche che gli arabi non sono mai stati antisemiti; in Oriente e in Nord Africa le comunità ebraiche sefardite hanno vissuto pacificamente con i musulmani per millenni, senza essere confinate in ghetti, senza essere perseguitate, senza essere espulse.

Il “modello israeliano” non è solo bellico, tecnologico e industriale, ma anche culturale, ideologico, mediatico e propagandistico. Ma il patriottismo, il coraggio, l’eroismo, la “purity of arms”, stemma e orgoglio dell’esercito israeliano, quando tradiscono i propri valori compiendo genocidi contro una popolazione civile vinta, oppressa e imprigionata, dimostrano inevitabilmente ed inesorabilmente il proprio punto debole e il proprio tallone di Achille.

La società israeliana, composta per sua natura da un melting pot di differenti etnie ebraiche scampate clandestinamente alla shoah o immigrate in tempi più recenti, è pervasa da fenomeni culturali, politici, religiosi e mediatici che supportano sia il casus belli di ogni operazione militare, giustificata da motivi di sicurezza contro attacchi terroristici o lancio di razzi, sia la sproporzionata efferatezza della reazione agli stessi. Il richiamo a dogmi di estremismo religioso, l’ipermilitarismo, il razzismo, la disumanizzazione del nemico, l’impunità dei crimini di guerra, l’eroicizzazione dei soldati e delle soldatesse, i privilegi destinati alle caste militari o alle classi sociali più estremiste – così come la persuasione mediatica e il controllo delle informazioni – sono linee guida della società israeliana.

In otto settimane di guerra Israele ha contato il più alto numero di propri morti e feriti che in 106 anni di presenza ebraica in Palestina.

La costante insistenza di Israele sul fatto che la sua guerra sia condotta contro Hamas, contro il “terrorismo”, contro il fondamentalismo islamico, potrebbe continuare a convincere solo coloro che sono ancora disposti a prendere per oro colato la versione israeliana degli eventi. Ma quando i corpi dei civili palestinesi, tra cui migliaia di bambini, hanno iniziato ad accumularsi negli obitori degli ospedali di Gaza e nelle strade, la narrazione ha cominciato a cambiare. I corpi polverizzati dei bambini palestinesi, di intere famiglie morte insieme, testimoniano la brutalità di Israele, il sostegno immorale dei suoi alleati e la disumanità di un ordine internazionale che premia l’assassino e ammonisce la vittima.

Nella società israeliana e nel resto del mondo chiunque ponga l’attenzione sulle durissime condizioni di vita imposte da Israele ai suoi stessi cittadini e cittadine, soldati e soldatesse, e chiunque analizzi la catastrofe che il sionismo ha provocato ai palestinesi, viene ostracizzato, ridotto al silenzio, definito antisemita o, se ebreo, un ebreo che odia sè stesso e gli altri ebrei.

Il disordine mentale dopo essere stato un soldato israeliano

Bisognerebbe iniziare a chiedersi chi veramente trae vantaggi dal sionismo, e chi invece ne subisce le conseguenze. Il sito web “Israel Today”, citando fonti vicine al dipartimento di salute mentale, riporta che tra i soldati aumenta la necessità di ricorrere a trattamenti psicologici dopo le missioni, con conseguente aumento dei casi di esonero da ulteriori impieghi sui campi di azione. Per le scene terribili alle quali hanno assistito o per i crimini che sono stati costretti a commettere durante le precedenti nove operazioni nella Striscia di Gaza, centinaia di soldati israeliani sono stati trasferiti a speciali “reparti di psicoterapia”.

Quella dell’aumento dell’uso di sostanze stupefacenti, dei casi ufficiali di suicidio e del numero di obiettori di coscienza arrestati, processati e incarcerati per essersi rifiutati di prestare servizio di leva o di essere richiamati come riservisti, è una realtà che tutti conoscono in Israele, ma le organizzazioni pacifiste, le Ong o i movimenti ebrei antisionisti non riescono a parlare senza essere accusati di tradimento, disfattismo e viltà.

Breaking the Silence, Courage to Refuse, Gush Shalom, Taayush, New Profile, Target 21, B’Tselem sono le più conosciute tra le organizzazioni dei cosiddetti “pacifisti radicali israeliani” accusate e condannate per aver pubblicato testimonianze dirette sulle esperienze e sulle tecniche utilizzate dai soldati per reprimere la resistenza palestinese, o manuali in cui veniva spiegato ai giovani israeliani come fare a sottrarsi dal servizio di leva obbligatorio.

