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Natale senza linea

Natale senza linea

E’ quasi Natale. Mi preparo ad affrontarlo con la usuale disperazione, sperando che passi in fretta. Purtroppo le sue ombre sfarzose si allungano anche sui giorni feriali che vanno da qui all’epifania. Per abbruttirmi assieme al resto del genere umano non trovo di meglio che passare del tempo inutile su internet.

Nel tentativo di reperire sul web le foto hot di un’attrice, vengo dirottato su pornhub. Ovviamente, lei c’è. (Se foste famosi, ci sareste anche voi). Ovviamente, si tratta di una sosia. Ci resto qualche minuto. Chiudo, cancello la cronologia e apro facebook.

La prima cosa che mi arriva è un annuncio che reclamizza un sistema innovativo per aumentare le dimensioni del pene. Subito dopo arrivano delle notifiche di salvini, le cazzate che dice e le schifezze che mangia in giro per l’Italia. Siccome su salvini non ci sono mai andato, l’algoritmo che mi profila evidentemente associa il fatto che sono andato su pornhub al fatto che potrei essere un fan di salvini, e quindi aristotelicamente ho il pisello piccolo. Lo stereotipo algoritmico, che produce una caratteristica probabile dei fan di salvini, mi rassicura. Per sillogismo infatti deduco che, non essendo un fan di salvini, non ce l’ho piccolo, e ciò mi regala uno strano sollievo. L’ algoritmo peraltro è ancora più stereotipato di quanto appaia a prima vista, dal momento che parte dal presupposto che se cerco le foto hot di un’attrice, io debba per forza avere un pene.

Per distrarmi – come se prima fossi stato concentrato – cerco su google dove comprare un marsupio per i miei chihuahua. Nel giro di alcuni minuti il mio profilo è infestato di notifiche di annunci di marsupi per chihuahua, perché i siti per cani sono molto più aggressivi di pornhub e salvini. Nel frattempo continuo a ricevere le proposte per il pisello e le notifiche di cosa ingozza salvini.

Mi guardo la pancetta, ed è prima del pranzo di Natale. Mi persuado che mi serva un po’ di ginnastica. Non andavo in palestra nemmeno prima del lockdown, ma il lockdown ha fatto chiudere le palestre, per cui quelli che campavano con le palestre hanno creato degli annunci con cui ti dicono “non ti serve la palestra per dimagrire e farti i muscoli, bastano 15 minuti al giorno con la nostra app”. Anyway: provo a cercare applicazioni free per fare esercizi in casa. Ne scarico una. Nel frattempo, le altre tre cui ho chiesto una prima informazione mi tempestano di avvisi: “non hai terminato la tua presentazione!”, “forse ti sei dimenticato l’ultimo passaggio!”, “forse non hai capito che hai il 70% di sconto se aderisci entro oggi! Non essere timido!”. Non ho dimenticato niente e non sono timido, stavo solo cercando di fare ginnastica gratis. Appena inizio, mi accorgo che è una trappola. Ogni pagina contiene un annuncio pubblicitario che non posso saltare. Inoltre i cinquanta movimenti che mi danno gratis durano una settimana, poi mi dovrei abbonare, pagando una quota che corrisponde alla tariffa della palestra, ma senza attrezzi.

Passo ad altro. Qualche giorno fa ricordo che un amico mi ha parlato in maniera entusiastica del tai chi.  Prima che io faccia qualunque ricerca web sul tai chi, sullo smartphone mi arriva la notifica di una proposta di primo incontro gratuito per la palestra di tai chi della mia città. Questa è l’intelligenza, artificiale o no. Avere la capacità di entrare nella mia testa prima che io stesso sappia cosa ho per la testa. Una di quelle cose che solo a pensarla avverto una vertigine. Una vertigine di ammirazione, l’ammirazione che provo di fronte ad una combinazione magica: l’ossessione calculatoria applicata ai desideri commerciali miei e dell’umanità dispiega effetti che sconfinano nel prodigio. La depressione subentra subito dopo: sono parte di quell’esperimento magico, nel ruolo della vittima. Alexa o chi per lei mi conosce meglio di qualunque amico. Se non volete sbagliare regalo, chiedete a lei.

Lascio perdere anche il tai chi. Mi sono sempre vantato di non avere dipendenze. Di essere io a controllare le cose, non le cose a controllare me. E’ così con il fumo (mai più di cinque sigarette al giorno), con il vino (mai più di tre calici a pasto), con il lavoro (mai di domenica), con lo xanax (mai più di trenta gocce), con il sesso (sono tirchio). Poi però la vigilia di Natale arriva una perturbazione che fa cadere un ripetitore e rimango senza internet. Niente linea, tutto bloccato. Disconnesso. Meglio, penso di primo acchito. Così mi evito tutti gli auguri precotti, a centinaia, in arrivo da gente che non mi saluta per strada, o peggio quando mi vede cambia strada. Eh. Però senza linea non posso rifugiarmi nel telefono ogni volta che una cena di magro della vigilia, o un pranzo di grasso di natale, o un tè di santo stefano, mi gettano dentro pozze di disagio insopportabile.

Perchè io diventi più merda di quanto già non sia durante una festività, ce ne vuole. Ma ci riesco. E quindi divento una merda inavvicinabile. Per astinenza da google. Per astinenza da wikipedia. Ma anche per astinenza da facebook, che dichiaro pubblicamente, con ridicolo snobismo, di schifare. Mi manca frequentare quella piazza per leggere le cazzate, ma soprattutto mi manca dire le mie. Polemizzare sul nulla con persone che non conosco, con le quali penso di non avere niente in comune e con le quali invece ho qualcosa in comune: un problema di gestione della rabbia.

Per razionalizzare, mi metto a pensare a quanto tempo passo su facebook in una giornata, e invece di razionalizzare mi incazzo ancora di più, per la strage di tempo consumato dentro questo cestino della spazzatura. Il libro delle facce è esattamente il posto in cui puoi lasciarti andare agli istinti più bassi perché non ci metti la faccia. Sembra una contraddizione, in realtà è il modo in cui funziona. E chi lo ha inventato è un genio. Del male, ma è un genio. Si merita tutti i soldi che guadagna, come un grande narcotrafficante, perché spaccia droga ma la sua è legale, ed io sono uno dei suoi clienti. Perché poi, pensi anche che sia gratis. Certo, iscriversi non costa niente, lo possono fare tutti, ma poi entri in uno sconfinato mare di anonimato. Entri in un mare nel quale il tuo disperato tentativo di ottenere attenzione trova una plateale conferma: non interessi a nessuno. Sei dentro una minuscola scialuppa, un naufrago che agita le braccia nell’oceano chiedendo di essere visto. Anche se paghi, resti invisibile. E se riesci a guadagnarti uno spazio di visibilità, nel tentativo di mantenerlo trasformi la tua vita in un inferno. Ci sarebbe un lato positivo nell’evoluzione della rete: negli anni la connessione è diventata superveloce. Ti serve a saltare le pubblicità o a rimanerne vittima, migliaia di migliaia di secondi che diventano minuti, ore, anni.

Intanto il giorno di Natale passa senza connessione. Proprio mentre finisco di metabolizzare le scorie alimentari del giorno: mentre, in un anfratto della mente, si fa strada la possibilità di una disintossicazione: proprio mentre getto un’occhiata a quel libro sul comodino, a mezzanotte torna la linea. Lo capisco dal primo annuncio che mi arriva sul telefono: erezione marmorea e duratura, bastano poche gocce.

 

cover photo su licenza creativecommons

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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