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L’attrazione per questa copertina è immediata, non fosse altro che per il disegno e i colori tenui che mi ricordano le favole e un ambiente delicato da bambini sereni. L’autore poi, è uno dei miei preferiti, con il suo “Neve”, parte della bellissima trilogia dei colori, che mi ha fatto a lungo riposare e sognare durante i freddi pomeriggi invernali.
Da sempre Maxence Femine rappresenta per me l’essenza della Francia delicata, della sua poesia, del suo romanticismo, della sua voglia e capacità di sognare ad occhi aperti e di realizzare anche tanti di quei sogni lontani. Questo libricino è un’autentica fiaba, ricorda delle belle e croccanti crêpes spolverate di zucchero alla vaniglia, profuma di ‘marshmallows’, di torte alla fragola, di pasticcini e cioccolatini del meraviglioso Ladurée, quelli esposti nelle scintillanti e grigio-rosa-azzurre vetrine dell’elegante e chic Saint Germain des Près, di colorati, morbidi e tondi ‘macarons’ golosamente farciti da attenti e abili pasticcieri dall’alto cappello bianco. Di zucchero filato.

Dalla copertina che ci introduce Lili con i suoi capelli neri elettrizzati e il suo vestito bianco candido (ancora il colore della neve…), ci troviamo subito immersi in una bella fiaba per bambini e adulti, accompagnati da illustrazioni di giovani talenti realizzate per un concorso organizzato dall’editore Lafon, che ha stampato il volume in Francia. Partiamo da Lili, dicevamo, la piccola mercante di sogni dal curioso tavolino colmo di scatoline che racchiudono i sogni che vende per strada, per conoscere (e adorare) subito Malo che, il 2 Novembre, giorno del suo undicesimo compleanno, sparisce nella Senna, coinvolto in un incidente del taxi che lo accompagnava alla festa per lui organizzata dai genitori in un grande e probabilmente lussuoso albergo parigino. Attraverso un misterioso e curioso oblò il bambino si ritrova, improvvisamente, in un ambiente grigio, incolore, un po’ nebbioso, il Regno delle Ombre, solo, senza rumori, senza altri esseri umani intorno a lui, attorniato da personaggi che si riveleranno strani, ombre e spettri spesso poco gentili. In questo mondo che ricorda quello di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, Malo incontra un albero e un gatto parlanti, Arthur e Mercator, e, soprattutto, Lili, occhi color dell’oro, vestito bianchissimo, collant viola e scarpe verdi, che assomiglia molto alla sua cara amica Clarisse. Lili è l’unico personaggio colorato che Malo incontra, gli altri hanno tutti le tonalità del bianco e del nero. Lili ha con sé un tavolino ripiegabile e tantissime scatoline dai vari colori che contengono ciascuna un sogno. L’antagonista è lo spettro Dom Perlet, brutto e cattivo, come in ogni tradizione di fiaba che si rispetti, metà stregone e metà alchimista, proprietario di un grosso gatto nero e che tiene mano il destino della piccola Lili. La obbliga, infatti, a vendere i sogni (alla centesima vendita la bambina sarà libera) e maledice Malo, colpevole di aver pagato un soldo in meno per una di quelle magiche scatoline. Il bambino potrebbe anch’esso essere trasformato in uno spettro se entro l’alba non ripagasse il debito con gli interessi. Debito che diventa subito di dodici bruzoni (specie di dobloni). L’avventura consisterà nel cercare di vendere le scatole dei sogni, catturati da Lili con una retina per farfalle, prima al Clown Bianco, poi al Mago Septimius, al pittore Otto, al Barbone celeste.
Ci sentiamo un po’ su una giostra variopinta e giochiamo insieme con Lili e Malo vero il finale. Leggeri e felici ci arriveremo insieme a loro, sorridendo, quasi volando.
Maxence Fermine, “La piccola mercante di sogni”, Bompiani, 2013, 206 p.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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