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Lentamente ritornando alla ‘normalità’ dopo incidenti e malattie rifletto al futuro (politico) che mi/ci aspetta e dall’inconscio emerge una vecchia canzone che qualcuno ha regalato a mia madre: Georgia on my mind.

La ricerco ed ecco le notizie di base legate al cantante che la portò al successo mondiale negli anni Sessanta del Novecento, Ray Charles [Qui]:

Georgia on my mind (La Georgia nei miei pensieri) è la traccia numero due del quarto album di Ray Charles, The Genius Hits The Road (concept album ispirato a diversi luoghi degli Stati Uniti), pubblicato nel settembre del 1960. Il brano è stato scritto nel 1930 da Stuart Gorrell (testo) e Hoagy Carmichael (musica). È la canzone ufficiale dello Stato della Georgia, negli Stati Uniti.

Ma quel nome e quella canzone sono ormai legati alla futura Presidente del Consiglio a cui dovrebbe essere applicato il senso dell’ultimo verso:
“Ho detto solo una vecchia canzone
tiene la Georgia nei miei pensieri”

Certo qual è la vecchia canzone? Quella che la distribuzione degli incarichi nel nuovo governo possa ripetere (non so se in peggio o in meglio) l’andazzo degli ultimi anni tra politica ed esigenze espresse del Paese.

E il su e il giù nel favore popolare di personaggi francamente mediocri (e non parlo solo della parte a cui non va la mia convinzione politica, ma anche di quella a cui è andato – più per un dovere che per una partecipazione sentita – il mio voto).

L’età, quella che per una perversione medica è diventato un abborrimento linguistico e morale, la fragilità, mi induce a ricordare non solo figure politiche estremamente carismatiche fino a quel Berlusconi che ora è un pupazzo mediatico di cui si ricordano solo dentiere, pseudo mogli e cagnolini bianchi, ma che un tempo ebbe il suo peso politico di straordinaria importanza.

E ora la Georgia/Giorgia che farà? Ripeterà gli stessi modelli da lei combattuti appoggiandosi alle sue originali convinzioni tra Vox e Orbàn? Oppure accoglierà in forma prudente i suggerimenti che gli arrivano dall’Europa e dal mondo?

Al di là della deprecabile uscita della ministra francese, a cui Mattarella da par suo ha tappato la bocca, mi turba la possibilità fattasi quasi certezza nei sondaggi e commenti di oggi di affidare a un ‘tecnico’ il ministero della Cultura.

Se pensiamo alla ‘tecnicità’ della cultura il campo diventa un’immensa landa di offerte, proposte e soluzioni diversissime. Si pensi solo al ruolo del Museo o alla conservazione e uso delle biblioteche, degli archivi, di tutto quell’immenso patrimonio che fa l’unicità dell’Italia e della sua cultura.

Ecco allora che il ministro non può essere che un politico, che affiderà a seconda della competenza a tecnici la risoluzione dei problemi o le proposte da attuare. Non lasciamoci ingannare dal duraturo o effimero successo di una ricerca!

E nella mia ‘Ferara’ è capitato che si sia svolto di recente un convegno su Ariosto, autore a cui ho dedicato parte del mio lavoro scientifico. Sembra però che negli ambienti universitari – spesso causa di molti mali o scelte francamente non condivisibili – non sia stato giudicato abile a tenere una conferenza o una presidenza di seduta. Helas!

Non vorrei che un tecnico al ministero della Cultura si organizzasse secondo la tecnica universitaria (e parlo per cognizione di causa…). Di ‘tecnici’ ne abbiamo a iosa e alcuni di gran nome; ma io credo che qui si potrebbe veramente rafforzare e giustificare il ruolo dei politici finalmente in rapporto con le esigenze del suo ‘popolo’.

 

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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