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di Maurizio Andreotti

Abbiamo tenuto gli occhi puntati sui fiumi durante tutto l’inverno. Le alluvioni ci fanno ancora paura.
L’acqua, che un tempo invadeva la nostra città e che ancora oggi ogni tanto si riprende le nostre terre, è un elemento che continuamente riaffiora nella nostra storia. Tanti sono attorno a noi i segni che lo ricordano: gli argini, i nomi delle vie come viale Po, viale Volano, porta Reno o i nomi dei paesi come Porotto, Borgo Scoline, Fondoreno.

padimetro
Il padimetro riportato su una colonna in marmo del palazzo municipale, all’angolo con piazza Savonarola (foto FeDetails)

Poi c’è anche un altro manufatto, che è sotto gli occhi di tutti proprio nel centro di Ferrara, ma al quale forse pochi prestano attenzione, pur passandoci davanti ogni giorno. E’ lì a testimoniare che quello tra l’uomo e l’acqua è sempre stato un rapporto difficile, una lotta continua, mai finita. Stiamo parlando del Padimetro, il misuratore delle massime piene del Po, che si trova all’angolo fra corso Martiri della Libertà e Piazza Savonarola.
E’ un bell’esempio di documento murale, en plein air e accessibile a tutti. Un idrometro monumentale, come ci dice Wikipedia, che ci racconta la storia della situazione idrologica del Po, attraverso la successione delle grandi piene del fiume dal 1705 al 1951, misurate su uno zero idrometrico, o livello di guardia, individuato a Pontelagoscuro.
Ciascuna di loro supera in altezza quella precedente, con l’eccezione di quelle del 1857 e del 1872.
Pur non avendo un valore storico, poiché non sono registrati tutti gli avvenimenti che si sono succeduti nel tempo, il Padimetro riesce a dare un’idea precisa di quello che si è verificato nel bacino del Po, e dei suoi affluenti, dal ‘700 in poi.
Da quel periodo le frequenze delle piene, e il loro livello, hanno avuto un costante incremento, dovuto a un peggioramento climatico, ma anche all’azione antropica di disboscamento nelle parti montane del bacino del fiume.

La conseguenza di questi fenomeni è stata l’ aumento di portata del Po e l’incremento di sedimenti, con il conseguente aumento del livello idrometrico.
Di questi avvenimenti segnalati dal Padimetro, alcuni hanno solo gonfiato il letto del fiume o hanno provocato delle rotte a monte di Ferrara, altri invece hanno riversato masse d’acqua nel nostro territorio provocando danni e lutti.
Volendo individuare le rotte più importanti nei tre secoli presi in considerazione, meritano attenzione quella del 1705, del 1872 e quella del 1951, anche se in questo caso la rottura dell’argine avvenne a sinistra del fiume, a Occhiobello.
La prima, documentata da Franco Cazzola (nel suo “La Bonifica del Polesine di Ferrara dall’Età Estense al 1885 “) si verificò nel novembre del 1705. Forti venti di scirocco da Sud-Est portarono abbondanti piogge in tutta l’Italia del Nord ed un contemporaneo rialzo del livello dell’Adriatico. Il Po ruppe in 15 punti. Cominciando dal mantovano e dal modenese, le acque entrarono nell’alveo del Panaro e ne ruppero l’argine di destra. Da qui arrivarono fino a Ferrara, dove, per evitare danni maggiori, furono pure murate le porte della città.

La piena fu talmente potente che le acque allagarono tutto il territorio fra Po e Volano per defluire nelle Valli di Comacchio. Solamente dopo molti giorni, i venti si attenuarono e il mare cominciò ricevere le acque che ormai ricoprivano gran parte del territorio.
Più di un secolo dopo, particolarmente grave è risultata la rotta di Revere del 28 ottobre 1872, chiusa solamente il 18 gennaio dell’anno successivo. Questa rotta avvenne fra il Secchia e il Panaro. L’angolo fra quest’ultimo e il Po era più basso rispetto alle zone contigue, per cui si formò un grande lago all’interno del comune di Bondeno che raggiunse la profondità massima il 30 ottobre con 7,14 metri. Numerose abitazioni furono distrutte e circa 50.000 persone furono costrette ad essere ospitate nei paesi vicini, molti si adattarono costruendo delle capanne con fango e paglia nei punti più alti dell’argine del Po, in attesa del ritiro delle acque. Il deflusso durò per molti mesi. Quotidianamente la Gazzetta Ferrarese (il giornale locale dell’epoca) pubblicò per un lungo periodo l’altezza dell’acqua nel territorio sommerso. Ancora ad aprile del 1873 erano allagati i terreni più bassi fra Scortichino e Pilastri.
Infine nel secolo scorso, il 14 novembre 1951, in seguito ad abbondanti precipitazioni si aprirono sull’argine di sinistra del Po, nel territorio del comune di Occhiobello tre bocche di rotta che rimasero attive fino al 20 dicembre dello stesso anno.
Furono allagati oltre 100.000 ettari della province di Rovigo e di Venezia, trovarono la morte circa cento persone, mentre più di 180.000 dovettero lasciare le proprie abitazioni: andarono perduti migliaia di capi bovini e di altri animali d’allevamento. Nel decennio successivo lasciarono in modo definitivo il Polesine 80.000 abitanti con un calo della popolazione nella provincia di Rovigo del 22%.

Le tacche del Padimetro, e le storie che raccontano, ci riportano ad oggi, con ancora negli occhi le tristi immagini delle campagne modenesi allagate. Un disastro che forse si poteva evitare se si fosse mantenuta la memoria del complesso rapporto tra la terra e l’acqua che ha da sempre caratterizzato la storia del bacino del Po e in particolare di Ferrara.

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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