Per tentare di cancellare i traumi delle esperienze belliche che li hanno devastati psicologicamente, distaccandosi il più possibile dal peso del proprio insopportabile passato e giungendo a scelte prolungate di tipo eremitico, appena terminato il periodo di leva, ogni anno decine e decine di migliaia di neo congedati e neo congedate scelgono di passare lunghi periodi di permanenza all’estero, in special modo in India, Thailandia e Nepal, formando vere e proprie piccole comunità di ex militari israeliani. Tra di loro vi è chi tenta di rimuovere dalla propria coscienza il trauma di essere stato un combattente sfruttato al servizio di una lugubre polizia politica. Quello che viene ufficialmente raccontato come un meritato periodo di riposo, o il vantaggio di un anno sabbatico, non tiene in nessun conto il proliferare di apposite agenzie investigative private specializzatesi nel rintracciare, per conto dei genitori, un gran numero di figli che, partiti con un budget di viaggio ricavato dalla liquidazione spettante al termine del servizio di leva, sono assenti da anni, non intendono più tornare a casa e non vogliono più dare notizie di sé ai famigliari e a una Patria pronta a riconoscerli come eroi ed eroine.

In ogni guerra, l’informazione viene utilizzata come arma. Fare affidamento esclusivamente sulle armi della narrazione israeliana significa essere ingannati, non solo riguardo ai crimini di guerra commessi dall’esercito di difesa israeliano, ma anche sulla natura della guerra stessa. Una delle campagne più efficaci proposte dalle organizzazioni pacifiste, ha proposto alla visione pubblica le foto personali dei soldati scattate nel corso del proprio servizio. Gli scambi di commenti ai ricordi e la rilettura delle testimonianze ha consentito di avviare un percorso di presa di coscienza molto difficile da contrastare da parte del militarismo culturale e della cultura della guerra.

L’esercito israeliano, che chiama sè stesso Israeli Defence Force (Forza di Difesa di Israele), è considerato uno dei più armati e tecnologicamente avanzati al mondo ed è composto da circa 200.000 militari, perlopiù di leva. La chiamata alle armi avviene al compimento del 18esimo anno di età, dura 36 mesi per gli uomini, 24 mesi per le donne e in caso di necessità può mobilitare circa 500.000 riservisti che continuano a prestare servizio per un mese all’anno fino al compimento di 42 anni di età.

L’esercito è il pilastro dell’identità sionista ed è il rimosso di Israele

L’impatto con la realtà israeliana è sconcertante per chiunque, ma per i pellegrini delle tre religioni monoteiste può risultare addirittura sconvolgente.

Nel Hadassah Ein Kerem Hospital opera un dipartimento specializzato di psichiatria per stranieri che presentano i sintomi della cosiddetta “Sindrome di Gerusalemme”. Visitare Gerusalemme può far impazzire chi, posto di fronte a un bivio tra spiritualità, misticismo, religiosità, mitologia, archeologia, arte da un lato, e recinzioni, check-point, torri di controllo, muri, basi militari dall’altro, possa sentirsi afflitto da ciò che, in termini specifici, viene descritta come una “infermità psichica dissociativa isterica”. Le sue cause e i suoi sintomi si riflettono nell’isterismo psichico di una sindrome che ammorba tutto Israele e che in Gerusalemme raggiunge un picco di incidenza assoluta.

L’ampio piazzale di 10mila metri quadrati dinnanzi al Muro del Pianto, l’attrazione preferita dai turisti che viaggiano per il mondo, dai pellegrini e da molti capi di Stato stranieri che visitano il Muro come forma di rispetto per il significato che rappresenta per Israele e per tutto il mondo ebraico, non ha nemmeno sessant’anni. Fino al 1967 quello spazio era occupato da un insieme di edifici storici, piccoli e grandi, posti ai piedi del Muro Occidentale dell’antico tempio di Gerusalemme. Il quartiere fu fondato 800 anni prima dagli Ayyubidi di Ṣalāḥ al-Dīn per accogliere i pellegrini musulmani provenienti dal Nord Africa. Venne completamente raso al suolo nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1967 dai mezzi dell’esercito israeliano, che aveva appena preso il controllo dei quartieri orientali della Città Santa, alla fine della vittoriosa Guerra dei Sei Giorni.

I vittoriosi generali dell’esercito israeliano che decisero senza alcuna autorizzazione ufficiale di demolire il medioevale quartiere maghrebino Hārat al-Maghāriba di Gerusalemme sfollando i suoi mille abitanti, presumevano che la fascinazione degli ebrei per il muro avrebbe impedito di notare le macerie. Le moltitudini che affluirono nella neonata spianata del muro del pianto, nemmeno le videro: i cumuli di macerie erano stati tutti rimossi grazie all’impiego di modelli speciali di bulldozer che avevano risparmiato solamente qualche albero.

