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Guerra dichiarata alla street art. O no? Da sempre murales, graffiti e scritte sui muri attraggono l’attenzione, gridano slogan, indispongono o colpiscono per l’efficacia delle parole, per la forza di segni e colori. Così uno street artist come Banksy ha alle costole la polizia di New York, ma le sue opere fuorilegge arrivano a sfiorare quotazioni da quasi due milioni di dollari. Più vicino a noi, a Bologna, due mesi fa la polizia municipale del sindaco Virginio Merola denuncia la street artist Alicè per il reato di “imbrattamento reiterato”. L’artista, all’anagrafe Alice Pasquini, ha infatti ammesso di aver disegnato ragazzi e bambini un po’ sognanti a una fermata della Bolognina, ma anche in spazi del centro storico, come via Zamboni, via Centotrecento, via del Pratello e via Mascarella. Da questo mese poi, sempre a Bologna, parte l’azione della squadra anti-graffiti. Il Comune stanzia 500mila euro e coinvolge tre cooperative sociali della città che, per tutto il 2014, andranno prima a ripulire i muri, poi a ritinteggiarli applicando una vernice protettiva per facilitare eventuali, prossime rimozioni.

Ferrara, invece, sceglie una terza via: non denuncia e non finanzia squadre di cancellatori, ma punta al dialogo per sostenere questa forma di espressione. L’appoggio arriva niente meno che dall’amministrazione comunale, assessorato alle politiche giovanili. In cambio del supporto istituzionale, agli appassionati di spray e scritte viene chiesto di presentare uno schizzo del disegno, di limitarsi a colorare edifici autorizzati, che il Comune ha in gestione, fuori dal centro storico e soprattutto mai su muri di palazzi o monumenti storici. Succede dal 2007 con un progetto che si chiama “Graffi a Fe”.

Chi avesse voglia di vedere quello che il gruppo di ragazzi realizza chiamando in aiuto anche street artist di altre città italiane può mettere scarpe comode o, ancora meglio, salire in sella a una bici. Il tour dell’arte di strada scorre ai margini di quella del Rinascimento estense. Le opere più recenti sono quelle del Palapalestre, il palazzetto sportivo di via Tumiati, angolo con Porta Catena. Lì un anno fa – racconta il referente di Area Giovani del Comune, Mario Zappaterra – si realizza il lavoro in collaborazione tra amministrazione cittadina e sezione ferrarese del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano. L’obiettivo: dare vivacità alla zona, abbastanza anonima, e al palazzetto. Tremila euro di investimento tra impalcature, strutture, autogru e vernici e un’indicazione di massima, che è quella di mantenere la creatività in ambito sportivo. Il risultato? Quattro pareti colorate che vedono da un lato due giganteschi pugili e un arbitro, da quello opposto un giocatore di basket, sul retro una sorta di striscia a tema sentimentale, e, sulla facciata d’ingresso, palloni con guantoni, spada da scherma e segni colorati.

Con in tasca un tesserino di autorizzazione del Comune, i graffitari ferraresi nella primavera del 2012 hanno disegnato giganteschi bambini sulle pareti in cemento della scuola elementare Don Milani, via Pacinotti 48. Nell’autunno 2011 il festival “Internazionale” include nel suo programma il loro intervento artistico nell’area del parcheggio di Rampari di San Paolo. Sul grande muro in cemento senza finestre si materializza il personaggio di Doc, lo scienziato visionario protagonista del film “Ritorno al futuro”. Tra gli altri interventi autorizzati: quello del sottopasso di via Verga; il murales della scuola Itis, via Pontegradella 25; la sede di Area Giovani, via Labriola 11; quella del centro di partecipazione giovanile L’Urlo nel quartiere di Barco, via Bentivoglio 215. Nuovi disegni, poi, ogni tanto si sovrappongono e coprono o modificano quelli precedenti in una continua evoluzione.

Oltre a castello, duomo e pampato, Ferrara è anche questo. Muri che si trasformano in un panorama inaspettato per farci guardare il mondo con altri occhi.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore del mantovano volante” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” dedicato all’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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