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Un giardino nascosto, che fa venire molta curiosità e dal quale emana un’atmosfera sospesa di mistero, stupore, inquietudine. È questa  la sensazione emozionante che mi ha lasciato la non-visita ai Giardini del Casoncello, sull’Appennino bolognese, nella via Scascoli di Loiano. Partita per vedere quello che credevo un luogo predisposto per l’accesso del pubblico, mi sono trovata fin da subito alle prese con la difficoltà a localizzarlo. Il navigatore di Google mi annunciava che ero arrivata a destinazione, ma intorno non vedevo traccia di ingresso ai giardini. Una volta parcheggiata faticosamente la macchina su un piccolo spiazzo in salita, l’unica indicazione che (a fatica) sono riuscita a scovare è stato un cartello semi-nascosto dai rami con sopra una scritta in caratteri leziosi: “Giardini del Casoncello”. Poco oltre ho visto un cancello chiuso da una catenella con lucchetto e privo di qualunque altra indicazione.

A indurmi a restare ancora e a cercare la mia meta su questi tornanti appenninici è stato il rumore di voci femminili, provenienti da dietro un boschetto di lunghe e robuste canne di bambù. Avvicinandomi a quest’area ho scorto una donna vestita con un abito a fiori di foggia antica e più che mai fiabesca che, insieme a un’altra donna, era intenta a riporre arbusti sopra a una carriola.


Ho chiesto: “Sono questi i Giardini del Casoncello?”. E la signora dal lungo vestito in stile Holly Hobbie ha risposto: “Il giardino è aperto solo su prenotazione nei fine settimana”. Essendo domenica, e quindi effettivamente un giorno del fine-settimana, ho domandato: “Non sapevo della prenotazione, non è possibile prenotare o vederlo ora?”. “Finché ci sono queste regole limitanti – ha spiegato la signora – i Giardini del Casoncello non sono aperti al pubblico, perché sono un territorio di libertà e io ho scelto di aspettare il momento in cui, di nuovo, si potrà incontrarci senza costrizioni”.

La risposta mi lascia interdetta. Tutto il viaggio è stato quindi vano? Fortunatamente la fata-signora accenna almeno alla possibilità di avere, volendo, del materiale informativo. Dopo aver fatto una sessantina di chilometri per arrivare fin qui, accetto volentieri almeno questa possibilità di conoscenza!

“Aspettate, adesso arriviamo fuori”, spiega. E mentre sto sbirciando da un altro cancello, che nel frattempo ho scoperto più avanti e da cui penso possano uscire le due donne, sento arrivare la fata-signora da dietro le mie spalle. Con mia sorpresa invita a seguirla dalla parte opposta della strada, dove avevo visto un edificio con l’intonaco di color rosso mattone abbastanza scrostato e che avevo ritenuto in abbandono.

La signora fa strada a me e al mio compagno di ventura, oltrepassando delle siepi, dietro le quali compare un sentiero lastricato di pietre. In fondo, su per tre gradini formati da vecchi mattoni in cotto, c’è un piccolo porticato: un grosso gatto vigila sopra a un ceppo d’albero, accanto c’è un tavolo in legno con sopra dei grandi gigli bianchi a pois arancioni e dal soffitto penzolano tante belle ceste di vimini.

Entrando nell’edificio, la signora invita a seguirla, dicendo “Venite pure”. Mi guardo intorno e penso che non ha l’aria di essere il centro di accoglienza né una biglietteria, ma una casa piccola e graziosa, piena di mobili di vecchia foggia: il lampadario di vetro e ottone, la credenza di legno, una zuppiera, quadri di varie dimensioni appesi e libri in giro.


Sembra  di essere dentro una di quelle casette che vedi illustrate nei libri di favole. La signora nel frattempo entra in una porticina sulla sinistra che porta nella sua cucina, ed esce offrendo una ciotola con dentro una composta arancione, mentre dice: “Prendete, stavo proprio facendo della marmellata”. Vengo dotata di un cucchiaino e la assaggio, sentendomi non so più se come Gretel con Hänsel o Alice nel Paese delle Meraviglie. “È fatta coi rusticani”, spiega la signora. E io, mentre assaporo il gusto asprigno e dolce della confettura, mi domando se fra poco, chissà, finirò per diventare piccola piccola, ritrovandomi vicino alle zampe del gattone, o grande grande fino a toccare il soffitto con la testa.

Dall’ingresso-soggiorno la signora si sposta in un’altra stanza e io la seguo senza avere alcuna apparente trasformazione magica. Mi ritrovo, invece, in uno studiolo, pieno zeppo di libri.