Nella mitologia italica e romana il più antico degli Dei è Giano, concepito e raffigurato come bifronte. Le porte del suo tempio, nel Foro Romano, rimanevano aperte in tempo di guerra per aspettare il ritorno dei cittadini andati a combattere e si chiudeva quando, finite le operazioni militari, essi tornavano in città. Nella mitologia sionista il più antico dei bulldozer militari è il Caterpillar D9R. Si presenta come un trattore cingolato corazzato bifronte, sormontato da una cabina di guida blindata, dove si può azionare contemporaneamente la pala anteriore o i vomeri posteriori. Da quando ha iniziato ad essere utilizzato con successo dall’esercito nel cuore di Gerusalemme nel giugno 1967, viene ancora usato dai Combat Engineering Corps per radere al suolo case, demolire edifici, sfondare recinzioni, sradicare uliveti, passare due volte sul corpo della manifestante pacifista statunitense Rachel Corrie.

E’ soprannominato “דובי” (orsacchiotto) in Israele.

Viene messo in azione con altrettanta efficacia anche quando si ordina di mettere in atto la “procedura della pentola a pressione” o “intervento D9”, finalizzato alla cattura dei ricercati per terrorismo. Il bulldozer si avvicina alla casa dove si rifugia il ricercato per terrorismo da arrestare e con il rombo del motore lo si invita ad uscire. Se la pressione psicologica non da’ esito, il bulldozer scuote la casa. Se ancora non basta, la casa viene totalmente demolita seppellendone vivi gli eventuali occupanti. L’Hasbara israeliana, הסְבָּרָה, come eufemismo per propaganda, e come sinonimo di propaganda militare, è la prima a sfilare al corteo funebre dell’ideologia sionista.

Per le esequie in corso della tirannia militare israeliana, non fiori recisi, ma talee di rami di ulivo, preghiere per la pace e opere di bene.

NOTE

https://www.terrasanta.net/2023/06/il-quartiere-maghrebino-di-gerusalemme-ricostruito-in-rete/ https://comune-info.net/una-gaza-planetaria/

https://www.terrasanta.net/2023/06/il-quartiere-maghrebino-di-gerusalemme-ricostruito-in-rete/ https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/12/10/onu-meta-della-popolazione-di-gaza-sta-morendo-di-fame_ https://pagineesteri.it/2023/12/13/medioriente/gaza-ong-25mila-bambini-palestinesi-sono-rimasti-orfani-

https://tg.la7.it/esteri/raid-di-israele-a-khan-younis-ucciso-un-operatore-di-al-jazeera-e-ferito-un-giornalista-15-

12-2023-

https://www.rainews.it/video/2023/12/il-patriarca-latino-di-gerusalemme-i-fatti-nella-chiesa-cattolica-di-gazasono-incontrovertibili-adde45c0-8b8f-40e3-9c56-519c6b109da6.html

rainews.it/maratona/2023/12/lesercito-israeliano-uccide-tre-ostaggi-identificati-per-errore-come-minaccia-laguerra-di-gaza-giorno-70-30dbd095-4ff6-49b5-b1cd-939c1cdd5655.html

https://www.rainews.it/video/2023/12/chiesa-della-sacra-famiglia-le-due-donne-uccise-a-sangue-freddomentre-andavano-in-bagno-1300147f-9911-41bc-8aba-39e1273078ca.html

https://www.invictapalestina.org/archives/50011 https://en.wikipedia.org/wiki/Caterpillar_D9#References

In copertina: Foto originale tratta dal docufilm “De Gaza” di Mirko Faienza/Franco Ferioli

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Franco Ferioli

Ai lettori di Ferraraitalia va subito detto che mi chiamo, mi chiamano e rispondo in vari modi selezionabili o interscambiabili a piacimento o per necessità: Franco Ferioli Mirandola. In virtù ad una vecchia pratica anagrafica in uso negli anni Sessanta, ho altri due nomi in più e in forza ad una usanza della mia terra ho in più anche un nomignolo e un soprannome. Ma tranquilli: anche in questi casi sono sempre io con qualche io in più: Enk Frenki Franco Paolo Duilio Ferioli Mirandola. Ecco fatto, mi sono presentato. Ciao a tutti, questo sono io, quindi quanti io ci sono in me? tanti quanti i mondi dell’autore che trova spazio in questo spazio? Se nelle ultime tre righe dovessi descrivere come mi sento a essere quello che sono quando vivo, viaggio, scrivo o leggo…direi così, sempre senza smettere di esagerare: “Io sono questo eterno assente da sé stesso che procede sempre accanto al suo proprio cammino…e che reclama il diritto all’orgogliosa esaltazione di sé stesso”.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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