Sbircio i titoli dei volumi – quasi tutti in tema di giardinaggio – mentre la signora, che sta cercando tra i suoi faldoni di carte, a un certo punto sospira soddisfatta: “Ecco ho trovato questo un bel pieghevole illustrato con la mappa del giardino”.


Lo porge e spiega: “Questi sono i disegni del giardino fatti dal mio sposo, che è un illustratore di fumetti. Ha disegnato storie di Martin Mystère e poi di Tex”. Le illustrazioni, infatti, sono molto belle. Osservo il cartoncino con un disegno pieno di fiori e di verde, in mezzo ai quali fa capolino un’immagine femminile. È evidentemente un ritratto della signora stessa, rappresentata come una fanciulla in abiti floreali dalle tinte pastello, di fattura simile a quello che indossa. La scena ha il tratto pulito e preciso di una bella tavola di fumetto.

Mi viene da pensare che forse la situazione in cui sono capitata non vada ricondotta a un’antica fiaba, ma piuttosto a una storia a fumetti, dove magari vengono sottoposti a incantesimi solo i potenziali aggressori delle evoluzioni naturali del parco e dei suoi verdeggianti dintorni. Il racconto del modo in cui questi giardini sono nati è in effetti pieno di intraprendenza e avventura, ambientato tra le liane spinose di un campo lasciato incolto per decenni e piano piano trasformato in un nuovo ambiente naturale, non più selvaggio ma nemmeno agricolo come era in origine.

I Giardini del Casoncello – che prendono il nome da un piccolo corso d’acqua che scorre accanto a quest’ettaro di terra – sono infatti spazi dove la cura delle piante è finalizzata in parte al consumo e in parte alla creazione estetica. “Una volta dipingevo quadri a tema floreale – racconta la padrona di casa, che si chiama Gabriella Buccioli – poi il mio pennello e i miei colori sono diventati quelli della natura. I tappeti di fiori e i boschetti del giardino, che hanno un aspetto molto naturale e quasi selvaggio, sono il risultato di un attento lavorio di pulitura a cui ha fatto seguito l’innesto di piante autoctone che ho raggruppato per creare composizioni floreali e particolari effetti cromatici. Si tratta per la maggior parte di piante autoctone, che già si trovavano lì e che io ho aiutato a crescere e ad espandersi (senza comunque fare mai uso di prodotti chimici) o che sono andata a raccogliere in qualche radura nelle vicinanze. In qualche caso ci sono anche inserimenti di piante esterne, donate da amici e da me particolarmente amate, come i mughetti e i non-ti-scordar-di-me, che hanno trovato qui un ambiente naturalmente adatto alle loro esigenze e che si riallacciano ai miei ricordi d’infanzia, quando già amavo trascorrere ore all’aperto, in mezzo al verde”.

Il giardino è quindi lo specchio della tenacia gentile di questa esile e flessuosa signora, affiancata dal marito e compagno nella realizzazione di un sogno che poteva sembrare impossibile. Per il momento si può solo sbirciarlo o conoscerlo attraverso le pagine del libro dove Gabriella racconta la sua creazione (“I giardini venuti dal vento”, edizioni Pendragon, 2003).
Mentre ci apprestiamo ad andarcene, salutando Gabriella e il grosso gatto di nome Giambi (che sta per Giamburrasca), lei dice: “Aspettate un momento”. Entra nella sua abitazione e ne riesce con in mano un barattolo della sua marmellata, della quale ci fa dono.

Gabriella mentre applica un’etichetta sul barattolo di marmellata da lei prodotta

Tornata a casa, apro il volume dedicato alla storia del giardino. Sfogliandolo spero che presto anche i suoi cancelli possano riaprirsi e mostrarmi le mutevoli sfumature della natura che vi è racchiusa, superando le barriere create per tener fuori i cinghiali che – ha spiegato Gabriella – “sono ghiotti di bulbi di iris e di ciclamini” e i “caprioli avidi di tutto, dai ramoscelli più teneri ai cavoli e alla bietola, senza dimenticare le belle infiorescenze, come la lunaria”.

La marmellata di rusticani fatta da Gabriella con etichetta disegnata da Lucio Filippucci

E questa marmellata, chissà, se dentro ha anche solo un pizzico di quella tenacia e determinazione che ha reso possibile alla sua artefice la trasformazione di un luogo selvaggio in un giardino incantato, potrebbe avere la magica dote di esaudire anche i miei più creativi desideri…

Per info: Maria Gabriella Buccioli, Fondazione dei Giardini del Casoncello, sito web giardinidelcasoncello.net, tel. 051 928100 o 928281.
Per sostenere i Giardini del Casoncello è possibile destinare alla sua Fondazione il 5×1000 nel momento in cui si fa la dichiarazione dei redditi indicando il Codice fiscale 91342250379

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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